Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27445 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.29/12/2016),  n. 27445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16997-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), – Società con socio unico – in

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

36, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI ZEZZA giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 830/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

15/05/2012, depositata il 18/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Relazione ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

La Corte di appello di Milano in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città ha confermato l’illegittima apposizione del termine apposto al contratto intercorso tra M.F. e la società Poste Italiane s.p.a. nel periodo dal 31 maggio al 31 agosto 2007 (legittima l’apposizione del termine al contratto 8 febbraio – 31 marzo 2007) ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis come modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, e la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato condannando la società al pagamento, in luogo delle retribuzioni spettanti dalla messa in mora alla riammissione in servizio, di una indennità risarcitoria ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali dal 31 agosto 2007 al saldo.

Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste Italiane che articola sei motivi con i quali denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, artt. 4 e 5 della clausola 5, n. 1 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE, del citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis nonchè della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 43 dell’art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea ed infine della L. n. 183 del 2010, art. 32.

Resiste con controricorso M.F..

Tanto premesso il ricorso è manifestamente fondato.

Le sezioni unite di questa Corte con recenti pronunce al cui insegnamento si rimanda hanno affermato che le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata “ex ante” direttamente dal legislatore e che la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, e successive integrazioni, applicabile “ratione temporis”, è legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano e, in ispecie, il D.Lgs. n. 368 cit., art. 5 come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto. (cfr. Cass. s.u. 31 maggio 2016 n. 11374 ed anche nn. 13529, 13376 e 13375 del 2016).

L’orientamento espresso dalla citata sentenza delle sezioni unite, che affronta e risolve tutte le questioni prospettate anche con riguardo alla conformità della disciplina nazionale da applicare alla normativa comunitaria (cfr. in particolare i punti da 68 ad 80 della sentenza n. 11374 del 2016 cit.), va qui confermato e conseguentemente in accoglimento dei primi cinque motivi di ricorso la sentenza deve essere cassata e la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda.

Nel caso in esame, la normativa su richiamata è stata rispettata: i contratti sono stati due (il primo dall’8 febbraio al 31 marzo del 2007 e il secondo dal 31 maggio al 31 agosto del medesimo anno); sono stati stipulati con soluzione di continuità (quindi non si rientra nel comma 4); il primo ha avuto durata inferiore ai sei mesi e il secondo è stato stipulato oltre il decimo giorno (quindi non si rientra nel comma 3); la loro durata complessiva per quanto stipulati prima dell’introduzione del comma 4-bis, rileva ai sensi della L. n. 247 del 2007, comma 43 – è molto lontana dal tetto dei 36 mesi; i contratti inoltre rispettano le ulteriori specifiche prescrizioni dettate dal D.Lgs. n. 368, art. 2, comma 1-bis. Pertanto, deve ritenersi che i contratti in successione siano conformi alla normativa sul contratto a tempo determinato.

La cassazione della sentenza ed il rigetto della domanda originariamente proposta rende superfluo l’esame dell’ultimo motivo di ricorso che investe la statuizione, rimossa, relativa alla condanna al pagamento dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32.

Per tutto quanto sopra considerato i primi cinque motivi di ricorso, manifestamente fondati, devono essere accolti, restando assorbito l’esame del sesto motivo e la sentenza della Corte di appello di Milano deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con decisione nel merito la domanda originariamente proposta deve essere rigettata.

La complessità della materia trattata ed il recente intervento chiarificatore delle sezioni unite giustificano la integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.

PQM

La Corte, accoglie i primi cinque motivi di ricorso, assorbito il sesto. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda.

Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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