Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27455 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27455 Anno 2017
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: MIGLIO FRANCESCA

ORDINANZA
sul ricorso 14965-2012 proposto da:
LUCIANI

ALESSANDRO

LCNLSN59R26D003Q,

C.F.

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ILDEBRANDO
GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato UGO SARDO,
rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CARMINA
STABILE, giusta delega in atti;
– ricorrentecontro

2017
2963

CHERCHI

MARIA,

BERRE

ROBERTA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PAVIA 30, presso lo studio
dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, che li rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 20/11/2017

nonchè contro

COMUNE CORI;
– intimato

avverso la sentenza n. 4828/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2011 R.G.N.

4652/2006.

Camera di consiglio del 27 giugno 2017 – n.39 del ruolo
RG n. 14965 /12
Presidente: Macioce – Relatore: Miglio

RG. 14965/2012

che con sentenza in data 4 luglio 2011, la Corte di Appello di Roma ha respinto

il ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Latina che aveva rigettato la
domanda proposta da Alessandro Luciani di accertamento della natura
subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il Comune di Cori dal
1.12.1996 al 21.12.2001, la domanda di condanna del Comune
all’inquadramento del ricorrente nel livello D3 CCNL Autonomie Locali per tutta
la durata del rapporto e al pagamento della somma di euro 54.211,00, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché la domanda di condanna del
Comune, di Maria Cherchi e di Roberta Berrè, ognuna in base alle proprie
responsabilità, al risarcimento dei danni derivati al ricorrente da condotte
vessatorie poste in essere nei suoi confronti da questi ultimi;
che avverso tale sentenza Alessandro Luciani ha proposto ricorso affidato ad

un unico motivo, al quale hanno opposto difese Maria Cherchi e Roberta Berrè
con controricorso;
che il Comune di Cori è rimasto intimato;
che sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c. dal ricorrente e da

Maria Cherchi e Roberta Berrè;
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, Alessandro Luciani deduce la violazione e falsa
applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360
comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., lamentando sostanzialmente la mancata
i

RILEVATO

arn issione della prova testimoniale sui capitoli diretti a dimostrare sia
l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato sia i presupposti di fatto della
domanda di risarcimento dei danni da mobbing;
il motivo è generico ed inammissibile: la Corte di appello ha ampiamente ed
esaustivamente motivato, sulla base di risultanze documentali provenienti dallo

Luciani, in relazione ai contratti aventi ad oggetto e recanti titolo di incarichi di
collaborazione esterna di psicologo, ha comunicato al Comune i tempi e le
modalità di recupero delle ore in eccesso sulla scorta di determinazioni e scelte
unilaterali e autonome) in ordine alli assenza nella specie degli elementi della
subordinazione, escludendo che l’attività professionale prestata dal Luciani si
sia svolta nei fatti in termini diversi da quelli pattuiti dalle convenzioni, ossia
con eterodirezione dei tempi e delle modalità di svolgimento della prestazione,
precisando, altresì, che “in siffatto quadro fattuale, la circostanza che Cherchi e
la Berrè avrebbero impartito direttive in ordine all’orario di presenza nei diversi
presidi, oltre che smentita delle comunicazioni sui recuperi delle ore in eccesso,
non sarebbe di per sé decisiva per la qualificazione del rapporto in termini di
subordinazione”;
la Corte territoriale ha altresì evidenziato che le stesse allegazioni contenute
nel ricorso di primo grado non specificano in quali termini le direttive impartite
abbiano influito sull’autonomia del Luciani, né riferiscono su elementi fattuali
che consentano di ravvisare in quelle direttive esercizio di veri e propri poteri
gerarchici invece che l’espressione di una normale esigenza di coordinamento
tra l’attività di consulenza e le esigenze pubbliche, sottolineando che le
circostanze di fatto ivi capitolate, ove provate, non avrebbero comunque
offerto alcun elemento probatorio univoco idoneo a ricostruire il rapporto in
termini di subordinazione;
analogamente,. in ordine alla domanda di risarcimento danni da mobbing, la
Corte d’Appello ha evidenziato che nel ricorso di primo grado mancano
allegazioni puntuali e specifiche in ordine alla esistenza di danni assunti come
patiti ed è omessa ogni specificazione sulle circostanze di fatto relative alle
lesioni subite ed in ordine alla natura delle stesse;
2

stesso ricorrente (Cfr. riferimento ai documenti 33 e 34 , da cui risulta che il

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As.

e di tale motivazione, deve richiamarsi la consolidata giurisprudenza di
timità, secondo la quale il vizio di motivazione per omessa ammissione

della prova testimoniale può essere denunciato per cassazione solo nel caso in
cui essa si sia concretizzata nell’omissione di motivazione su un punto decisivo
della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in
concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio

che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la
“ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento” (ex plurimis Cass. n.
5654 del 2017);
nella specie il ricorrente (che peraltro non ha trascritto nel ricorso per
cassazione i capitoli di prova non ammessi, così non consentendo al collegio di
valutarne la “decisività” ) non ha neppure specificato quali siano i ” fatti
controversi e decisivi” sui quali le prove non ammesse avrebbero dovuto
vertere, affidando le censure a generiche doglianze;
inammissibile è, altresì, il medesimo motivo, nella parte in cui fa riferimento
all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., senza indicare quale norma sia stata oggetto
di violazione o falsa applicazione;
per le esposte motivazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
le spese vengono liquidate come da dispositivo; rtuUct
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P.Q.M.

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La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità
sostenute da Maria Cherchi e Roberta Berrè che liquida in complessivi euro
3.000,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre a spese
generali pari al 15% dei compensi ed accessori di legge.
Così deciso nella Adunanza camerale del 27 giugno 2017.
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