Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27441 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. III, 30/10/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 30/10/2018), n.27441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GAINNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5695/2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, quale successore ex

lege dell’INPDAP, in persona del Presidente Prof.

B.T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ASSUMMA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CIPRIANI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1498/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

C.F. presentò opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’Impdap per Euro 66.551,94 a titolo di canoni ed oneri contrattuali rimasti non pagati in relazione alla locazione di un immobile sito in (OMISSIS). Rappresentò che era stato stipulato nel 1976 un contratto di locazione tra l’istituto e (OMISSIS), suo coniuge separato, e che, in sede di separazione consensuale omologata del 30/4/1985, l’immobile era stato assegnato a lei, che era dunque subentrata nel contratto di locazione ed aveva ininterrottamente occupato l’immobile stesso fino al 4/8/2008. La C. presentò opposizione al decreto ingiuntivo sollevando varie eccezioni, tra cui quella di prescrizione quinquennale dei crediti vantati da Inpdap. Il Tribunale di Venezia, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo condannando la C. a pagare la minor somma di Euro 10.450,46. L’Inps presentò appello chiedendo fosse accertata l’efficacia degli atti interruttivi della prescrizione posti in essere in costanza di rapporto e la Corte d’Appello di Venezia, per quanto rileva in questa sede, premesso che il trasferimento ex lege del contratto di locazione della casa ex coniugale comporta l’estinzione del rapporto locatizio nei confronti dell’ex conduttore non assegnatario, ha ritenuto che le diffide indirizzate al marito della C., non più assegnatario dell’immobile, sia pur presso lo stesso indirizzo di residenza, non svolgessero efficacia interruttiva della prescrizione, e che il primo atto interruttivo idoneo fosse quello accertato dal giudice di primo grado. La Corte d’Appello ha accolto parzialmente l’appello riformando la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva ritenuto salvi dalla prescrizione i canoni locatizi maturati nel quinquennio anteriore all’atto interruttivo ex art. 2948 n.3 c.c. ed ha condannato la C. a pagare all’Inps la somma complessiva di Euro 11.011,75, in parte a titolo di canoni, in parte per oneri accessori, oltre ad una penale prevista nel contratto. Avverso quest’ultima sentenza l’INPS propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. La C. non svolge attività difensiva.

Considerato che:

1. Con il primo motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175,1374 e 1375 c.c., nonchè art. 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) l’Inps censura la sentenza nella parte in cui, omettendo di considerare che l’Istituto locatore non era stato informato dell’assegnazione della casa ex coniugale alla C., ha ritenuto che le diffide spedite a nome del marito nell’indirizzo di residenza della moglie, non fossero efficaci nei confronti della stessa ai fini interruttivi della prescrizione. Il ricorrente afferma che l’operatività ex lege del fenomeno successorio non escludeva che la C., proprio perchè subentrata al coniuge nel rapporto locativo, fosse tenuta a dare comunicazione all’ente locatore dell’intervenuta modificazione soggettiva del rapporto, altrimenti determinando una palese violazione dei principi posti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., ed un abuso del diritto, consistente nell’esonerare la parte succeduta nel contratto di locazione dalla fondamentale obbligazione di pagare il canone, con conseguente gravissimo pregiudizio dell’utilità del contratto per la controparte.

1.1 Il motivo è fondato e merita accoglimento. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha affermato che “il locatore, pur in presenza di una successione nel contratto ex latere conductoris di stampo legale e non negoziale, ha comunque il diritto di conoscere quale sia il soggetto divenuto nuovo titolare dei diritti e degli obblighi scaturenti dal rapporto (sia agli effetti di un controllo della regolarità della vicenda traslativa, sia agli effetti dell’individuazione della controparte interessata alle future vicende contrattuali, quali la rinnovazione, l’aggiornamento del canone, la risoluzione). L’automatismo del meccanismo successorio disciplinato nella L. n. 392 del 1978, art. 6, implica, infatti, la ininfluenza di un qualsivoglia apporto volitivo, di adesione o di accettazione da parte del locatore ceduto, ma non implica altresì che, in un rapporto contrattuale di durata a prestazioni corrispettive, il cambiamento di titolarità di uno dei due contraenti possa operare e svolgere i propri effetti nella ignoranza dell’altro (Cass., 3, n. 1831 del 14/2/1992).

La giurisprudenza di questa Corte, relativa alla successione ex lege nel contratto di locazione ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 6, è consolidata nel senso di ritenere che, nella cessione, si realizzi in senso figurativo e virtuale una sorta di riconsegna al locatore dell’immobile e la consegna del bene al nuovo conduttore e che la legge sciolga il meccanismo della solidarietà altrimenti vincolante entrambi i coniugi, “ovviamente dal momento della comunicazione al locatore dell’avvenuta separazione e solo per i debiti maturati successivamente” (Cass., 3, n. 10104 del 30/4/2009; Cass., 3, n. 19691 del 17/7/2008).

Nella fattispecie il silenzio serbato sul verificarsi della fattispecie successoria sia dall’originario locatore, sia dalla nuova locataria, pur non condizionando il verificarsi della successione, una volta considerati i principi sul dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto, a norma dell’art. 1375 c.c., palesa una situazione nella quale, per un verso, le richieste di pagamento da parte della locatrice indirizzate al vecchio locatore, coniuge della C., risultavano giustificate dalla mancata notiziazione della successione, e, per altro verso, evidenzia che la medesima, astenendosi dal comunicare la successione e la sua nuova posizione di locataria, ha sostanzialmente accettato che gli atti di esercizio delle pretese della locatrice continuassero ad essere indirizzate al marito e spiegassero effetti nei suoi riguardi.

La regola dell’art. 1375 c.c., giustifica che tali effetti, pur formalmente indirizzati al merito dall’Inps, nella situazione di incolpevole conoscenza della successione, siano ad essa riferibili, come se il marito avesse avuto una sorta di potere di rappresentanza senza spendita del suo nome a riceverli.

E ciò per una decisione imputabile alla C., cioè quella di non comunicare la successione, così consentendo alla locatrice di esercitare nei suoi confronti i diritti relativi al rapporto contrattuale.

Ne consegue la necessità di cassare parzialmente con rinvio l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha statuito in modo non conforme ai principi di diritto qui affermati. Il giudice di rinvio deciderà conformandosi ad essi.

2. Con il secondo motivo di ricorso (nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) l’Inps censura la sentenza nella parte in cui nella medesima vi sarebbe un evidente contrasto tra motivazione e dispositivo laddove, la Corte d’Appello, da un lato, avrebbe riconosciuto non prescritti i crediti del quinquennio anteriore al 24/12/2004, e dall’altro, in dispositivo, non avrebbe sommato il nuovo quantum, acclarato in appello, all’importo precedentemente liquidato dal Tribunale, ma avrebbe complessivamente liquidato il credito di Inps senza specificare se le nuove somme andassero o meno ad aggiungersi a quelle del primo grado. Il ricorrente, non potendo integrare il dispositivo con la motivazione, chiede la cassazione della sentenza in parte qua o la pronuncia nel merito.

2.1. Il motivo, pur fondato, è assorbito dall’accoglimento del primo motivo in quanto, a seguito della rivalutazione della domanda da parte del giudice di merito alla luce dei principi fissati da questa Corte, la Corte d’Appello di Venezia avrà modo di svolgere il corretto calcolo del dovuto, rendendo congruente la motivazione della sentenza con il dispositivo.

3. Conclusivamente la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza in relazione e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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