Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27449 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. III, 30/10/2018, (ud. 08/06/2018, dep. 30/10/2018), n.27449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ASSICURATRICE MILANESE SPA in persona del suo Presidente legale

rappresentante pro tempore Avv. M.P., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio

dell’avvocato MARIANI TIZIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato

FERRARI SIMONA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.P., P.C.;

– intimati –

nonchè da:

F.P., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROMANELLI RINALDO giusta procura speciale in calce al controricorso

e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

e contro

P.C., ASSICURATRICE MILANESE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 815/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 20/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo del

ricorso principale, assorbito l’incidentale;

udito l’Avvocato FERRARI SIMONA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.P. conveniva in giudizio il Dottor P.C. esponendo che si era sottoposto a un intervento chirurgico estetico di mastoplastica additiva presso una clinica privata, e di aver subito danni a seguito di risveglio intraoperatorio addebitabile all’anestesista convenuto che non aveva adottato adeguati metodi di monitoraggio della profondità di sedazione. Chiedeva il ristoro del pregiudizio alla persona, tenuto conto che, a seguito e a causa dei fatti allegati, aveva interrotto il proprio processo di transizione dalla condizione maschile a quella femminile, iniziato prima dell’intervento.

Si costituiva P.C. controdeducendo la carenza di fondamento della domanda e chiamando in garanzia la s.p.a. Assicuratrice Milanese, che, a sua volta, associandosi alle difese del convenuto, eccepiva l’inoperatività della polizza.

Il tribunale rigettava la domanda rilevando la mancanza di certezze in ordine al nesso causale.

La corte di appello, pronunciando sul gravame del F., riformava la decisione di prime cure e accoglieva la domanda, rilevando che l’incertezza sul nesso eziologico non poteva ricadere sul danneggiato, e che, d’altra parte, non era possibile affermare la riconducibilità dell’incidente alla categoria di eventi rientranti nel fortuito, posta la bassissima incidenza statistica di quest’ultimo. Liquidava quindi i danni alla persona, escludendo quelli patrimoniali in quanto richiesti in relazione alle diminuzioni di reddito di una società di capitali facente capo all’attore, dotata come tale di autonoma personalità giuridica e, dunque, autonoma legittimazione. Infine disattendeva l’eccezione di inoperatività della polizza assicurativa ritenendo autonomamente coperto il rischio anestesiologico.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Assicuratrice Milanese s.p.a., formulando tre motivi.

Resiste con controricorso F.P. che ha proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione degli artt. 1218,2697 cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nel ripartire l’onere della prova nel quadro della ritenuta responsabilità contrattuale, atteso che la dimostrazione del nesso in parola incombeva sull’attore e, non essendo stata data, la domanda avrebbe dovuto respingersi, tenuto conto, al contempo, che la consulenza d’ufficio aveva escluso ogni profilo di colpa nell’esecuzione della pratica anestesiologica.

Con il secondo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1228 cod. civ., anche in relazione all’art. 2051 cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato ipotizzando un malfunzionamento dei macchinari utilizzati in occasione del trattamento medico, che, se mai accaduto come invece non confermato dall’istruttoria, avrebbe comportato la responsabilità esclusiva della clinica a titolo di custodia, come eccepito dalla deducente nelle fasi di merito.

Con il terzo motivo di ricorso principale si prospetta l’omessa pronuncia sull’eccepita causa di inoperatività della polizza assicurativa in quanto a secondo rischio per l’ipotesi di copertura assicurativa della clinica, e a primo rischio, in caso diverso, limitatamente alla rivalsa per colpa grave mai esercitata.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in merito alla quantificazione del danno biologico, posto che non sarebbero state esaminate le critiche apportate sul punto alla consulenza tecnica d’ufficio con cui era stata indicata una percentuale del 7% di invalidità permanente, laddove la consulenza di parte, su cui quelle contestazioni si erano basate, aveva sottolineato che non era stato spiegato, dal perito giudiziale, perchè nella stessa disciplina statale regolamentare, di cui al D.M. 26 maggio 2004, il disturbo post traumatico da “stress” comportava almeno una percentuale, della menzionata invalidità, pari al 10%.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione conseguente al travisamento delle risultanze della perizia giudiziale che, diversamente da quanto avrebbe ritenuto la corte territoriale, non aveva affermato di aver tenuto conto della sindrome post traumatica da “stress” correlata, a sua volta, all’interruzione della transizione del paziente dalla condizione maschile a quella femminile.

