Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27437 del 09/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27437 Anno 2013
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 171 – 2008 R.G. proposto da:
AMABILE GERARDINA – MBLGRD55L56G011M, rappresentata e difesa, in virtù di
procura speciale a margine del ricorso, dall’avvocato Remigio Fiorillo, unitamente al quale
elettivamente domicilia in Roma, alla via Baldo degli Ubaldi n. 66, presso lo studio
dell’avvocato Simona Rinaldi Gallicani.
RICORRENTE
contro
RIZZO LUIGI – RZZLGU38B25H062V, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a
margine del controricorso, dagli avvocati Franco Miglino e Arnaldo Miglino, unitamente ai
quali elettivamente domicilia in Roma, alla via della Giuliana n. 44.
CONTRORICORRENTE
e
sul ricorso incidentale 3033 – 2008 R.G. proposto da:

,r1 5-If

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Data pubblicazione: 09/12/2013

iI

RIZZO LUIGI — RZZLGU38B25H062V, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a
margine del controricorso, dagli avvocati Franco Miglino e Arnaldo Miglino, unitamente ai
quali dettivamente domicilia in Roma, alla via della Giuliana n. 44.’
RICORRENTE INCIDENTALE
contro

procura speciale a margine del ricorso, dall’avvocato Remigio Fiorillo, unitamente al quale
elettivamente domicilia in Roma, alla via Baldo degli Ubaldi n. 66, presso lo studio
dell’avvocato Simona Rinaldi Gallicani.
CONTRORICORRENTL
Entrambi avverso la sentenza n. 637 del 16.10.2006 del tribunale di ‘Vallo della Lucania,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7 novembre 2013 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per il rigetto e del ricorso principale e del ricorso incidentale,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto in data 26.5.1990 il pretore di Agropoli, su ricorso di Luigi Rizzo,
ingiungeva a Gerardina Amabile il pagamento della somma di lire 2.480.000, oltre interessi e
spese, quale residuo – all’esito del versamento dell’acconto di lire 2.500.000 – dell’importo complessivamente pari a lire 4.980.000 – dalla ingiunta dovuto al ricorrente a titolo di
corrispettivo per la realizzazione ed installazione di talune porte, giusta accordo dalle
medesime parti siglato in data 11.11.1989.
Si opponeva l’Amabile, deducendo che il corrispettivo era stato pattuito in lire
3.000.000 e che il saldo di lire 500.000, residuante all’esito della corresponsione dell’acconto,
era stato da ella trattenuto e non versato, giacché le opere fornite era risultate affette da gravi

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AMABILE GERARDINA — MBLGRD55L56G011M, rappresentata e difesa, in virtù di

vizi, sicché controparte non aveva correttamente adempiuto la sua obbligazione. Chiedeva,
pertanto, in via riconvenzionale il risarcimento del danno sofferto.
Ammessa ed assunta la prova testimoniale all’uopo invocata, disposta ,ed espletata
consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di pace, con sentenza depositata il 23.5.2000, rigettava
l’opposizione, confermava il decreto e condannava l’ingiunta al pagamento delle spese di lite.

Si costituiva e resisteva l’appellato.
Disposta ed espletata ulteriore consulenza d’ufficio all’esclusivo fine di quantificare
all’attualità l’importo dei danni, con sentenza del 16.10.2006 il tribunale di Vallo dello
Lucania dichiarava la nullità della sentenza appellata, revocava l’originario decreto
ingiuntivo, dichiarava integralmente compensate le ragioni di credito dall’una e dall’altra
parte azionate, così rigettando le domande rispettivamente spiegate, compensava
integralmente le spese del doppio grado e poneva a carico di ciascuna parte la giusta metà
delle complessive spese della duplice consulenza tecnica.
A fondamento della statuizione il giudice del gravame evidenziava, tra l’altro, “che le
parti, conformemente all’esperienza comune, quando pattuirono il prezzo complessivo di lire
3.000.000 per la commissione, intesero riferirsi al prezzo iva inclusa”; che “non trova pertanto
riscontro la fatturazione effettuata dal Rizzo per un importo maggiore (lire 3.600.000 oltre
iva), non essendo stata data prova dei riferiti ulteriori lavori svolti dal Rizzo, sia sotto il
profilo dell’incarico suppletivo che sarebbe stato dato dall’Amabile, sia sotto il profilo della
loro natura e consistenza”; che “le fatture in atti non aiutano in tal senso… analogamente a
dirsi per le bolle di accompagnamento”; che, “quanto ai lavori, questi effettivamente furono
incompleti.., e non eseguiti a regola d’arte”; che, “in ordine ai danni subiti dall’Amabile… il
CTU… ha liquidato, all’attualità, la somma di euro 1.000,00″; che “risponda ad

