Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2744 del 30/01/2019
Cassazione civile sez. VI, 30/01/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 30/01/2019), n.2744
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21446-2018 proposto da:
S.H., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
LUCA ZUPPITLI;
(Ammesso P.S.S. Delibera 19/07/18 Ord. Avv. Brescia).
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONI TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO
DILLA PROTEZIONE INTIRNAZIONALE DI BRESCIA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il
27/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA
TRICOMI.
Fatto
RITENUTO
CHE:
Il Tribunale di Brescia, con il decreto n.2495 pubblicato il 27/6/2018 ha respinto la domanda di protezione internazionale – già denegata dalla Commissione Territoriale competente proposta da S.H., originario del Mali, di etnia Peul.
Secondo il Tribunale, la narrazione dei fatti non risultava attendibile, atteso che il richiedente aveva fornito versioni contrastanti circa l’epoca e le circostanze che lo avrebbero determinato ad abbandonare il villaggio di Marena ed in merito all’episodio che avrebbe portato alla morte dello zio ed all’arresto del padre; inoltre, dalle consultazioni delle COI, pur risultando tensioni e discriminazioni verso l’etnia Peul, non erano emersi dati relativi a scontri etnici insorti nello specifico villaggio di Marena.
Veniva, quindi, esclusa la ricorrenza dei presupposti per tutte le forme di protezione internazionale richiesta.
Il richiedente propone ricorso per cassazione con due motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art.380 bis c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
1. Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale non sono state mosse osservazioni critiche.
2. Il ricorrente assume, con il primo mezzo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e del T.U.I., art.5, comma 6, sostenendo che il Tribunale non avrebbe preso atto della documentazione prodotta, oltre che delle dichiarazioni precise rese dal dichiarante e non avrebbe attivato i poteri officiosi necessari per una adeguata conoscenza della situazione del Paese al fine di valutare la richiesta di protezione umanitaria; con il secondo mezzo denuncia la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione lamentando il mancato scrutinio preliminare dell’attendibilità del richiedente, alla stregua dei criteri legali.
3. Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi concernono la valutazione di inattendibilità/non credibilità della narrazione dei fatti che secondo il richiedente – lo avrebbero indotto ad abbandonare il proprio Paese.
Giova ricordare che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.” (Cass. n.16925 del 27/06/2018)
Orbene, nel caso in esame, il Tribunale ha dato corretta applicazione a detto principio, avendo ravvisato la inattendibilità delle dichiarazioni non già nella mancanza di riscontri probatori, ma nella intrinseca contraddittorietà delle dichiarazioni alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs n. 251 del 2007, art. 3, peraltro estesa anche alle informazioni in merito alla situazione del villaggio di provenienza, oggetto di approfondimento istruttorio ufficioso.
A fronte di un accertamento puntualmente motivato, le doglianze risultano formulate in modo astratto – in quanto in nessun passaggio del ricorso si confrontano con il contenuto della sentenza che, esaminate le dichiarazioni rese secondo ì criteri legali, ha posto in evidenza le ragioni di contraddittorietà ed inverosimiglianza, anche alla luce delle informazioni acquisite – ed integrano una inammissibile richiesta di riesame delle risultanze processuali e una istanza di rivalutazione degli elementi emersi nel corso della fase di merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/4/2014), specie con riferimento alla esclusa credibilità del dichiarante, o di esercizio – inammissibile in questa sede – di indagini, con riferimento ad elementi già esaminati e confutati nella sentenza impugnata (circa l’esclusione della situazione di pericolo per la violenza indiscriminata di cui potrebbe essere vittima nel caso di ritorno in patria).
4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Non si provvede sulle spese di giudizio, atteso il mancato svolgimento di attività difensive della controparte, rimasta intimata.
Non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, essendo il ricorrente stato ammesso provvisoriamente al patrocinio a spese dello Stato.
PQM
– Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019