Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2745 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 05/02/2020), n.2745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29632-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIA DANIELA SACCHI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 22124/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 05/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 26 settembre 2018 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da P.M., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6,;

in particolare il Tribunale, una volta ritenuto che il racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato a seguito della richiesta di risarcimento pecuniario rivoltagli dai proprietari della casa da lui condotta in locazione, dove si era verificato un incendio per sua colpa) fosse credibile, ma privo di elementi utili ad invocare la tutela invocata: i) rilevava che il richiedente asilo aveva narrato una vicenda che non prospettava la sussistenza o il fondato rischio di atti persecutori; ii) osservava, rispetto alla domanda di protezione sussidiaria, da un lato che il migrante non aveva offerto alcuna ragione idonea a ipotizzare la sussistenza del rischio di subire un grave danno in caso di rimpatrio, non essendo stato attinto da alcun provvedimento passibile di condanna in suo danno, dall’altro che la situazione di forte instabilità pur esistente anche nel Delta State, regione di origine del migrante, non raggiungeva la soglia di violenza diffusa e indiscriminata necessaria per la concessione di questa forma di protezione; iii) constatava che un eventuale rimpatrio non avrebbe provocato alcuna compromissione irrimediabile della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, dato che nello stato di origine, dove la compagna e il figlio abitavano in una nuova casa, il richiedente asilo aveva già svolto un’attività lavorativa, mentre non erano ravvisabili specifiche ipotesi di radicamento socio-familiare nel paese di accoglienza; iv) rigettava, di conseguenza, le domande proposte;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia P.M. al fine di far valere cinque motivi di impugnazione;

l’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere il Tribunale applicato i principi di attenuazione dell’onere della prova, arrivando a conclusioni che erano il frutto di un’istruttoria svolta in assenza di un’effettiva valutazione delle argomentazioni addotte e della documentazione fornita;

3.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale infatti ha ritenuto credibili le dichiarazioni del migrante (ma di contenuto inadatto “per ritenere sussistente l’invocata tutela”); il ricorrente dunque non ha alcun interesse a contestare la corretta applicazione dei criteri di valutazione di affidabilità del dichiarante secondo la procedimentalizzazione legale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

4.1 il secondo mezzo prospetta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. b), poichè il Tribunale non avrebbe ritenuto che il pericolo di persecuzione a motivo della fede cristiana professata costituisse una persecuzione per motivi religiosi;

4.2 il motivo è inammissibile;

il ricorrente si duole della mancata valorizzazione, ai fini del riconoscimento del diritto al rifugio, del pericolo di persecuzione a causa della sua fede cristiana;

il decreto impugnato tuttavia non fa il minimo cenno a un simile pericolo (e constata invece come fosse stata prospettata soltanto una minaccia riconducibile “ad una vicenda creditoria privatistica, che dalla lettura della decisione non risulta fosse stato posto dal ricorrente; nè dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato siffatto pericolo;

sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex artis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013);

5.1 il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè il Tribunale non avrebbe riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del migrante in ragione della situazione generale di violenza generalizzata e incontrollata esistente nel paese di origine e dell’impossibilità di chiedere tutela, in caso di minaccia, all’autorità di polizia;

5.2 il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, perchè il Tribunale non avrebbe adeguatamente assolto l’obbligo di cooperazione istruttoria a cui era tenuto, limitandosi a una valutazione del tutto sommaria e superficiale della situazione attualmente esistente in Nigeria, dove in realtà l’intero territorio nazionale e non solo la parte a nord è afflitto da continui scontri perpetrati dagli adepti di (OMISSIS) ed è caratterizzato da un clima di violenze diffuse e indiscriminate;

5.3 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese in cui dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri laddove ha escluso, all’esito dell’esame delle fonti internazionali reperite, che nel paese di origine del migrante ricorresse la situazione di violenza indiscriminata necessaria per riconoscere la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ritenendo inoltre che le autorità statuali potessero offrirgli protezione in caso di minaccia proveniente dai proprietari dell’immobile incendiato;

ambedue le critiche in esame in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cercano di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

esse risultano quindi inammissibili, dato che si traducono in una richiesta di rivisitazione del merito preclusa in questa sede di legittimità;

6.1 l’ultimo motivo di doglianza assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 T.U.I., comma 6, e dell’art. 19T.U.I., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale non avrebbe riconosciuto al richiedente asilo la protezione umanitaria astenendosi però dall’operare un esame specifico e attuale della sua situazione soggettiva e oggettiva, con riferimento al paese di origine e in comparazione con l’integrazione e le condizioni di vita privata in Italia, onde verificare se il rimpatrio avrebbe potuto determinare la privazione dell’esercizio di un nucleo di diritti umani costitutivo dello statuto della dignità personale;

6.2 il motivo è inammissibile;

esso infatti lamenta una mancata comparazione che in realtà è stata effettuata dal giudice del merito, il quale da una parte ha constatato come nel paese di origine il migrante avesse già svolto un’attività lavorativa e si sarebbe ricongiunto con la propria famiglia di origine, dall’altra ha escluso un suo radicamento socio-familiare in Italia, arrivando così ad escludere che un eventuale rimpatrio potesse compromettere la soddisfazione dei bisogni e delle esigenze ineludibili della vita personale;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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