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Interponeva appello Gerardina Amabile, instando per la riforma della gravata sentenza.

equità ritenere che quanto dovuto dal Rizzo all’Amabile a titolo di danni, corrisponda a
quanto dovuto dall’Amabile al Rizzo a titolo di saldo del prezzo”.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Gerardina Amabile, chiedendo la cassazione
dell’iínpugnata sentenza, con vittoria di spese, da distrarsi ‘in favore del difensore
anticipatario.

chiedendo la cassazione della sentenza d’appello, con il favore delle spese, da distrarsi a
vantaggio del difensore anticipatario.
La ricorrente, a sua volta, ha depositato controricorso, onde resistere al ricorso
incidentale.
La ricorrente, altresì, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
All’udienza pubblica del 7 novembre 2013, nonostante la ritualità delle comunicazioni
ex art. 377, 2° co., c.p.c., le parti non sono comparse.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi
separatamente proposti avverso la medesima sentenza.
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione
dell’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c..
All’uopo adduce che il giudice dell’appello ha erroneamente ritenuto di liquidare il
risarcimento ad ella spettante “in via equitativa, e ciò benché il consulente d’ufficio avesse
espressamente indicato quale fosse la somma all’uopo necessaria sia all’attualità sia al
momento dei fatti” (così ricorso, pag. 38).
Il motivo è inammissibile e, comunque, è infondato.
E’ fuor di dubbio che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità,
l’esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i

Luigi Rizzo ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale, del pari

requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione censurata (cfr., tra le altre,

Cass. 17.7.2007, n. 15952).
Ebbene, siccome meglio si espliciterà in sede di vaglio degli ulteriori motivi fondanti il
ricorso principale, la disamina del passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza nel cui
ambito si colloca l’espressione “risponda ad equità”, induce a reputare, univocamente, che il

ricorso al parametro equitativo di cui all’art. 1226 c.c. ai fini della liquidazione del danno
sofferto dall’Amabile. Ha inteso, piuttosto, nel solco delle risultanze delle consulenze
d’ufficio all’uopo disposte, fornire rappresentazione semantica del buon governo che delle
medesime risultanze ha reputato di operare.
In tal guisa il motivo de quo agitur non risulta correlato alla ratio decidendi.
E’ indubitabile, in ogni caso, che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio
non hanno alcuna efficacia vincolante per il giudice, sicché l’organo giudicante può
legittimamente disattenderle ancorché sulla scorta di una valutazione critica ancorata alle
risultanze processuali, congruamente e logicamente motivata (cfr. Cass. 3.3.2011, n. 5148).
In questi termini, seppur si ammettesse — il che è da escludere, siccome si enuncerà in
sede di esame dei successivi motivi di impugnazione – che il tribunale di Vallo della Lucania
abbia disatteso le conclusioni cui, ai fini della quantificazione dell’importo del nocumento
sofferto dall’Amabile, era pervenuto l’ausiliario, in nessun modo siffatta circostanza varrebbe
ad integrare, di per sé, violazione di legge e, segnatamente, violazione dell’art. 1226 c.c..
Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce, nel segno dell’art. 360, 1° co., n.
5), c.p.c., il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.
All’uopo adduce che il giudice di secondo grado, “sebbene avesse espressamente
condiviso la consulenza tecnica espletata in secondo grado, ha poi ritenuto di disattenderne le
risultanze, approdando ad una determinazione equitativa del danno” (così ricorso, pag. 40);

giudice del gravame non ha inteso affatto, allorché ha adoperato la riferita espressione, far

che la contraddittorietà della motivazione sarebbe del tutto evidente, giacché “non è dato
comprendere come le risultanze della CTU espletata in appello siano state dapprima condivise
perché immuni da vizi logici e tecnici…., e poi disattese…” (così ricorso, pag. 41); che, al
contempo, pur “nella ipotesi in cui il ricorso all’equità fosse da ritenersi legittimo, va
evidenziata l’omessa e comunque insufficiente motivazione afferente il fatto, decisivo e
(così

