Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27443 del 20/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27443 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 2582-2012 proposto da:
SCOTTO ALESSANDRA C.F. SCTLSN87R68G273S, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA DON MINZONI 9, presso lo
studio dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato LUIGI ZEZZA, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro
2017
1360

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’avvocato PAOLO TOSI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI, 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 20/11/2017

avverso la sentenza n. 311/2011 della CORTE D’APPELLO di

BRESCIA, depositata il 14/07/2011, R.G.N.44/2011.

c/c. 3(

3-17 / rg. 2582-12

ORDINANZA pronunciata in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.
LA CORTE
esaminati gli atti e RILEVATO che SCOTTO Alessandra con ricorso del 4 gennaio 2012 ha
impugnato la sentenza n. 311 del 30 giugno – 14 luglio 2011, con la quale la Corte
d’Appello di BRESCIA aveva respinto il gravame interposto dall’attuale ricorrente avverso
la pronuncia emessa in data 11-11-2010 dal locale giudice del lavoro, di rigetto della
domanda di conversione a tempo indeterminato dei contratti di lavoro subordinato a

dall’undici luglio 2007 al 31 gennaio 2008 e dal due maggio al 30 giugno 2008, trattandosi
di contratti rientranti nella previsione speciale contemplata dalla normativa di settore, in
deroga all’ordinaria disciplina per i contratti a tempo determinato, compatibile con i principi
costituzionali e con la direttiva 1999/70/CE, richiamando altresì la giurisprudenza della
Corte di Giustizia U.E. pure in materia di clausole di salvaguardia, non risultando per altro
verso nella specie violata la c.d.

clausola di contingentamento in base alle acquisite

emergenze probatorie, sia per l’anno 2007 che per l’anno 2008, tenuto inoltre anche conto
dei limiti fissati dalla legge n. 247/2007, che aveva introdotto il comma 4 bis all’art. 5 dl.vo
n. 368/2001, normativa per prevenire abusi in materia, entrata in vigore, dal primo
gennaio 2008, quando era ancora in corso il primo dei due suddetti contratti, stante pure
l’apposito regime transitorio di cui al comma 43 dell’art. 1 I. n. 247 cit.;
RILEVATO che il ricorso per cassazione è affidato a cinque motivi, variamente articolati:
1) omessa pronuncia (art. 360 n. 4 c.p.c.) su di un punto decisivo della controversia in
ordine alla I. 11/05 ed in relazione all’art. 112 c.p.c. (mancato iter ex artt. 8 e 9 I. n. 11
cit. per il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario,
mediante apposita legge comunitaria annuale, e non già con la c.d. legge finanziaria,
invece utilizzata per introdurre il comma 1 bis del l’art. 2 dl.vo n. 368/01, mentre sul punto
(pagine 9-10 del ricorso d’appello) non si era pronuncia la Corte territoriale, con
conseguente error in procedendo;
2) violazione / falsa applicazione dell’art. 2, co. 1 bis cit. introdotto dalla L. finanziaria
2005 (art. 1, co. 558, L. n. 266/2005), poiché contrariamente a quanto sostenuto
nell’impugnata sentenza il contratto postale non poteva essere acausale (cfr. meglio pgg. 3
– 11 del ricorso);

termine, stipulati ex art. 2 comma 1 bis dl.vo n. 368/2001 con POSTE ITALIANE S.p.a.,

c.c. 3( )-( )3-17 / rg. 2582-12

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co.

1 bis cit., in relazione alla direttiva

999/70/CE in ordine al primo o unico contratto (in relazione all’art. 360 comma I n. 3
c.p.c. – pagine da 11 a 24 del ricorso);
4) violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 1 comma 43, lettera b,
L. n. 247/07, essendo entrambi i contratti de quibus anteriori al primo aprile 2009, avuto
riguardo all’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro con apposita circolare (pgg. 24
e 25 del ricorso – il comma 43 così testualmente recita: « In fase di prima applicazione

entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto,
anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo
6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal presente articolo; b) il periodo di lavoro già
effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi
successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato
comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data»);
5) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 comma 43 L. n. 247/2007, risultando in ogni
caso che il solo tetto temporale di 36 mesi inadeguato, perché troppo esteso per poter
raggiungere da solo lo scopo di tutela del lavoratore a assunto a tempo determinato, in
base alla direttiva 1999/70/CE, donde la necessità di indicare e di provare le ragioni
temporanee giustificative, atteso quanto affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza
Adeneler, secondo cui in particolare la clausola 5 dell’accordo quadro va intesa nel senso
che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nella specie, secondo
cui soltanto i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli
altri da un lasso temporale superiore a 20 giorni lavorati andavano considerati successivi ai
sensi della succitata clausola;
VISTO che la S.p.a. POSTE ITALIANE ha resistito all’impugnazione avversaria mediante
controricorso in data 13-02-2012;
che risultano dati rituali avvisi alle parti in data 25 gennaio 2017 della fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio al 30 marzo 2017 ex art. 380-bis.1 c.p.c.;
che il Pubblico Ministero non ha presentato requisitorie e che soltanto la società
controricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO
che il ricorso è manifestamente infondato poiché rappresenta doglianze già disattese in
varie occasioni da questa Corte con numerose pronunce emesse in casi analoghi, cui il

I’DG

delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42: a) i contratti a termine in corso alla data di

e:A-2..30-03-17

/ r. 1582-12

collegio intende dare continuità, condividendoli, in assenza altresì di convincenti e
peírtinenti argomentazioni di segno contrario;
che, in particolare, quanto al primo motivo, la censura non supera le argomentazioni in
base alle quali questa Corte ha già giudicato comunque irrilevante la denunciata omessa
pronuncia, trattandosi di questione comunque priva di pregio [v. Cass. lav. sentenza n.
21013 del 2015 che rigettava analogo ricorso contro POSTE ITALIANE S.P.A. avverso la
sentenza n. 198/2009 della CORTE d’APPELLO di MILANO, richiamando in primo luogo la

e della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., e di una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 384 del codice di rito ispirata a tali principi, una volta
verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di legittimità può omettere
la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito
allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo
che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di
questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. Nel caso di specie, quindi, in
particolare il suddetto motivo non risultava fondato, poiché le leggi di adeguamento
all’ordinamento comunitario, previste dalla L. n. 11 del 2005, sono di livello ordinario e non
escludono che sulla materia da esse regolata possano incidere altre leggi di pari livello,
senza che tutto ciò dia luogo a questioni di legittimità costituzionale o ad altre questioni
diverse da quelle attinenti alla successione di leggi nel tempo. Cfr. parimenti Cass. lav.
sentenza n. 20858 del 09/07 – 15/10/2015.
V. inoltre Cass. lav. n. 2324 del 22/10/2015 – 05/02/2016, laddove tra l’altro era stata
dedotta omessa pronuncia, con riferimento alla L. 4.2.2005 n. 11, pure con riferimento alla
disciplina di cui agli artt. 8 e 9 per gli strumenti di recepimento normativo delle direttive
comunitarie ed il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento
comunitario, art. 9 peraltro in seguito abrogato dalla L. 24
dicembre 2012 n. 234, osservando tra l’altro che il comma 1 bis dell’art. 2 d.lgs. n.
368\2001 era stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.
214/2009, e che questa Corte, inoltre, aveva già evidenziato che tale disposizione non
contrastava con l’ordinamento comunitario – tra le varie Cass. 23.9.2014 n. 19998- in
quanto, peraltro, come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea -C.20/10, Vinoera giustificata dalla direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo del mercato interno dei
3
lDG

giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale

c.c. 30-0.3-17

rg. 2582-12

serviizi postali, non venendo in rilievo la direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a tempo
c4terminato. Per di più Cass. lav. n. 11659 -11/07/2012 aveva affermato che la
disposizione dell’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, aggiunta dall’art. 1,
comma 558, della legge n. 266 del 2005, perseguendo una “ratio” di parziale
liberalizzazione delle assunzioni a termine nel settore delle poste, consentiva alle imprese
concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a tempo determinato, nei limiti e per
i periodi ivi previsti, senza necessità di indicare le ragioni obiettive giustificatrici

