Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27456 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. III, 30/10/2018, (ud. 25/06/2018, dep. 30/10/2018), n.27456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

EMME DUE SAS DI M.C. in persona del socio accomandatario

legale rappresentante p.t. M.C., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 43, presso lo studio dell’avvocato D’AIUTO

LORETO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale del

Dott. Notaio C.A. in PAGANI il 24/3/2017, REP. N.

155342;

– ricorrente –

contro

MI.EG., in proprio e nella qualità di procuratore speciale

di A.A.C., MA.CA.AL., I.R.,

D.S., D’.FL.EM., in proprio e quale erede di

F.G., ed anche in veste di procuratrice speciale di

F.M., F.I. e F.A., eredi di F.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 30, presso lo studio

degli avvocati DELL’ACQUA VALENTINA e SORRENTINO DOMENICO, che li

rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 488/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Mi.Eg., A.A.C., Ma.Ca.Al., quest’ultimo anche quale procuratore di I.R., D.S., D’.Fl.Em., quest’ultima anche quale erede di F.G. nonchè procuratrice degli altri suoi eredi F.M., I. e A., convenivano in giudizio la Emme Due s.a.s. di M.C., esponendo che in un distinto giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo accordato nei confronti della società convenuta, per il pagamento di competenze professionali correlate a un contratto di “engineering”, la socia accomandataria M.C. aveva reso giuramento decisorio in ordine all’intervenuto saldo delle obbligazioni, con conseguente revoca del provvedimento monitorio. Aggiungevano che era seguito un giudizio penale per falso giuramento, concluso con l’applicazione della pena su richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., oggetto di sentenza divenuta irrevocabile. Chiedevano pertanto il risarcimento dei danni commisurati ai compensi non ottenuti. Il tribunale, davanti al quale resisteva la convenuta, accoglieva la domanda con sentenza confermata dalla corte di appello che disattendeva le eccezioni dell’appellante osservando, in particolare, che le censure per cui dal contratto di “engineering” non emergevano elementi che dimostrassero la sussistenza di un incarico personale ai professionisti bensì solo alla Mitidieri Ingegneria s.r.l., così come quella afferente al lodo arbitrale che aveva concluso per l’inadeguatezza delle prestazioni della società, erano inconferenti poichè l’oggetto del giudizio era risarcitorio, e nel processo presupposto era stata eccepita solamente la prescrizione, anche presuntiva, sicchè il conferimento e svolgimento dell’incarico, oltre alla misura del compenso, erano fatti pacifici. Con l’ulteriore conseguenza che all’esito del giuramento vincolante, oggetto del susseguente giudizio penale di falso che assurgeva a elemento di prova sebbene concluso con l’applicazione della pena su richiesta, era verosimilmente prevedibile che sarebbe stata accolta l’opposizione al decreto ingiuntivo. Avverso questa decisione ricorre per cassazione la Emme Due s.a.s., formulando cinque motivi. Resiste con controricorso Mi.Eg., anche quale procuratore di A.A.C., Ma.Ca.Al., I.R., D.S., D’.Fl.Em., quest’ultima anche quale erede di F.G. nonchè procuratrice degli altri suoi eredi F.M., I. e A.. Le parti hanno depositato memorie. Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 1362 cod. civ., artt. 112,342 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sui motivi di appello concernenti la mancanza di legittimazione degli originari attori, in conseguenza dell’obliterazione delle clausole del contratto di “engineering” che avrebbero dimostrato come l’incarico di progettazione per la costruzione del centro commerciale oggetto del negozio, fossem riferibilt alla distinta società deducente. In questa cornice non poteva rilevare che la ricorrente non avesse eccepito, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il difetto di titolarità del credito, atteso che il danno ingiusto, oggetto della sentenza gravata con il ricorso qui in scrutinio, non poteva essere la revoca di un decreto ingiuntivo sostanzialmente ingiusto, tanto più in quanto le prestazioni per cui si domandavano i compensi erano state accertate come inadeguate in sede arbitrale. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2738,2697 cod. civ., poichè la sentenza penale relativa all’applicazione della pena su richiesta non conteneva statuizioni civili, sicchè gli attori avrebbero dovuto provare entità e misura del danno, come non avevano fatto. In questa cornice erano rilevanti e invece obliterati gli argomenti di censura afferenti al contratto “engineering” e al relativo lodo arbitrale. Con il terzo e quarto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702,2909 cod. civ., artt. 115,116 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che sebbene la pronuncia arbitrale, che aveva definitivamente accertato le inadeguatezze di progettazione da parte della Mitidieri Ingegneria, s.r.l., fosse stata pronunciata tra diverse parti, la stessa avrebbe potuto e dovuto valere come elemento di prova apprezzabile. Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nel rilevare l’inammissibilità per novità, prima che l’infondatezza, della censura afferente alla estraneità di alcune voci di prestazioni professionali ai compensi pretesi, posto che non vi sarebbe stato alcun mutamento del tema da decidere e la doglianza si sarebbe iscritta nella più ampia contestazione attinente alla carenza di titolarità attiva dei singoli professionisti, avendo il contratto vincolato la diversa s.r.l. Mitidieri Ingegneria. 2. I motivi di ricorso sono inammissibili per l’assoluta inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, fondandosi su risultanze probatorie, atti e documenti riguardo ai quali non si ottempera all’onere di indicazione specifica. L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, richiede infatti, a pena d’inammissibilità, l’indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, ed esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto (cfr., Cass., 20/11/2017, n. 27475, in cui si sottolinea che tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, che l’onere è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la sua produzione, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che esso è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in cassazione o lo faccia senza fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso oppure attinente alla sua fondatezza e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso). 2.1. Fermo quanto sopra, i motivi di ricorso presentano, comunque, ulteriori profili d’inammissibilità, emergenti sulla base del confronto fra la lettura della sentenza impugnata e le censure stesse, senza possibilità di idoneo riscontro del loro contenuto in ragione del rilievo sub 2. In questo senso, quanto ai primi due vale ciò che segue. La corte territoriale ha accertato e rilevato che: a) il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo era tra l’attuale ricorrente e gli attuali controricorrenti; b) nel giudizio in parola non era stata contestata la legittimazione attiva e passiva, nè la misura del compenso, eccependosi solamente la prescrizione presuntiva, e dunque ammettendo lo svolgimento dell’incarico e la nascita dell’obbligazione passiva; c) era di conseguenza verosimilmente prevedibile che l’esito del giudizio sarebbe stato favorevole ai professionisti, se non fosse intervenuto il giuramento decisorio del legale rappresentante della s.a.s., vincolante per il giudice in senso opposto; d) la falsità del giuramento del legale rappresentante della s.a.s. opponente era evincibile dalla sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., divenuta irrevocabile, quale elemento di prova in tal senso valutabile non essendo risultato contrastato da altri dati istruttori. Ciò posto, i suddetti motivi non colpiscono la complessiva “ratio decidendi” ricostruita, in particolare afferente al nesso causale tra la condotta di spergiuro posta in essere dal legale rappresentante della società e quello che si era pertanto concretizzato come danno ingiusto. In questa cornice neppure è ipotizzabile un’omessa pronuncia sui motivi di appello riportati e afferenti alla interpretazione del contratto di “engineering”, estraneo alla prospettiva risarcitoria dell’odierno giudizio e infatti alla sua ragione decisoria. Così come non vi è alcuna erroneità nel riparto dell’onere della prova nè del regime del giuramento, deduzioni inconferenti rispetto all’iter decisorio della sentenza di appello, atteso che l’efficacia vincolante del giuramento, nella ricostruzione della corte territoriale, era stata l’unica ragione di revoca del decreto ingiuntivo che, per quanto riassunto, altrimenti sarebbe stato confermato. 2.1.1. In ordine al terzo e quarto motivo si osserva, in aggiunta a quanto sopra e nel medesimo senso indicato, quello che segue. Innanzi tutto, pure in tal caso la “ratio decidendi” del giudizio risarcitorio non è stata comunque colta, e la corte di appello non ha affatto violato il regime e la valenza legale riferibile ai lodi arbitrali, atteso che il diverso giudizio sull’esecuzione delle prestazioni della Mitidieri Ingegneria s.r.l., con l’odierna ricorrente, non è evidentemente pertinente rispetto al danno ingiusto quale ricostruito a carico dei professionisti. Al contempo, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli invocati artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato – come qui non è stato fatto – attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass., 12/10/2017, n. 23940). 2.1.2. Infine, per ciò che concerne il quinto motivo, per un verso non si censura idoneamente il rilievo di novità della deduzione sulle singole attività espletate, sostenendo essa rientrasse nella questione, del tutto diversa, sulla titolarità del rapporto obbligatorio; per altro verso non si censura, al riguardo, la “ratio decidendi” spesa dal collegio di merito sull’infondatezza della questione sollevata, attesa la più volte ricordata estraneità all’oggetto risarcitorio del giudizio. 3. Spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti liquidate in Euro 10.200,00, oltre a 200,00 Euro per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma, il 25 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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