Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27460 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24381-2018 proposto da:

F.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LILIANA PINTUS;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 495/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.B. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza n. 495/2018, emessa dalla Corte d’appello di Cagliari, depositata il 29 maggio 2018, che ha confermato la decisione di prime cure con la quale era stata rigettata la domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria da lui proposta. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, la corte distrettuale, tenuto conto del racconto del richiedente e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Mali), ha ritenuto insussistenti i presupposti richiesti per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), che disciplina il riconoscimento della protezione sussidiaria”, criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria sul presupposto che la regione del Kayes, di provenienza del ricorrente, non sarebbe interessata da conflitti interni, sicchè quest’ultimo non si troverebbe in una situazione di minaccia grave per la propria vita;

II) “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007 art. 14 e dell’art. 2, lett. e), della Direttiva 2004/83/CE in materia di protezione sussidiaria”, nuovamente censurandosi la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria, ascrivendosi alla corte distrettuale di aver distinto in maniera del tutto arbitraria e discriminatoria le posizioni dei cittadini del Mali in ragione della provenienza regionale, omettendo di considerare unitariamente le condizioni di pericolo del Paese;

III) “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, in materia di protezione umanitaria”, contestandosi la lettura restrittiva della normativa in tema di protezione umanitaria fatta propria dalla corte cagliaritana, la quale ha completamente omesso qualsiasi altra analisi diversa da quella economica.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Giova, invero, premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione teruporis, risultando impugnata una sentenza resa il 29 maggio 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.1.1. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass., SU, n. 8053 del 2014); iz) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iiz) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.2. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (fr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); iz) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Dott. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.3. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. Orbene, il motivo in esame non rispetta i principi finora esposti, atteso che, lungi dall’indicare lo specifico fatto storico, di valore decisivo e già dibattuto tra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte distrettuale, si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato da quest’ultima, la quale, con accertamento fattuale qui non sindacabile, di cui ha indicato esaustivamente le proprie fonti di riferimento, ha ritenuto che la zona del Mali di provenienza del ricorrente, cioè la regione del Kayes, è l’unica del Paese non sottoposta al rischio di conflitti interni. A tanto il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla corte sarda: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

3.1. Va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situa.zioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (Direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un Paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (O-. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), in quanto l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lettera c), della Direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C- 285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Il riconoscimento della forma di protezione in questione presuppone, dunque, che il richiedente rappresenti una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del Paese, sia, comunque, a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ed il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, demandato, in quanto tale, al giudice del merito, il quale nel compiere tale valutazione deve far ricorso ai suoi poteri istruttori ed acquisire comunque le informazioni sul Paese di origine del richiedente, previste al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

3.2. A tale dovere non si sono sottratti i giudici a quibus, i quali hanno concluso, sulla scorta delle acquisite informazioni, che, all’interno del Mali, la regione del Kayes, da cui il ricorrente proviene, non è interessata, a differenza di altre del medesimo Stato, da violenza indiscriminata ed hanno escluso la sussistenza dei presupposti per l’invocata protezione, e tale accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti e con le modalità consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il che – considerato anche quanto riferito con riferimento al primo motivo – non è stato adeguatamente fatto.

3. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile.

3.1. Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) di chiarire, che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan.zi c. Regno Unito, par. 72 ss.).

3.1.1. In altri termini, la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè, altrimenti, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Stato d’origine in termini del tutto generali ed astratti. Nella specie, peraltro, nemmeno risulta essere stata specificamente dedotta, innanzi alla corte distrettuale, una situazione di vulnerabilità personale del ricorrente, e ciò malgrado la giurisprudenza di legittimità abbia già chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (fr. Cass. n. 27336 del 2018 e Cass. n. 18197 del 2015, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 9661 del 2019).

4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì (rinvenendosi in atti la prova dell’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato) della insussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 ottobre 2019

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