Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27452 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. I, 28/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12176/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., a socio unico in Liquidazione, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Viale Santa Teresa n. 23, presso lo studio dell’avvocato

Grimaldi Paolo, rappresentata e difesa dall’avvocato Greco

Giancarlo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Demma S.r.l.;

– intimato –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. a socio unico in

liquidazione, in persona del curatore avv. Tulone Fabio,

elettivamente domiciliata in Roma, V.le Regina Margherita n. 294,

presso lo studio dell’avvocato Vallefuoco Angelo, rappresentata e

difesa dall’avvocato Vajana Marina, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 529/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2019 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

la (OMISSIS) s.r.l. a socio unico, in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Palermo depositata il 18-3-2017, che ne ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento;

la curatela ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 L. Fall., poichè sostiene che, essendo stata al momento già cancellata dal registro delle imprese, era da considerare illegittima la notifica dell’istanza di fallimento e del decreto di convocazione effettuata secondo la sequenza procedimentale di cui alla citata norma;

col secondo mezzo chiede, in difetto, che sia sollevata una questione di costituzionalità quanto alla norma citata, per contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost., per disparità di trattamento rispetto alle norme e ai principi che governano le notifiche alle persone giuridiche;

il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati per ovvia connessione, è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.;

va qui ribadito il principio secondo cui, in caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere notificato, ai sensi dell’art. 15, comma 3, L. Fall. (nel testo successivo alle modifiche apportate dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17 conv. con modif. nella L. n. 221 del 2012), all’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero, nel caso in cui non risulti possibile – per qualsiasi ragione – la notifica a mezzo Pec, direttamente presso la sua sede risultante dal registro delle imprese e, in ipotesi di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo in cui la medesima aveva sede (v. Cass. n. 17946-16, Cass. n. 25701-17);

trattasi di principio consolidato, niente affatto inciso dai rilievi argomentativi di parte ricorrente;

a sua volta la questione di costituzionalità paventata nel secondo motivo è manifestamente infondata, avendo questa Corte egualmente già affermato che l’art. 15, comma 3, L. Fall., nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c., deve essere valutato nella specifica prospettiva del fallimento; e dunque non è in contrasto coi principi costituzionali, giacchè la diversità delle fattispecie a confronto giustifica ampiamente, in termini di ragionevolezza, ogni differenza, come d’altronde sottolineato da C. Cost. n. 146 del 2016, visto che l’art. 145 c.p.c. è esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti a essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto (v. Cass. n. 26333-16); a tanto può aggiungersi che l’obbligo dell’imprenditore collettivo di munirsi di un indirizzo di Pec e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa non ottiene come conseguenza che sia consentito poi disinteressarsi di tale indirizzo e delle relative implicazioni per il sol fatto che vi sia stata la cancellazione della società dal registro; l’attivazione dell’indirizzo Pec è altresì – come detto – funzionale alla prospettiva del fallimento, ex art. 15 L. Fall., e la società cancellata è assoggettabile a fallimento nell’anno dalla cancellazione, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente o entro l’anno successivo (art. 10 L. Fall.);

spese alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5,200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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