Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27448 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27448 Anno 2017
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: CALAFIORE DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 3784-2012 proposto da:
FERABOLI ROBERTO C.F. FRBRRT49D21G906N, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZALE FLAMINIO 19, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE RUSCONI, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
2017
2849

80078750587,

in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
Avvocati SERGIO PREDEN, GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA

Data pubblicazione: 20/11/2017

PATTERI, LUIGI CALIULO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 01/08/2011 R.G.N. 382/2010;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

n.r.g. 3784/2012
Feraboli/Inps

RILEVATO
Che la Corte d’appello di Milano con sentenza n. 865/2011 ha
respinto l’appello proposto da Roberto Feraboli avverso la
sentenza del Tribunale di Varese che aveva rigettato la sua
domanda tesa ad ottenere la pensione di reversibilità del padre,

non ancora maggiorenne al momento del decesso, posto che lo era
diventatoil 21 aprile 1967;
che la Corte di merito, considerato che tra la documentazione sanitaria
prodotta non vi erano certificazioni relative al periodo compreso tra
1’1.2.1956 ed il 21 aprile 1967, che vi era contraddizione tra il verbale del
18 ottobre 1967 del Comitato di assistenza e beneficenza pubblica che
prendeva atto della dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale
del 15 settembre 1967, secondo cui era presente totale e permanente
inabilità lavorativa non di natura psichica, ed altra – di poco successivache accertava una invalidità del 75% senza bisogno di corsi di avviamento
al lavoro, riteneva che il ricorrente, all’epoca del decesso del
proprio padre, non si trovasse nell’assoluta e permanente
impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, irrilevante essendo
la pure accertata invalidità civile e dovendosi escludere la concreta
possibilità di svolgere una utile consulenza medica su situazioni risalenti
ad oltre quaranta anni addietro;
che avverso

tale sentenza

della Corte

territoriale, Roberto

Fera boli propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi
illustrati da memoria e da un quarto motivo di mero richiamo ai motivi
d’appello;
che L’I.N.P.S. resiste con controricorso.
che il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

considerato
che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa

deceduto il giorno 1 febbraio 1956, in quanto figlio a carico ed inabile e

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Feraboli/Inps

applicazione dell’art. 13 commi 1 ed 8 del r.d.l. n. 636/1939 conv. in I.
1272/1939 e succ. mod., 32 e 38 Cost„ 1 comma e), dell’art. 19 e 26
comma 1 della Conv. ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata
con legge n. 18/2009,degli artt. 1 e 26 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea del 18.12.2000, in relazione alla circostanza che, ad

fattispecie l’art. 13 commi 1 ed 8 del r.d.l. n. 636/1939 conv. in I.
1272/1939 e modif. con l’art. 22 I. 903/1965, poiché dagli atti prodotti
risultava lo stato di inabilità derivante dall’esistenza di una cerebropatia
infantile con emiparesi spastica sinistra e grave deficit deambulatorio;
che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge,
omessa pronuncia ed omessa motivazione circa il punto decisivo
dell’accertamento del “proficuo lavoro” ex art. 39 d.p.r. n.818/1957
nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 28 comma 2 lett. c)
e lett. e) della Conv. ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata
con legge n. 18/2009, posto che la citata documentazione sanitaria era
conforme agli arresti giurisprudenziali formatisi in applicazione della
normativa richiamata secondo cui il requisito era integrato anche dal
riconoscimento di una invalidità non totale purché inidonea ad un proficuo
lavoro e tale non era il lavoro svolto dal Feraboli presso l’Associazione
AIAS di Varese;
che il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 445 cod.proc.civ. e
dell’art. 149 disp. att. cod.proc.civ. , posto che la Corte territoriale non
aveva disposto c.t.u. medico legale seppure la stessa non fosse stata
disposta neanche in primo grado e si trattasse di materia previdenziale ed
assistenziale obbligatoria;
che i primi due, articolati, motivi sono connessi in quanto presuppongono
in primo luogo la individuazione delle norme regolatrici della concreta
fattispecie, anche ratione temporis rispetto al 4 maggio 2004, momento
di presentazione della domanda, per cui vanno trattati congiuntamente,
premettendo alla valutazione del motivo relativo al vizio di motivazione le
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avviso della parte, la Corte d’appello non avrebbe applicato alla