comunitario, in quanto, come rilevato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-20/10,
Vino), era giustificata dalla direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo del mercato interno
dei servizi postali, non venendo in rilievo la direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a
tempo determinato, neppure con riferimento al principio di non discriminazione, affermato
per le disparità di trattamento fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo
indeterminato, ma non anche per le disparità di trattamento fra differenti categorie di
lavoratori a tempo determinato];
che parimenti privi di pregio risultano il secondo ed il terzo motivo di ricorso, tra loro
evidentemente connessi, dovendosi richiamare l’insegnamento ed i chiarimenti delle
Sezioni unite civili di questa Corte al riguardo, come da sentenza n. 11374 del 5/04 31/05/2016, cui integralmente si rimanda per ogni ulteriore riferimento e
approfondimento, secondo cui, in sintesi, le assunzioni a tempo determinato, effettuate da
imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti
specificati dal comma 1 bis dell’art. 2 del d.lgs. n. 368 del 2001, non necessitano anche
dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai
sensi del comma 1 dell’art. 1 del medesimo d.lgs., trattandosi di ambito nel quale la
valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata

“ex ante” direttamente

dal legislatore (V. ancora Cass. lav. n. 13221 del 26/07/2012: l’art. 2, comma 1 bis, del
d.lgs. n. 368 del 2001, aggiunto dall’art. 1, comma 558, della legge n. 266 del 2005, ha
introdotto, per le imprese operanti nel settore postale, un’ipotesi di valida apposizione del
termine autonoma rispetto a quelle stabilite dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368 del
2001, richiedendo esclusivamente il rispetto dei limiti temporali, percentuali -sull’organico
aziendale- e di comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali e non anche
l’indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, dovendosi escludere
che tale previsione sia irragionevole – come positivamente valutato dalla Corte
4

dell’apposizione del termine. Tale disposizione non contrastava con l’ordinamento

c.c. 3o-o3-17 /

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CO tituzionale con la sentenza n. 214 del 2009 – o contrasti con il divieto di regresso

ntenuto nell’art. 8 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, trattandosi di
disposizione speciale, introdotta accanto ad altra analoga previsione speciale, con la quale
il legislatore si è limitato ad operare una tipizzazione della ricorrenza di esigenze oggettive,
secondo una valutazione di tipicità sociale. Ne consegue che per i relativi contratti di lavoro
non opera l’onere di indicare sotto il profilo formale, e di rispettare sul piano sostanziale la
causale, oggettiva e di natura temporanea, giustificatrice dell’apposizione di un termine al

Cfr. pure Cass. lav. n. 13609 del 2/07/2015, secondo cui il citato art. 2, comma 1 bis, fa
riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del
lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di
assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi dell’art. 1,
comma 1, del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 1997/67/CE,
mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto
a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal
legislatore. Di conseguenza, al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla
prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali, percentuali
(sull’organico aziendale) e di comunicazione previsti dall’art. 2, comma 1 bis);
che, similmente, risultano infondate le censure di cui ai gli ultimi due motivi di ricorso,
anch’essi tra loro connessi, tenuto conto ancora dei principi affermati dalle Sezioni unite
con la pronuncia n. 11374 del 31/05/2016, soprattutto laddove è stato chiarito che la
stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina
di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, e successive integrazioni, applicabile “ratione temporis”, è
legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la
clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che
l’Ordinamento italiano e, in ispecie, l’art. 5 del d.lgs. n. 368 cit., come integrato dall’art. 1,
commi 40 e 43, della I. n. 247 del 2007, impone di considerare tutti i contratti a termine
stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti,
inglobandoli nel calcolo della durata massima di 36 mesi, la cui violazione comporta,
invece, la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto [in senso conforme Cass.
lav. n. 19998 del 23/09/2014, secondo cui l’anzidetto art. 2, comma 1 bis, è compatibile
5

rapporto. Conforme Cass. civ. Sez. 6 – L, ordinanza n. 24240 del 27/11/2015.

c.c. 30-03-17

co

_

/ t.