ricorso, pag. 45); che “il giudice non ha dato adeguata contezza di quali fossero gli element’
sulla scorta dei quali egli ha ritenuto di fissare il risarcimento del danno (espressamente
parametrato alla spesa necessaria per eliminare i vizi riscontrati) nella indicata somma di lire
500.000” (così ricorso, pag. 46).
Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c., l’Amabile deduce la
violazione dell’art. 2226, 3° co., c.c. e dell’art. 1668 c.c..
All’uopo adduce che il tribunale di Vallo della Lucania “ha compensato il credito vantato
da essa ricorrente a titolo di risarcimento del danno con quello vantato dal Rizzo a titolo di
prezzo residuo, valorizzando il primo all’epoca della conclusione del contratto” (così ricorso,
pag. 48); ed ha soggiunto che “il tribunale, prima di operare la compensazione impropria
avrebbe dovuto attualizzare il risarcimento del danno al momento della decisione, calcolare
sullo stesso gli interessi compensativi e sottrarre dalla somma così ottenuta il residuo del
prezzo senza interesse alcuno (per effetto della svolta eccezione di inadempimento)” (così
ricorso, pag. 48).
Gli enunciati motivi appaiono intimamente connessi, sicché se ne giustifica la contestuale
disamina.
Al riguardo va in linea preliminare rimarcato che la ragione di inammissibilità – difetto di
correlazione alla ratio decidendi – involgente il primo motivo di ricorso e già palesata, induce,
di conseguenza, a reputar analogamente inammissibili i profili del secondo motivo con cui si

controverso, della quantificazione del risarcimento del danno operata dal tribunale”

prospetta il contraddittorio — rispetto ai postulati della consulenza pur in tesi integralmente
condivisi — (asserito) ricorso al parametro di liquidazione ex art. 1226 c.c. nonché
l’insufficiente esplicitazione delle ragioni atte a fondare il dictum (asseritamente) affermato
alla stregua di tal medesimo paradigma codicistico.
Su tale scorta va evidenziato che il giudice del gravame ha fatto propri gli esiti degli

particolare, a seguito dell’accesso avvenuto in data 14.3.1994, aveva acclarato che, eccezion
fatta per la laccatura, che pur all’atto del sopralluogo si era presentata in pessime condizioni,
gli ulteriori difetti riscontrati scaturivano senz’altro da un’imperfetta esecuzione delle opere.
Va evidenziato altresì che il giudice del gravame ha fatto propri gli esiti degli
accertamenti condotti in secondo grado dal consulente già nominato in prime cure e
nuovamente sollecitato in grado d’appello a prestare il suo ausilio: costui, in particolare,
aveva concluso il suo mandato nel senso che “per sistemare gli infissi e renderli idonei all’uso
ed accettabili sotto l’aspetto estetico era necessaria una somma non superiore a lire 1.500.000,
all’attualità occorrerebbe una somma di circa 1.000 Euro”.
Va evidenziato inoltre che il giudice del gravame ha dato atto, in aderenza allo stato dei
luoghi riscontrato dal consulente in seconde cure, che le porte eseguite da Luigi Rizzo erano
state rimosse e sostituite con altre.
Va evidenziato ancora che il giudice del gravame ha dato atto che in seconde cure
l’ausiliario non aveva provveduto all’analitica quantificazione dei costi necessari onde
eliminare i vizi riscontrati in prime cure.
In tal guisa non solo è da escludere che il giudice d’appello abbia contraddittoriamente
disatteso gli esiti della disposta consulenza, non solo è da escludere che non abbia dato
contezza ovvero che abbia dato contezza insufficiente delle ragioni fondanti la propria
statuizione, ma è da disconoscere, in pari tempo, che abbia contraddittoriamente governato il

accertamenti condotti in primo grado dal consulente in quella sede officiato: costui, in

complesso delle risultanze istruttorie in sede di quantificazione e di parificazione delle
contrapposte ragioni di credito.
Più esattamente il tribunale di Vallo della Lucania, concisamente nondimeno
univocamente, ha preso atto che il consulente in seconde cure aveva quantificato in cifra
approssimativamente pari ad euro 1.000,00 il pregiudizio sofferto dall’Amabile, ossia in cifra

all’epoca dei fatti in “una somma non superiore a lire 1.500.000”) ed ha liquidato sulla
scorta di tale misura il nocumento sofferto dalla ricorrente principale; al riguardo va
imprescindibilmente rimarcato che l’espressione “quanto dovuto dal Rizzo all’Amabile a
titolo di danni”, ancorché sintetica, è certo omnicomprensiva, sicché si qualifica come
inglobante pur gli interessi cui la ricorrente principale aveva diritto.
Al contempo, il giudice di secondo grado, del pari concisamente pur tuttavia
univocamente, ha determinato in eguale importo — significativa è l’espressione “corrispondP
a” – il residuo credito del ricorrente incidentale: l’espressione “quanto dovuto dall’Amabile al
Rizzo a titolo di saldo del prezzo”, sintetica ma parimenti omnicomprensiva, si qualifica
similmente come inglobante anche gli interessi cui il ricorrente incidentale aveva diritto.
In questi termini la prospettazione della ricorrente principale, secondo cui il giudice di
secondo grado non avrebbe dato conto degli elementi alla cui stregua avrebbe fissato in lire
500.000 il quantum del risarcimento spettante all’Amabile, è doppiamente destituita di
fondamento ed, ancor prima, priva di correlazione con il reale impianto della motivazione
dell’assunta decisione.
Nei medesimi termini, inoltre, la duplice prospettazione — di cui al terzo motivo – della
ricorrente principale, secondo cui il tribunale di Vallo della Lucania avrebbe determinato il
quantum del proprio credito risarcitorio “all’epoca della conclusione del contratto” e non

