Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27461 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24509-2018 proposto da:

F.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 5,

presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA CHIEFFO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO SEZIONE DI

CAMPOBASSO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 26 giugno 2018, il Tribunale di Campobasso ha respinto la domanda di F.B., nativo del Gambia, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentivano l’accoglimento.

2. Avverso il descritto decreto F.B. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, resistiti, con controricorso, dal Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

II) “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e t) nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”;

III) “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

2. Il primo ed il secondo motivo sono suscettibili di decisione unitaria.

2.1. Il vizio motivazionale invocato nel secondo motivo, da scrutinarsi alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un decreto reso il 26 giugno 2018), è inammissibile, investendo la censure sotto questo profilo, piuttosto che l’omesso esame di “fitti”, “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, perchè il Tribunale di Campobasso non ha esaminato esaurientemente la situazione socio politica del Gambia” (cfr. pag. 3 del ricorso): ci si duole, dunque, non già di fatti storici (della cui deduzione nel giudizio di merito venga dato conto nel rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione) il cui esame, omesso nel decreto impugnato, avrebbe portato ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa, ma, sostanzialmente, di profili di insufficienza motivazionale (quanto all’asserita situazione socio politica del Gambia) non più denunciabili in questa sede.

2.2. Per il resto, i motivi suddetti sono, nel loro complesso, immeritevoli di accoglimento.

2.2.1. Rileva, invero, il Collegio che, innanzitutto, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 31481 del 2018 e Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (fr. Cass. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalla più recente Cass. n. 17850 del 2018). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (Dott. Cass. n. 30105 del 2018).

2.2.2. Nella specie, il tribunale molisano ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente sulla base di plurimi elementi (fr., amplius, pag. 3-4 del decreto impugnato) ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti per quanto si è già detto), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5.

2.3. In relazione, poi, alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza, deve rilevarsi che, in ogni caso, la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status.

2.4. Peraltro, il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la doglianza in esame è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità, considerato, altresì, che la stessa ritenuta non credibilità dell’odierno ricorrente è, di per sè, idonea al rigetto delle sue richieste e che, come si è già detto, la mancanza di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale comporta che neppure sorga il dovere di ricerca di riscontri d’ufficio Cass. n. 17850 del 2018; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013).

2.5. Il lamentato mancato riconoscimento della protezione sussidiaria è manifestamente infondato nel suo complesso.

2.5.1. L’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce, infatti, ragione sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 16925 del 2018, deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (cfr. Cass. 27438 del 2016), legate alla situazione concreta ed individuale del richiedente.

2.5.2. Quanto oggi esposto da F.B., argomentando le censure in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettato come vizio motivazionale e di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Infondato, infine, è anche il terzo motivo nella sua interezza, che critica il decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità già richiamata (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi.

3.2. Miglior sorte, peraltro, nemmeno toccherebbe alla richiesta di protezione umanitaria alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente novellato dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, non recando la prospettazione del corrispondente motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

4. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì rilevandosi che, rinvenendosi in atti la prova della non ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna F.B. al pagamento, nei confronti del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 ottobre 2019

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