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Ferabo I i/Inp s

necessarie considerazioni sistematiche;
che, in particolare, deve ricordarsi che questa Corte di legittimità ha
avuto modo di affermare ( vd. da ultimo Cass. 10953/2016) che la L. n.
222 del 1984, art. 8 (Definizione di inabilità ai fini delle prestazioni
previdenziali) ha introdotto un’unica ed unitaria nozione di “inabilità” ai

pensione di riversibilità (L. 21 luglio 1965, n. 903, artt. 21 e 22) ed alle
altre prestazioni previste dal medesimo art. 8, e cioè quelle di cui alla L.
9 agosto 1954, n. 657, che riguarda i provvedimenti relativi ai lavoratori
tubercolotici e ai loro familiari, e quelle di cui alla L. 4 agosto 1955, n.
692, che riguarda l’estensione dell’assistenza di malattia ai
pensionati di invalidità e vecchiaia ed ai loro familiari e che la stessa
nozione vale anche ai fini del diritto agli assegni familiari, ai sensi del
comma 2 dello stesso art. 8, che ha sostituito il T.U. 30 maggio 1955, n.
797, art. 4, u.c..;
che secondo l’art. 8 sopra menzionato, si considerano inabili le persone
che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino
nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività
lavorativa e tale requisito è più restrittivo di quello richiesto in
precedenza dal d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 39 che considerava
inabili le persone che per gravi infermità fisiche o mentali si trovassero
nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad “un proficuo
lavoro”;
che,

in pa rti cola re non era richiesta la totale inabilità, ma la

concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del
lavoro, delle condizioni soggettive della persona colpita dall’infermità o
dal difetto fisico o mentale e dei fattori ambientali, di dedicarsi ad
un’attività lavorativa utile a soddisfare in modo normale e non usurante
le primarie esigenze di vita;
che la L. n. 222 del 1984, art. 8 viceversa attribuisce rilevanza, ai fini del
riconoscimento della prestazione, al criterio oggettivo della “assoluta e
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fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità (art. 2), alla

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Feraboli/Inps

permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”, nel
senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla
infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba
verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il
possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al

dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, è ormai attestata questa
Corte: si vedano Cass. n. 9946 dell’8 maggio 2014; Cass. n. 9970 del
29 aprile 2009; Cass. n. 16955 de126 agosto 2004);
che, nella specie, la Corte territoriale ha affermato che non vi è alcuna
evidenza che, nel periodo compreso tra il momento del decesso del padre
ed il compimento dei diciotto anni, il ricorrente si fosse trovato
nell’assoluta e permanente impossibilità di lavorare, secondo

la

formulazione della L. n. 222 del 1984, art. 8, non versando

in

una situazione di assoluta inabilità lavorativa e permanendo nello
stesso una residua capacità lavorativa idonea a consentirgli di
procacciarsi i mezzi per la sopravvivenza, per cui sotto tale profilo la
decisione non è incorsa nella denunciata violazione di legge;
che, sotto il profilo del vizio motivazionale, va osservato che i fatti
controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle
relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte di
appello, sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una
tesi diversa da quella sostenuta dalla parte odierna dal momento che la
Corte territoriale ha esaminato e valutato tutta la documentazione
prodotta consistente nel verbale del 18 ottobre 1967 del Comitato di
assistenza e beneficenza pubblica nel quale si prendeva atto della
dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale del 15 settembre
1967, secondo cui era presente totale e permanente inabilità lavorativa
non di natura psichica, e l’altra – di poco successiva- che accertava una
invalidità del 75 010 senza bisogno di corsi di avviamento al lavoro;
che non appare incrinata da illogicità la scelta della Corte territoriale di
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tipo di infermità alle generali attitudini del soggetto (in tal senso, pur

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Feraboli/Inps
sostanziale condivisione della valutazione fatta dal primo giudice in
ordine al riconoscimento di maggiore attendibilità, per specificità e
sufficiente vicinanza temporale all’epoca rilevante per il giudizio, della
documentazione sanitaria di attribuzione dell’invalidità al 75%, anche
per la oggettiva impossibilità – in mancanza di ulteriore documentazione

circa quaranta anni dall’epoca di interesse per il processo;
che quanto al rilievo della violazione dell’art. 445 cod. proc. civ. e
dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ. è, invero, decisiva la
considerazione che per costante giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione (vd.

Cass. 3130/2011; 9060/2003; 3191/2006)

la

consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio,
avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi
acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche
conoscenze, ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può
essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto
assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con
essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova,
ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti
o circostanze non provati. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis,
primo comma, cod. proc. civ.) ;
che, conseguentemente, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio
vanno compensate in ragione delle peculiarità di apprezzamento della
fattispecie concreta.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 21 giugno 2017.
Il Presidente

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fli Sezione 11111111111144M

Giovanni Mammone

medica- di tentare maggiori approfondimenti medico legali a distanza di

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