Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27443 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. I, 28/10/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 28/10/2019), n.27443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20182/2016 proposto da:

Banca Popolare di Sondrio, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Ferrari n.

11, presso lo studio dell’avvocato Pacifico Antonio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bonomo Marco, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento Società (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.

G.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Tricerri Laura, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Cremaschi Stefano, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 826/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal cons. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La curatela del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. convenne la Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. innanzi al Tribunale di Bergamo con azione revocatoria ex art. 67 L. Fall. del pagamento eseguito in favore della banca, con denaro proveniente dalla vendita di bene immobile ipotecato, fra l’altro, anche a favore della medesima.

Con sentenza del 27 marzo 2009 il Tribunale accolse la domanda.

La Corte d’appello di Brescia, adita con gravame della banca, ha respinto l’impugnazione, in quanto la lesione della par condicio creditorum deriva, per presunzione assoluta, dall’atto di disposizione patrimoniale, senza che possa assumere rilievo che il pagamento sia collegato alla vendita del bene, pur condizionata alla cancellazione ipotecaria.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la soccombente, sulla base di un motivo; la curatela ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 67 L. Fall., in quanto il pagamento è stato eseguito al creditore ipotecario con i proventi della vendita a terzi del bene ipotecato, situazione in cui nessun interesse ad agire in revocatoria sussiste per il fallimento, non essendovi nessun danno per la massa, da valutare al momento della proposizione dell’azione (12 ottobre 2004), atteso che risulta il soddisfacimento di tutti i creditori garantiti dalle ipoteche gravanti sull’immobile, con una plusvalenza residuata a favore della società debitrice.

2. – Tale motivo è infondato.

Esso pone la questione dell’esistenza dell’interesse ad agire in revocatoria fallimentare quando il bene sia gravato da ipoteca in ragione di mutui fondiari: si sostiene che se il bene andasse all’asta dovrebbe ricavarsi una somma volta in primo luogo a soddisfare i creditori ipotecari.

Tale ragionamento contrasta con quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui, ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall’imprenditore poi fallito, l’eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia poi utilizzato dall’imprenditore per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito da ipoteca) non esclude la possibile lesione della par condicio, nè fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poichè è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi (v. Cass., sez. un., n. 7028 del 2006).

Il principio è stato ripetuto anche più di recente, ed è costante presso questa Corte (cfr. Cass. 14 maggio 2018, n. 11652; Cass. 17 dicembre 2010, n. 25571; Cass. 26 febbraio 2010, n. 4785).

In sostanza, la banca ripropone la teoria indennitaria, che sulla base di una visione monistica delle azioni revocatorie, ordinaria e fallimentare, ritiene l’eventus damni – enunciato come presupposto oggettivo, per la prima di esse, dall’art. 2901 c.c. – necessario anche per la seconda, nonostante l’omesso richiamo della L. Fall., art. 67. Secondo tale ricostruzione esegetica, la lesione delle ragioni creditorie non è conseguenza diretta e indefettibile dell’atto, bensì è solo presunta iuris tantum sulla base dell’insolvenza e passibile di prova contraria.

In posizione antitetica si pone la tesi cd. redistributiva, che, partendo dalla distinzione oggettiva fra i due tipi di azione revocatoria (concezione dualistica), nega che il danno specifico costituisca un elemento essenziale della fattispecie in esame, rinvenendo genericamente il pregiudizio nella violazione stessa del principio della par condicio creditorum, alla cui ratio è informata la redistribuzione fra tutti i creditori della perdita derivante dal fallimento. Affrancata dal nesso causale tra atto e danno, la revocatoria fallimentare potrebbe, in quest’ottica, investire financo atti che non abbiano determinato alcun pregiudizio per il ceto creditorio; o che abbiano addirittura incrementato il patrimonio dell’imprenditore fallito: ciò che spiegherebbe, in sede dogmatica, la revocabilità speciale dei pagamenti di debiti scaduti ed esigibili, ai sensi dell’art. 67, comma 2, L. Fall. nonostante la loro natura di atti dovuti.

Il contrasto tra le due teorie, di natura evidentemente non solo teorica, ma concreta, è stato peraltro composto da Cass., sez. unite, 28 marzo 2006, n. 7028, che ha preso nettamente posizione per la funzione distributiva, affermando che l’eventus damni è in re ipsa, nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum: ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo.

Ricostruzione, questa, che appare anche conforme alla mens legis sottesa all’istituto, di attribuire efficacia deterrente all’azione revocatoria. Altro è, in ultima analisi, l’irrevocabilità della causa di prelazione per decorso del periodo sospetto ed altro la pretesa esenzione dalle regole del concorso, tramite la potestà di escutere direttamente la garanzia – pur nella sussistenza della scientia decoctionis – che, per essere legittima forma di autotutela, presupporrebbe invece (anche se realizzata in forma concordata col debitore), il diritto di agire individualmente, nonostante il fallimento, proprio di talune fattispecie speciali (Cass. 28 maggio 2008, n. 13996). Tale orientamento rende ragione della ritenuta esistenza, nel caso di specie, dell’interesse ad agire. E, nella specie, la corte territoriale ha, seppur con argomentazioni in parte diverse ed a tratti poco pespicue, correttamente riaffermato il principio suddetto.

3. – Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie sui compensi al 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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