a

tendente e non superiore ad euro 1.000,00 (del resto il consulente aveva stimato i danni

avrebbe calcolato sul medesimo credito gli interessi compensativi, è egualmente destituita di
fondamento ed, ancor prima, priva di correlazione con il reale impianto della motivazione.
Negli esposti termini, infine, la prospettazione – di cui al terzo motivo – della ricorrente
principale, secondo cui il giudice di seconde cure avrebbe dovuto “sottrarre dalla somma così
ottenuta il residuo del prezzo senza interesse alcuno (per effetto della svolta eccezione di

l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale la parte contrattuale che subisce l’avversa
eccezione di inadempimento, benché non abbia diritto agli interessi moratori, ha di certo
diritto agli interessi compensativi (cfr. Cass. 23.3.1991, n. 3184; Cass. 9.1.1990, n. 1; Cass.
20.8.1986, 5105).
La decisione del giudice di secondo grado, in rapporto ai motivi tutti fondanti il ricorso
principale, risulta, quindi, congruamente motivata ed immune da vizi e logici e giuridici.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale censura la statuizione del giudice del
gravame ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. per omessa ed insufficiente motivazione.

Con il secondo motivo il ricorrente incidentale censura la statuizione di secondo grado,

in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 1
d.p.r. 627/1978 e 2697 c.c..
Ambedue i motivi appaiono strettamente connessi; il che ne suggerisce la contestuale
disamina.
Entrambi i motivi, in ogni caso, risultano inammissibili.
Per un verso, in ordine al primo, va in questa sede ribadito che il requisito prescritto
all’art. 366 bis, seconda parte, c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso di specie) per il
motivo di cui al n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.c. – cioè la “chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a

inadempimento)”, è errata in diritto. Difatti, in questa sede non può che esser reiterato

giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò
specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato
allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito
di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del
ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso

contraddittoria od insufficiente la motivazione (cfr. Cass. ord. 18.7.2007 n. 16002).
In tal guisa si evidenzia che unicamente la disamina della complessiva rappresentazione
del primo motivo fondante il ricorso incidentale induce a reputare che Luigi Rizzo assume sostanzialmente – che il tribunale, in spregio alle risultanze istruttorie, avrebbe
immotivatamente disconosciuto l’acquisito riscontro probatorio degli aggiuntivi lavori
all’uopo commissionatigli e da lui eseguiti.
Per altro verso, in ordine e al primo motivo e al secondo motivo del ricorso incidentale,
va rimarcato che né l’uno né l’altro si risolvono in una specifica contestazione direttamente
attinente alla motivazione dell’impugnata statuizione.
Difatti, il giudice del gravame ha opinato nel senso che non fosse stata acquisita prova
idonea a dimostrare — prima ancora che la natura e consistenza degli asseriti ulteriori lavori —
che siffatte opere aggiuntive fossero state oggetto di una distinta e suppletiva pattuizione; anzi
il giudice di secondo grado non ha escluso che tali supposti aggiuntivi lavori “fossero queli’
resi necessari per eliminare i vizi dei manufatti”, nel qual caso — ha soggiunto — “non
spetterebbe al Rizzo alcun maggior compenso”.
Segnatamente il giudice del merito ha ritenuto inidonee ai fini dell’anzidetta
dimostrazione — non già della consegna – e le fatture e le bolle di accompagnamento.
Viceversa, il ricorrente incidentale si è limitato, da un canto, alla mera riproposizione
del materiale probatorio già vagliato dal giudice del merito (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394,

/(A)(14,

4

concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa,

secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza
impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., qualora
esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al
diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e
più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni

fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario,
infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del
giudizio di cassazione) e, dall’altro, ha spiegato censure specifiche

(“la bolla di

accompagnamento sottoscritta dalla parte accipiente dimostra che questa ha accettato la
consegna dei beni (e quindi ha voluto conseguirli). Quindi, in presenza di un documento del
genere, l’indagine sulla sussistenza della consegna dei manufatti ivi contemplati non può
certo essere condotta rilevando che sulla bolla non ne è stato indicato il prezzo”: così ricorso
incidentale, pag. 21) per nulla attinenti al passaggio della motivazione ove, appunto, si è
affermata la mancata acquisizione di idoneo riscontro probatorio della stipulazione di un..,
distinta e suppletiva pattuizione avente ad oggetto gli asseriti aggiuntivi lavori.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente
giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi; compensa integralmente tra le parti in lite le
spese-del presente grado.

all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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