Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27453 del 29/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep.29/12/2016),  n. 27453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29266/2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA S. GIOVANNI

IN LATERANO 18-B, presso lo studio dell’avvocato ENNIO CALBI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CONCETTA SANTOCHIRICO giusta

procura speciale alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, V.LE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato ROSSANA

CLAVELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato VITO CIRIELLO giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1039/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

9/04/2014, depositata il 09/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato Annamaria Filomena Russo (delega avvocato Concetta

Santochirico) difensore della ricorrente che si riporta agli

scritti;

udito l’Avvocato Pasquale Di Tesa (delega verbale avvocato Clivelli

Rossana) difensore della controricorrente che si riporta agli

scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del tribunale di brindisi che aveva rigettato la domanda di M.G. volta all’accertamento dell’illegittimità del termine apposto al contratto intercorso con Poste Italiane s.p.a. dal 1 luglio al 30 ottobre 2004, alla conversione del rapporto ed alla condanna della società al risarcimento dei danni.

La Corte di merito ha ritenuto che correttamente il Tribunale aveva accertato che il rapporto sia era risolto per mutuo consenso in considerazione della breve durata del contratto a termine (quattro mesi) ed al consistente lasso di tempo trascorso prima di impugnarlo (sette anni).

In ogni caso, poi, il giudice di appello ha ritenuto legittima l’apposizione del termine motivata con riguardo alla necessità di sopperire al servizio di sportelleria e con riferimento agli accordi stipulati il 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002.

Per la cassazione della sentenza ricorre M.G. che articola quattro motivi cui resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..

Il primo motivo di ricorso che investe la statuizione di risoluzione per mutuo consenso del rapporto è manifestamente fondato alla luce dell’indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (Cass. sez. lav. n. 5887 dell’1/3/2011; Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010; Cass. sez. lav. n. 26935 del 10/11/08; Cass. sez. lav. n. 17150 del 24/6/08; Cass. sez. lav. n. 20390 del 28/9/07; Cass. sez. lav. n. 23554 del 17/12/04; Cass. sez. lav. n. 17674 dell’1/12/02) è nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a far considerare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicchè la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

D’altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contrasto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione “ex lege” per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale con può, di per sè solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutua consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665; Cass., 25/3/93 n. 824 e da ultimo Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010). Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sè, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe “contra legem” anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa della parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003).

Nè il giudice del gravame ha indicato ulteriori elementi oltre al mero decorso del tempo. In conclusione e per le ragioni esposte per tale aspetto il ricorso è manifestamente fondato.

Fondata la censura che investe l’omesso esame di un fatto decisivo.

Va premesso che come riportato dall’odierna ricorrente il termine era stato apposto al contratto per “ragioni di carattere sostitutivo correlata alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso la regione sud 1 assente con diritto alla conservazione del posto nel periodo dal 1.7.2004 al 30.10.2004”

Del tutto errata è allora la motivazione che si diffonde sulla diversa, e non pertinente, causale che richiama la necessità di far fronte ad esigenze organizzative in attuazione di vari accordi mai richiamati nel contratto di cui oggi si controverte.

Nè si può ritenere che con il sintetico riferimento al fatto che si era trattato di un contratto estivo per sostituzione di personale in ferie si sia dato conto esaustivamente delle articolate eccezioni formulate dalla ricorrente sin dal primo grado, e reiterate in appello, con le quali argomentatamente si denunciava che l’assunzione era in realtà giustificata dalla necessità di fare fronte a carenze di organico in servizi (sportelleria) diversi da quello di recapito indicato nel contratto.

In conclusione, alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto con ordinanza ai sensi dell’art. 435 c.p.c. e la sentenza cassata e rinviata alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione che dovrà verificare, alla luce delle eccezioni ritualmente formulate, ignorate dal giudice di appello, se, in relazione alla causale giustificativa contenuta nel contratto intercorso con la M. dal 1 luglio al 30 ottobre 2004 il termine apposto fosse o meno legittimo.

Al giudice del rinvio è rimessa inoltre la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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