Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27467 del 02/12/2020
Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 20/10/2020, dep. 02/12/2020), n.27467
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14444-2019 proposto da:
V.D., C.G.L., T.B.,
S.S., TE.MA.CR., elettivamente domiciliati in
(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li
rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
INTESA SAN PAOLO SPA, già BANCA DELL’ADRIATICO, in persona del
Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
CARSO 71, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO GIUSEPPE
CHIELLO, CESARE POZZOLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 26807/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA, depositata il 23/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA
MARCHESE.
Fatto
RILEVATO
CHE:
Te.Ma.Cr. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 391bis c.p.c. avverso la sentenza n. 26807 del 2018, con la quale la Corte di cassazione ha respinto il ricorso ordinario per cassazione proposto dai medesimi ricorrenti nei confronti di Banca Dell’Adriatico S.p.A. (già Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno);
dinanzi alla Corte di legittimità era stata impugnata la decisione della Corte di appello di Ancona, n. 376 del 2013, di rigetto dell’appello avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva respinto la domanda di Te.Ma.Cr. e degli altri ricorrenti di accertamento del diritto ad ottenere una maggiore retribuzione per effetto della cosiddetta “maggiorazione per la laurea”, in base alla contrattazione collettiva di settore;
la Corte di cassazione, per quanto qui solo rileva, ha escluso che vi fossero errori nell’esegesi delle fonti collettive laddove le stesse erano state interpretate nel senso di riconoscere la anzidetta maggiorazione solo a coloro che, entro il 1 gennaio 2002, avessero conseguito i due requisiti del diploma di laurea e di un’anzianità minima decennale di servizio;
al giudizio di revocazione, articolato in un unico motivo, resiste Intesa Sanpaolo S.p.A, quale incorporante di Banca Dell’Adriatico S.p.A., che ha, altresì, depositato memoria;
la proposta del relatore è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
con un unico motivo di ricorso, parte ricorrente ripropone la questione dell’interpretazione delle fonti collettive; per la parte ricorrente la laurea e l’anzianità decennale “non sono, e non erano considerati, requisiti coessenziali, avendo le parti (collettive) legato al termine finale del 1 gennaio 2002 solo il conseguimento della laurea, da cui dipendeva la maggiorazione”; si imputa, dunque, alla sentenza di questa Corte un’errata esegesi della disciplina collettiva di riferimento;
il ricorso è inammissibile;
per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (tra le tante, Cass. n. 442 del 2018, Cass. n. 6405 del 2018; Cass. n. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., n. 5906 del 2020);
l’errore revocatorio deve, dunque, avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve, inoltre, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (v, ex plurimis, in motivaz. Cass. n. 14656 del 2017);
coerentemente, esula dalla logica del rimedio revocatorio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errore di diritto, sostanziale o processuale, come l’errore di giudizio o quello di valutazione (tra le molte, Cass. n. 6405 del 2018 cit.; Cass. n. 22171 del 2010; in motiv., Cass., sez. un., n. 8984 del 2018);
le denunciate censure, in modo evidente, non veicolano una “svista obiettivamente e immediatamente percepibile”, commessa dalla Corte regolatrice, bensì l’errata interpretazione delle norme collettive poste a base del diritto azionato che, semmai (e in via di mera ipotesi), potrebbe integrare un error iuris – quale è l’errore di esegesi di un enunciato normativo – ma non un “errore di fatto” riconducibile al rimedio revocatorio, analogamente a quanto si è ripetutamente affermato a proposito dell’errore di norme giuridiche (v. Cass. n. 4584 del 2020; Cass. n. 29922 del 2011) non suscettibile di revocazione;
va, dunque, dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020