Con il terzo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione degli artt. 1226,2056,2059 cod. civ., e l’omessa, insufficienza e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare, personalizzando la liquidazione del danno con un incremento limitato al 20%, della peculiarità della vicenda, connotata dalla compromissione della vita sessuale del deducente.

Con il quarto motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione degli artt. 100,112 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’affermare la carenza di legittimazione passiva in ordine al danno patrimoniale, atteso che la relativa liquidazione era stata chiesta dal deducente quale socio e sostanzialmente unico proprietario della s.r.l., titolare del 98% delle quote.

3. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.

Va dato atto che questa Corte di recente (cfr., ad esempio, Cass., 07/12/2017, n. 29315, Cass., 15/02/2018, n. 3704), ha ritenuto che in tema di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno.

Quelle che seguono sono le ragioni ricostruite.

E’ stato rilevato che nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, così come in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile e il nesso di causa tra questa e il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti distinti, sicchè la sussistenza della prima non comporta, di per sè, la dimostrazione del secondo e viceversa.

L’art. 1218 cod. civ., in questo senso, solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento. E infatti:

la previsione dell’art. 1218 cod. civ. trova giustificazione nell’opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente, o non esattamente adempiente, l’onere di fornire la prova “positiva” dell’avvenuto adempimento o dell’esattezza dell’adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova, secondo cui essa va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla (Cass., Sez. U., 30/10/2001, n. 13533);

tale maggiore vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale fra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragion d’essere l’inversione dell’onere prevista dall’art. 1218 cod. civ. e non può che valere, quindi, il principio generale espresso nell’art. 2697 cod. civ., che onera l’attore (sia il danneggiato in sede extracontrattuale che il creditore in sede contrattuale) della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa;

ciò vale, ovviamente, sia in riferimento al nesso causale materiale (attinente alla derivazione dell’evento lesivo dalla condotta illecita o inadempiente) che in relazione al nesso causale giuridico (ossia all’individuazione delle singole conseguenze pregiudizievoli dell’evento lesivo);

trattandosi di elementi egualmente “distanti” da entrambe le parti (e anzi, quanto al secondo, maggiormente “vicini” al danneggiato), non c’è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una “prova liberatoria” rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade per la prova dell’avvenuto adempimento o della correttezza della condotta;

nè può valere, in senso contrario, il fatto che l’art. 1218 cod. civ. faccia riferimento alla causa, laddove richiede al debitore di provare “che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”: infatti, come condivisibilmente affermato, di recente, da questa Corte (Cass. Cass., 26/07/2017, n. 18392), la causa in questione attiene alla “non imputabilità dell’impossibilità di adempiere”, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione, costituenti “tema di prova della parte debitrice”, e concerne un “ciclo causale” che è del tutto distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto.

Da quanto esposto deriva, secondo l’anticipato orientamento, che nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata.

E’ stato osservato come questa conclusione non si ponga in contrasto con quanto affermato sin da Cass., Sez. U., 11/01/2008, n. 577, secondo cui “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”. Questo principio venne infatti affermato a fronte di una situazione in cui l’inadempimento “qualificato”, allegato dall’attore (ossia l’effettuazione di un’emotrasfusione) era tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi “più probabili”, nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta. La prova della prestazione sanitaria conteneva già, in questa chiave di analisi, quella del nesso causale, sicchè non poteva che spettare al convenuto l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., comma 2, e non la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 cod. civ..

Ciò posto, deve però rilevarsi che, nel caso in delibazione, la corte territoriale ha in concreto rilevato la sussistenza della positiva prova del nesso causale, poichè ha spiegato come tra tutte le spiegazioni eziologiche possibili, scrutinate dal consulente d’ufficio, il fortuito era statisticamente connotato da una bassissima percentuale, dello 0,1-0,2% dei casi (pag. 3), sicchè la regola probabilistica (espressamente e correttamente richiamata) conduceva a ritenere appunto più probabile la ricorrenza di una delle altre cause, tutte ascrivibili all’errore umano e quindi alla colpa dell’agente (pag. 4, in fine).

E’ in questa cornice che il collegio di merito valorizza la mancata prova, da parte dell’anestesista, dell’assenza di colpa, posto che anche il malfunzionamento dei macchinari non l’escludeva, considerato che egli non aveva provato di aver verificato o essersi assicurato che fosse stata controllata la loro corretta operatività (pagg. 4-5 della sentenza impugnata).

Nè si può affermare un vizio in ordine al rilievo, fatto dalla corte di appello, dell’ipotesi di malfunzionamento appena richiamata, poichè non si deduce l’omesso esame della contraria indicazione della consulenza d’ufficio sul punto, seppure trascritta nel contesto del diverso motivo (a pag. 19 del ricorso), nè, pertanto, un conseguente vizio di sussunzione della relazione causale nella sua propria cornice normativa.

