Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27460 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27460 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

ORDINANZA

sul ricorso 17419-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
studio TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

2017
2990

ABBATE NICOLO’, BELLAN GIUSEPPE, MUNIZZA GIUSEPPE,
PISCAZZI UMBERTO, domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR
presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA

CASSAZIONE, rappresentati

e difesi

DI

dall’avvocato

Data pubblicazione: 20/11/2017

LUCIA GIAMMARCO, giusta delega in atti;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 340/2011 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata il 14/07/2011 R.G.N. 366/2099.

R.G. n. 17419/2012

RILEVATO

che la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 14 luglio 2011, ha confermato
la pronuncia di primo grado la quale aveva dichiarato che Poste Italiane Spa
adibì a mansioni inferiori i dipendenti Abbate, Marra, Rendine, Munizza,
Guarnieri, Bellan, Collaro, Previti, Crespin, Biscazzi, Restuccia, La Grotteria a

livello B del CCNL Poste 11 luglio 2003, con decorrenza 10 gennaio 2004, nonché
a risarcire il danno in misura pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto per ogni anno di demansionamento o frazione di esso; in seguito ad
accoglimento di istanza di correzione di errore materiale, in calce a detta
pronuncia della Corte milanese è stata annotata la cessazione della materia del
contendere tra Poste ed i lavoratori Collaro e Guarnieri;

che la Corte di Appello ha condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui
risultava provato che i lavoratori, i quali svolgevano mansioni tecniche di “perito”
implicanti il coordinamento di dipendenti di livello inferiore, erano stati assegnati
a “mansioni elementari dequalificanti” dopo la soppressione del servizio telex, e
che le caratteristiche di svolgimento di mansioni tecniche consentivano il
riconoscimento dell’inquadramento nel superiore livello B con il profilo di
“specialisti” a decorrere dall’entrata in vigore del CCNL del 2003;

che riguardo il risarcimento del danno non patrimoniale lo stesso era stato
correttamente liquidato “dal primo giudice, equitativamente, nella misura di una
mensilità di retribuzione all’anno, considerato il lungo tempo trascorso nello
svolgimento di mansioni dequalificanti e la sicura perdita di professionalità di tipo
tecnico, difficilmente recuperabile a seguito del mancato esercizio e delle
innovazioni tecnologiche intervenute nel frattempo”; la Corte ha aggiunto che
non risultava contestato che i lavoratori “per l’età non possono partecipare a
concorsi interni per svolgere mansioni tecniche, né hanno possibilità di carriera
nel settore amministrativo per la minima anzianità ed esperienza acquisita nelle
mansioni di call center”;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a tre
motivi, illustrati da memoria, cui hanno resistito con controricorso Nicolò Abbate,
Giuseppe Munizza, Umberto Piscazzi e Giuseppe Bellan, mentre non hanno svolto
attività difensiva gli altri lavoratori intimati;

t

decorrere dalle date ivi indicate, condannando la società ad inquadrarli tutti nel

R.G. n. 17419/2012

CONSIDERATO
che, in via preliminare, dai verbali redatti in sede sindacale tra Poste Italiane Spa
ed i lavoratori Nicolò Abbate, Maurizio Crespin, Giuseppe Rendine e Umberto
Piscazzi, prodotti in giudizio, risulta che dette parti hanno conciliato la lite, per
cui deve essere dichiarata tra costoro la cessazione della materia del contendere
e, in mancanza di una diversa pattuizione contenuta nei verbali, le spese si
intendono compensate ai sensi dell’art. 92, u.c., c.p.c.; non altrettanto può farsi,

Grotteria, in quanto l’eventuale risoluzione dei rapporti di lavoro non è idonea a
far venire meno l’interesse alla pronuncia rispetto a tutte le pretese oggetto di
controversia, né avuto riguardo ai dipendenti Collaro e Guarnieri, rispetto ai quali
la cessazione della materia del contendere è stata già accertata dalla Corte
territoriale ed annotata, quale correzione di errore materiale, nel dispositivo della
sentenza impugnata;

che il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
2103 c.c., degli artt. 41 e 43 del CCNL Poste 26 novembre 1994 e dell’art. 24,
all. 1, del CCNL 11 gennaio 2001, criticando la sentenza impugnata per aver
ritenuto che i lavoratori avessero subito una dequalificazione professionale,