2582-12

la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE anche nell’ipotesi di

cessione di contratti stipulati nel regime transitorio di cui all’art. 1, comma 43, della
.,j
legge 24 dicembre 2007, n. 247, in quanto tale disposizione sancisce che, decorsi 15 mesi
dall’entrata in vigore della legge, ai fini del limite massimo dei 36 mesi, si computano tutti
i periodi pregressi lavorati con il medesimo datore di lavoro. Di conseguenza, veniva
cassata l’impugnata pronuncia della Corte di Appello di Brescia in data 13/12/2011, che
aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra Poste Italiane e A.

decorrenza da detta data e con conseguente ordine di riammissione in servizio e di
condanna di Poste alla corresponsione di un indennizzo.
Nella fattispecie ivi esaminata, inoltre, andava valutato, altresì, che l’attore aveva concluso
contratti a termine con la citata formula dell’art. 2, comma 1 bis, a decorrere dal 6/4/2006
per terminare con l’ultimo contratto al 31/3/08 e cioè in un periodo complessivo di poco
meno di 24 mesi, ben inferiore al limite dei 36 mesi introdotto dalla L. n. 247, e, dunque,
anche sotto tale profilo, la tesi della Corte territoriale -secondo cui la legittimità della
norma e la sua compatibilità con la clausola 5 dell’allegato alla direttiva vi sarebbe stata
soltanto con la previsione dell’immediata applicazione del termine di 36 mesi- non avrebbe
giovato al ricorrente, che non aveva mai raggiunto il termine introdotto dalla legge n.
247/07. Veniva considerato, ancora, che l’art. 2, comma 1 bis, è stato introdotto dalla L.
23 dicembre 2005, n. 266 ed il limite di 36 mesi era stato sancito dalla L. 24 dicembre
2007, n. 247 e, dunque, a tale ultima data neppure erano decorsi i 36 mesi
dall’introduzione della nuova fattispecie di apposizione del termine. Pertanto, era
censurabile la decisione della Corte territoriale, che aveva ritenuto la nullità dei contratti a
termine intercorsi tra le parti, di modo che non essendo necessari ulteriori accertamenti in
fatto, la domanda originaria doveva essere rigettata. Così la citata pronuncia n. 19998 del
10/07 – 23/09/2014.
Cfr. inoltre da ultimo sul punto Cass. lav. n. 7333 del 6/12/2016 – 22/03/2017: «Né, in
caso di successione di contratti …, può essere ravvisata l’incompatibilità con la clausola n.
5 dell’accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70CE della normativa italiana che
permette la stipulazione di più contratti a termine senza necessità di indicare le ragioni
della scelta ai sensi dell’art. 1 del d. Igs. 368/2001, ma in presenza dei soli presupposti
richiesti dall’art. 2, commi 1 e 1- bis. Invero, come hanno sottolineato le Sezioni Unite
(sentenza n. 11374/2016), la Corte di giustizia ha precisato (Grande sezione, 4 luglio
6
IDG

S. in data 2 novembre 2006, riconoscendo un unico contratto a tempo indeterminato con

c.c. 30-03-17 / r 212-12

2

6, in proc. C-212/04, Adeneler c. Ellenikos Organismos Galaktos) che quella indicata

alla lett. a) del punto n. 1 della clausola 5 dell’accordo quadro (“ragioni obiettive per la
giustificazione del rinnovo”) è una delle tre misure considerate idonee a prevenire gli
abusi, che non devono essere tutte presenti in quanto è sufficiente che lo Stato membro
ne adotti una. E con riferimento ai settori indicati nei commi 1 e 1-bis dell’art. 2, il
legislatore italiano – introducendo, con la legge n. 247 del 2007, l’art. 5, comma 4-bis, del
d. Igs. 368/2001, il limite massimo dei 36 mesi, da calcolare “indipendentemente dai

ai contratti già stipulati – ha adottato la misura prevista dalla lett. b) (“durata massima
totale dei contratti o rapporti a tempo determinato successivi”), in aggiunta peraltro ad
altre restrizioni specifiche»];
che, pertanto, il ricorso va disatteso, con conseguente condanna della parte rimasta
soccombente alle spese;
che, infine, non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. 115/2002,
ratione temporis inapplicabile nella specie, trattandosi di ricorso risalente all’anno 2012;
P.Q.M.
la corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che
liquida a favore della controricorrente in euro #3500,00# per compensi professionali
ed in euro #200,00# per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per
legge.

periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro” ed anche con riferimento

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