Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27451 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 28283/2009 proposto da:

SIGEFIN SRL (OMISSIS), in persona dell’Amministratore Unico e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RICASOLI n. 7, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RAGLIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati BONAVENTURA BALESTRIERI, VISONE

DOMENICO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 182/29/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di NAPOLI del 24.9.08, depositata il 15/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RAFFAELE

CENICCOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, a sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il 15 ottobre 2008 la CTR – Campania rigetta l’appello proposto dalla soc. Sigefin, operante nel settore dei lavori generali di costruzione di edifici, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, confermando l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno 2003, l’Ufficio ha elevato il reddito, rilevante ai fini IVA – IRPEG – IRAP, da 3356 Euro a 250.541 Euro.

Motiva la decisione ritenendo che sia inverosimile il fatto che una società edile, prima abbia inspiegabilmente acquistato prodotti religiosi per il Giubileo, al prezzo fatturato e registrato di ben 249.571 Euro, e dopo due anni se ne sia sbarazzata, in blocco e senza alcun inventario, al prezzo di realizzo di soli 10.000 L. per asserite difficoltà di vendita. Aggiunge che la merce in questione non ha mai avuto attinenza con l’attività edile della contribuente, nè questa ha offerto alcun riscontro del preteso deterioramento della merce stessa o spiegato il mancato ricorso alla distruzione dei beni D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 53.

La contribuente – denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 53, comma, come modificato dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, art. 55 e segg., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55 e ss.;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; omesso esame dipinto di vista decisivo della controversia; in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – marre per cassazione formulando il seguente quesito “… affermare che laddove dei beni rimangano invenduti, anche in grande quantità, un’impresa, nella fattispecie in esame la Sigefin s.r.l., può determinare la perdita di esercizio, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55 e ss., anche sulla base di operazioni diverse dalla distruzione volontaria dei beni medesimi, che siano dirette recuperare anche solo una minima parte delle somme inizialmente investite”.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Si osserva:

a) Il quesito di diritto riguardante, in sostanza, la sola censura di violazione di legge (art. 360 n. 3), è del tutto lacunoso, tautologico e privo dei riferimenti fattuali necessari ai fini della sintesi originale e autosufficiente richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., nell’interpretazione corrente di questa Corte di legittimità (Sez. U. 11210/08). Esso avrebbe dovuto comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo; la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il mezzo inammissibile (Cass. 24339/08).

b) Pure la censura di omessa pronuncia (art. 360 n. 4) è manifestamente inammissibile. Essa, non solo non si conclude con la formulazione di un quesito di diritto sul punto specifico (Cass. 4146/2011), ma trascura che l’omesso esame deve riguardare direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa, mentre l’attività di esame del giudice che si assume omessa non può concerne re una mera circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe asseritamente comportato una diversa decisione (Cass. 5444/2006).

c) Le censure motivazionali, anche loro inammissibili, trascurano che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5) deve essere accompagnato da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; il motivo, cioè, deve contenere – a pena d’inammissibilità un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Sez. U 12339/2010). Nulla di tutto ciò e leggibile nel caso di specie.

d) Inoltre, le stesse censure motivazionali sono intrinsecamente inammissibili pure per aver genericamente prospettato sul punto i vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, infatti, non e concepibile che una stessa motivazione, quanto al medesimo punto decisivo, sia contemporaneamente mancante, carente e illogica.

E’ palese, infatti, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi punti decisivi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi. Perciò è onere della parte ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vero vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost., e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa alla Corte (Cass. 25127/10). Nulla di quanto necessario è riscontrabile nel caso di specie.

e) Infine, il ricorso, nella sua interezza, pecca di autosufficienza (art. 366), mancando del tutto la indicazione e trascrizione eh fonti probatorie addotte dalla contribuente nei gradi di merito a riprova della versione sulla veridicità dell’asserita vendita sottocosto, contestata invece dall’Ufficio controricorrente.

f) Peraltro, la decisione gravata contiene un ampio e non equivoco accertamento di fatto in ordine alla inverosimiglianza, nella specie, di reale vendita sottocosto, che mai potrebbe costituire materia di ricorso in sede di legittimità, attraverso un sorta di riesame di merito. Di contro, la mancata distruzione dei beni non costituisce affatto questione decisiva, atteso il rilievo preminente attribuito dalla CTR. a dati obiettivi quali la svendita in blocco e a prezzo vile, la mancanza di un inventario di essi, la completa estraneità merceologica degli stessi allo scopo sociale e all’attività aziendale, l’assenza di riscontri obiettivi del deterioramento dei medesimi, tutti elementi che, in assenza di allegazioni contrarie, sono di per sè idonei fondare, sul piano logico e circostanziale, il convincimento espresso dei giudici di merito in senso sfavorevole alla contribuente, odierna ricorrente.

Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1″.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;

osservato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta inammissibilità del ricorso, per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione stessa;

considerato che, all’inammissibilità del ricorso, segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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