Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27454 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. I, 28/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27295/2016 proposto da:

V.G., in proprio e quale socio dello Studio V. società

professionale, società semplice di S. Va., G. V., S. V.

dottori commercialisti, Dott.ssa L. R. ragioniere

commercialista e M. (OMISSIS) dottore commercialista, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Nizza n. 45, presso lo studio dell’Avvocato

Antonio Pace, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giuseppe Buscaino

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 150/2016 del TRIBUNALE di VARESE, del

26/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/9/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.p.a. non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dal dottore commercialista V.G., in proprio e quale socio dello studio V. associazione professionale, a cui quindici società del gruppo Casti di (OMISSIS) (tra le quali (OMISSIS) s.p.a.) avevano affidato l’incarico di redigere l’attestazione prevista dalla L. Fall., art. 160, comma 2, verificare la veridicità dei dati aziendali con riferimento all’elaboranda situazione patrimoniale finanziaria al 28 febbraio 2014 e la fattibilità del piano, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 2 e art. 186-bis, comma 2, lett. b), e assistere la compagine durante la procedura di concordato preventivo.

Il G.D., dopo aver constatato il mancato completamento dell’incarico, dato che la relazione L. Fall., ex art. 160, comma 2, non era stata giurata e la relazione di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3, non era stata stesa, disattendeva la richiesta di insinuazione ritenendo che gli acconti già versati fossero interamente satisfattivi del compenso dovuto per l’attività svolta.

2. Il Tribunale di Varese, a seguito dell’opposizione proposta dal Dott. V., rilevava che la congerie istruttoria disponibile non consentiva di verificare compiutamente quale attività fosse stata svolta dal professionista, osservava che la predisposizione della relazione L. Fall., ex art. 160, comma 2, quand’anche reputata completa, rappresentava una mera attività preparatoria costituente una parte, pari a un decimo, della più ampia attività prevista in contratto e, di conseguenza, confermava il provvedimento di esclusione, dato che gli acconti già versati al professionista erano superiori al compenso dovuto per la porzione di prestazione effettivamente adempiuta.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso V.G., in proprio e quale socio dello studio V. associazione professionale, prospettando tre motivi di doglianza.

L’intimato fallimento di (OMISSIS) s.p.a. non ha svolto alcuna difesa.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo di ricorso, nel denunciare la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, assume che il Tribunale avrebbe violato le norme sulla valutazione delle prove e sul riparto dei relativi oneri, senza spiegare le ragioni per cui aveva accolto alcune affermazioni della procedura e rigettato invece le asserzioni del creditore ed omettendo di prendere posizione sulle prove proposte dall’opponente e sui fatti specificamente non contestati.

Il collegio dell’opposizione, al contrario, non avrebbe potuto ignorare tutti i riscontri offerti dal V., procedendo a una valutazione della lite avulsa dagli atti del processo.

3.2 Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale avrebbe tralasciato di esaminare il tema fondamentale della vertenza, costituito dall’indicazione dei parametri utilizzati per la determinazione della percentuale dell’opera svolta rispetto all’intera prestazione prevista in contratto, su cui commisurare il compenso dovuto.

3.3 Le doglianze, da esaminarsi congiuntamente perchè tese a criticare le ragioni concorrenti offerte dal giudice di merito per rigettare l’opposizione, sono inammissibili.

3.3.1 Il Tribunale, come detto, ha ritenuto – con argomenti distinti e autonomi, ciascuno dei quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata – che la domanda di insinuazione del V. non fosse suffragata dalla congerie istruttoria disponibile e comunque facesse riferimento a una attività che, quand’anche reputata completa, era meramente preparatoria rispetto a quella complessivamente pattuita e, come tale, costituiva una porzione pari a un decimo dell’opera da prestarsi.

Il primo motivo si riduce a una generica contestazione delle valutazioni delle risultanze istruttorie compiute dal giudice di merito, che non solo è incoerente con il contenuto del provvedimento impugnato, il quale in realtà apprezza la documentazione prodotta e la ritiene inidonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul creditore, ma evita anche di confrontarsi con lo stesso e contestare in maniera specifica gli argomenti offerti dal collegio dell’opposizione a suffragio del proprio giudizio.

La doglianza risulta così inammissibile giacchè, sotto le spoglie dell’eccepita violazione di legge processuale, tenta di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della prova documentale.

In proposito occorre richiamare il principio secondo cui, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (si vedano in questo senso Cass. 11892/2016, Cass. 24548/2016 e Cass. 5009/2017).

3.3.2 Una volta riconosciuta come inammissibile la critica relativa alla prima ratio decidendi, ne discende, inevitabilmente, l’inammissibilità delle doglianze rivolte alla seconda argomentazione offerta dal Tribunale.

In vero, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 2108/2012).

3.3.3 D’altra parte il medesimo motivo, nel dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, tenta di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della valutazione compiuta dal Tribunale, il quale, provvedendo sulla questione asseritamente trascurata, ha quantificato la percentuale della prestazione realizzata rispetto a quella prevista in ragione del suo carattere “parziale e quasi prodromico” rispetto “all’oggetto effettivo del mandato”, riguardante “principalmente l’attività di predisposizione del piano e fattibilità dello stesso, nonchè tutta la fase di assistenza alla procedura, mai aperta”.

Una simile valutazione, tuttavia, rientra nei compiti demandati al giudice di merito e non può essere rivista in questa sede, dato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal Tribunale.

4.1 Con il terzo motivo di ricorso il decreto impugnato è censurato per falsa applicazione della L. Fall., art. 160, comma 2: il Tribunale, affermando che non è stata compiuta la verifica dei dati contabili, avrebbe fatto mal governo della norma in questione, la quale, pur non contemplando in maniera esplicita l’attestazione di veridicità dei dati aziendali, ontologicamente la presumerebbe in presenza di privilegi generali incapienti.

4.2 Il provvedimento impugnato non contiene alcuna valutazione in merito all’eventuale necessità di verifica della veridicità dei dati aziendali in via prodromica rispetto alla redazione della relazione prevista dalla L. Fall., art. 160, comma 2, ma si limita dapprima a registrare che il contratto intervenuto fra il professionista e la società poi fallita prevedeva non solo il rilascio di tale relazione, ma anche la verifica della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano e l’assistenza alla cliente nel corso della procedura concordataria, quindi a prendere atto che nessuna di tali attività era stata realizzata. La critica in esame si rivela pertanto inammissibile perchè, nel tentativo di implementare in fatto la consistenza della prestazione resa (malgrado il collegio di merito abbia sottolineato l’impossibilità di verificare compiutamente quale attività fosse stata in effetti svolta dall’opponente), prospetta una falsa applicazione di una norma tramite la critica ad affermazioni del giudice di merito rese in termini ben diversi da quelli descritti e relative ad accertamenti in fatto piuttosto che a valutazioni in diritto.

Ciò, ancora una volta, al fine di sovvertire la valutazione compiuta dal Tribunale in merito alle risultanze probatorie sulla consistenza della prestazione resa e, per di più, a dispetto del principio secondo cui il ricorso per cassazione deve fondarsi su motivi, oltre che specifici e completi, anche riferibili alla decisione impugnata (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007), di modo che risulta inammissibile la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) (Cass. 20910/2017).

5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede della procedura fallimentare intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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