Il motivo, per come formulato, si rivela dunque infondato.

3.1. Il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile.

Il motivo non è idoneo a inficiare la “ratio decidendi” della corte territoriale, poichè l’eventuale sussistenza della responsabilità della clinica come custode, non esclude la colpa imputata per il mancato controllo (diretto o indiretto) dei macchinari. Il tutto fermo restando che parte ricorrente non specifica nè trascrive in quali atti e in che termini abbia sollevato tale questione nelle fasi di merito, limitandosi a un generico rinvio “a tutti gli atti di causa” (pag. 29 del ricorso, ultimo capoverso).

3.2. Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile.

Le sollevate eccezioni inerenti alla inoperatività della polizza, non rilevate dalla corte di appello, si indicano essere state proposte e coltivate nel merito ma senza trascrivere le relative allegazioni (pag. 38, ultimo capoverso), così inficiando il motivo per carenza di autosufficienza ovvero di specificità.

E’ vero, infatti, che la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo” è giudice anche del fatto, e ha, pertanto, il potere di accedere agli atti di causa. E tuttavia, tale potere-dovere della Corte presuppone pur sempre l’ammissibilità della relativa censura, il che comporta che gli atti dai quali dovrebbe desumersi l’errore in parola, oltre che indicati, siano anche in tal senso riprodotti (nelle parti essenziali) (cfr., da ultimo, Cass., 02/02/2017, n. 2771, punto 1.2.2.).

4. Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

Il ricorrente ha eccepito l’omesso esame delle critiche alla consulenza tecnica d’ufficio, a loro volta basate sulla consulenza di parte, ma ha per un verso richiamato cumulativamente una serie di atti difensivi anche meramente illustrativi (quali le comparse conclusionali in primo e secondo grado), e per altro verso non ha trascritto in che termini le suddette contestazioni furono effettivamente articolate e in quali di quegli atti. Dal che discende la violazione del requisito di autosufficienza del motivo.

4.1. Il secondo motivo di ricorso incidentale è in parte inammissibile, in parte infondato.

La corte territoriale ha espressamente considerato il coinvolgimento del profilo inerente alla transizione dalla condizione maschile a quella femminile (pag. 6, primo capoverso, e pag. 7, specie settimo rigo, della sentenza impugnata), e non ha affatto travisato le indicazioni peritali, diversamente ritenendo che, in ragione della natura unitaria del danno alla persona, il suddetto aspetto dovesse ritenersi incluso nella valutazione tabellare della lesione anatomofunzionale.

Non si tratta, cioè, del fraintendimento delle indicazioni peritali, ma di un’affermazione “in iure” che non è specificatamente censurata come tale.

Non vi è pertanto alcuna omissione di pronuncia e neppure un omesso esame di un fatto decisivo e discusso quale deducibile nel regime “ratione temporis” applicabile.

A tale ultimo riguardo deve rilevarsi che alla fattispecie è applicabile la nuova previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, da interpretarsi come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile – con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940).

4.2. Il terzo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

La parte non censura, in tal caso, l’obliterazione della sopra descritta peculiarità della fattispecie, ma ne contesta la scarsa considerazione nella individuazione della percentuale di personalizzazione, così attingendo però, al sindacato di merito in cui quella si risolve.

Non vi è pertanto alcuna delle violazioni di norme sostanziali dedotte, ma neppure un vizio motivazionale, nel perimetro deducibile sopra ricostruito.

4.3. Il quarto motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

Infatti, la parte non riporta la formulazione della domanda che assume aver formulato, in punto di danno patrimoniale, quale socio della s.r.l. a base partecipativa ristretta nei termini che qui espone.

Al contempo è opportuno ribadire che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e si pone un problema di natura processuale. Nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., 18/05/2012, n. 7932). Posto dunque che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, ove questi abbia espressamente ritenuto ricostruttivamente che una certa domanda era stata avanzata in certi termini, tale statuizione non può essere direttamente censurata per infra o extrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, il vizio in parola non è logicamente verificabile prima di avere accertato il vizio motivazionale, qualora deducibile e nel relativo perimetro (Cass., 05/02/2014, n. 2630; Cass., 27/10/2015, n. 21874).

Nella fattispecie in scrutinio, la corte territoriale ha rilevato che la domanda era svolta “a titolo personale” sebbene relativa a un danno “riferibile a una società di capitali”, e tale lettura della domanda non è neppure censurata nei sopra detti termini.

5. Spese compensate stante la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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