che tale motivo è in parte inammissibile, perché non viene specificato se il
contratto collettivo nazionale sia stato prodotto integralmente (cfr. Cass. SS.UU.
n. 20075 del 2010) e l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento
sia rinvenibile (Cass. SS.UU. n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU. n. 7161 del
2010; conformi: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013), ed in parte
infondato, in quanto la Corte territoriale ha valutato in concreto l’avvenuta
adibizione a mansioni non coerenti con la storia professionale dei lavoratori, con
accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità e non precluso
dall’equivalenza formale delineata dalla contrattazione collettiva fra le vecchie e
le nuove mansioni (tra molte: Cass. n. 1916 del 2015; Cass. n. 4989 del 2014;
Cass. n. 15010 del 2013);

che dal mancato accoglimento del primo motivo discende il rigetto anche del
secondo il quale si fonda sull’assunto, rivelatosi errato, che “l’accertamento
dell’insussistenza della pretesa dequalificazione evidenzierà la conseguente
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 21 del CCNL 11
luglio 2003”;

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benché richiesto dalla società con la memoria, per i lavoratori Marra e La

R.G. n. 17419/2012

che parimenti infondato risulta il terzo mezzo di gravame con cui si denuncia
violazione e falsa applicazione di legge nonché insufficiente motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere i giudici del merito
erroneamente accolto la domanda dei lavoratori di risarcimento del danno in
relazione al contestato demansionamento;

che infatti quanto alla liquidazione di tale tipologia di danni questa Corte insegna
come la non patrimonialità – per non avere il bene persona un prezzo – del diritto

danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta
commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa, anche
attraverso il ricorso alla prova presuntiva, che potrà costituire pure l’unica fonte
di convincimento del giudice (Cass. SS.UU. n. 26972 del 2008); che fermi gli
oneri di allegazione e di prova gravanti su chi denuncia di aver subito il
pregiudizio, compete tuttavia al giudice di merito non solo ogni accertamento e
valutazione di fatto circa la concreta sussistenza e la individuazione della specie
del danno, ma anche la sua liquidazione – in ipotesi anche equitativa sindacabile, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione (in tal senso,
v. Cass. n. 14199 del 2001; altresì: Cass. n. 9138 del 2011, Cass. n. 2352 del
2010, Cass. n. 10864 del 2009, Cass. n. 5333 del 2003; Cass. n. 10268 del
2002; Cass. n. 18599 del 2001, Cass. n. 104 del 1999); che essendo la
liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale
inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si esclude
che l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito possa di per sé essere
soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di totale mancanza
di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da
dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni
(cfr. Cass. n. 12918 del 2010; Cass. n. 1529 del 2010; conforme, più di recente,
Cass. n. 18778 del 2014); che in particolare, in tema di dequalificazione, il
giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se
adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del danno, determinandone
anche l’entità in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla
formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi
alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di
professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della

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leso comporti che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del

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dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., ex plurimis, Cass.
n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass.
SS.UU. n. 6572 del 2006);

che nella specie la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, indica gli
elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto accertato un danno non
patrimoniale, avuto riguardo alle modalità del demansionamento ed al suo
perdurare nel tempo, stimando equo commisurarlo ad un mese di retribuzione

concretezza il ricorso in via parametrica alla retribuzione per la determinazione in
termini quantitativi del danno da violazione dell’art. 2103 c.c., posto che,
indubbiamente, non può negarsi che elemento di massimo rilievo nella
determinazione della retribuzione è il contenuto professionale delle mansioni
sicché essa costituisce, in linea di massima, espressione (per qualità e quantità,
ai sensi dell’art. 36 della Costituzione) anche del contenuto professionale della
prestazione; l’entità della retribuzione ben può, dunque, essere assunta,
nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, a parametro del
danno da impoverimento professionale derivato dall’annientamento delle
prestazioni proprie della qualifica (Cass. n. 12253 del 2015 con la giurisprudenza
ivi richiamata);

che, pertanto, il ricorso va respinto rispetto a tutti i lavoratori che non hanno
conciliato la lite, con spese liquidate secondo soccombenza come da dispositivo in
favore dei controricorrenti Munizza e Bellan, mentre nulla va liquidato per gli altri
intimati che non hanno svolto attività difensiva;

P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere tra Poste Italiane Spa e
Nicolò Abbate, Maurizio Crespin, Giuseppe Rendine e Umberto Piscazzi,
compensando le spese tra dette parti; rigetta il ricorso nei confronti degli altri
lavoratori; condanna la società al pagamento delle spese in favore di Giuseppe
Munizza e Giuseppe Bellan liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori come per legge e spese generali al 15°/0; nulla per le
spese nei confronti degli altri intimati.
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 giugno 2017

per ogni anno di dequalificazione e già questa Corte ha giudicato non privo di

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