Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27436 del 20/11/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 27436 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA

Data pubblicazione: 20/11/2017

SENTENZA
sul ricorso 6483-2015 proposto
da

REAR S.C. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA 19,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PAGLIARI, che lo rappresenta
e difende unitamente agli avvocati GIORGIO FRUS e NICOLA
MANGIONE;
– ricorrente contro

– intimato avverso la sentenza n. 726/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata 1’8/09/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/10/2017 dal Consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’avvocato generale
MARCELLO MATERA, che ha concluso per l’accoglimento del primo
motivo del ricorso, assorbiti gli altri;
udito l’Avvocato Giorgio Frus.
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata della Corte d’appello di
Torino che Vincenzo Sanfilippo, socio lavoratore della cooperativa di
lavoro Rear, fu nel contempo escluso dalla cooperativa e da essa
licenziato per giusta causa, in ragione della contestata aggressione
ad un superiore gerarchico; ma non impugnò la deliberazione di
esclusione, limitandosi ad impugnare il licenziamento.
In primo grado il Tribunale di Torino, respinta, oltre
all’eccezione d’incompetenza, quella di decadenza per l’omessa
impugnazione della deliberazione di esclusione, aveva ritenuto
illegittimo il licenziamento, aveva accordato al socio lavoratore la
tutela obbligatoria prevista dall’art. 8 I. n. 604/66 ed aveva altresì
affermato l’applicabilità al rapporto, ai fini del trattamento
retributivo, del c.c.n.l. Multiservizi.

Ric. 2015 n. 06483 sez. SU – ud. 10-10-2017

SAN FILIPPO VINCENZO;

La Corte d’appello, nel rigettare l’appello principale della
cooperativa e nell’accogliere quello incidentale della controparte, ha
sostenuto che, al cospetto dei due contestuali atti estintivi, di
esclusione dalla cooperativa e di licenziamento, potesse essere
impugnato anche soltanto il secondo, senza necessità d’impugnare il

recesso ed ha riconosciuto al lavoratore l’importo massimo di dieci
mensilità.
La cooperativa Rear ricorre per ottenere la cassazione di questa
sentenza ed articola in sei motivi il ricorso, che illustra con memoria
e che non ha sortito replica.
La sezione lavoro di questa Corte, ravvisata la sussistenza di
contrasti esistenti in materia anche nella giurisprudenza di legittimità
ed evidenziata l’importanza della questione, che coinvolge la
ricostruzione dei meccanismi estintivi del rapporto e delle tutele
applicabili ai numerosissimi soci lavoratori di cooperative, ha
sottoposto la questione al Primo Presidente ai fini dell’assegnazione
alle sezioni unite.
La controversia è stata quindi assegnata a queste sezioni unite;
in prossimità della pubblica udienza la cooperativa ha depositato
ulteriore memoria.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo del ricorso, la cooperativa denuncia, ex
art. 360, 10 comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione
degli artt. 1322 e 2533 c.c., nonché degli artt. 1, 2 e 5 della legge 3
aprile 2001, n. 142. Sostiene che, nel caso di esclusione dalla
società cooperativa e di contestuale licenziamento del socio
lavoratore, l’omessa impugnazione della delibera di esclusione
precluda quella del licenziamento.

Ric. 2015 n. 06483 sez. SU – ud. 10-10-2017

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primo; nel merito, ha escluso la sussistenza della giusta causa di

La questione scaturisce dal fatto che in capo al socio lavoratore
coesistono più rapporti contrattuali e che, quindi, il lavoro
cooperativo è luogo di convergenza di più cause contrattuali.
È sul piano degli effetti scaturenti dalla relazione tra i due
rapporti, soprattutto nella loro fase estintiva, osservatorio

determinare le incertezze, radicate nella giurisprudenza di merito,
ma affioranti anche in quella di legittimità, delle quali il tema posto
dal ricorso è manifestazione.
Derivano, queste oscillazioni di giurisprudenza, dal differente
peso che si assegna alla specialità che il rapporto cooperativo
esprime rispetto allo schema della subordinazione o agli altri modelli
di facere lavorativo che possono affiancare il rapporto sociale.
Sicché, a seconda del peso, maggiore o minore, che si
riconosca a ciascuno dei due rapporti, di lavoro e associativo, si
giunge a conclusioni diverse in relazione alla giustiziabilità del
licenziamento del socio lavoratore che si accompagni alla delibera
della cooperativa che lo escluda, qualora questa non sia impugnata.
1.1.- Quando ha affrontato il tema ex professo, questa Corte
ha stabilito che, al cospetto di esclusione e licenziamento, il socio
deve necessariamente opporsi alla delibera di esclusione; in
mancanza, è inammissibile per difetto d’interesse l’azione proposta
per contestare la legittimità del solo licenziamento (Cass. 26
febbraio 2016, n. 3836).
1.2.- In altre occasioni (Cass. 1 aprile 2016, n. 6373; conf., 5
dicembre 2016, n. 24795) si è convenuto, sia pure in obiter, che la
mancata tempestiva impugnazione in giudizio della delibera di
esclusione preclude qualsiasi statuizione che riguardi il
licenziamento; ma si è riconosciuta, pure a fronte dell’omessa
impugnazione della prima, la tutela normale che discende dal

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privilegiato delle dinamiche negoziali, che si sono venute a

giudizio sul secondo, in considerazione dell’inefficacia della delibera
di esclusione, che in quel caso non era stata comunicata.
Emergono, inoltre, dalle sentenze richiamate nell’ordinanza di
rimessione ulteriori impostazioni di fondo destinate a condurre a
soluzioni ancora diverse.

che ci si trova in presenza di una questione di massima e particolare
importanza, appunto perché chiama in causa profili di principio.
È dunque dalla ricostruzione dei principi che occorre partire.
2.- Il cospicuo contenzioso alimentato dalla progressiva
sottoprotezione cui si sono trovati esposti i soci lavoratori, e
l’espansione del fenomeno della cooperativa spuria o fraudolenta
hanno evidenziato l’insufficienza dell’impostazione tradizionale (che
si trova espressa in Cass., sez. un., 28 dicembre 1989, n. 5813),
secondo la quale in relazione alle prestazioni di un socio di società
cooperativa di produzione e lavoro, in conformità delle previsioni del
patto sociale ed in correlazione con le finalità istituzionali della
società, non è configurabile non solo un rapporto di lavoro
subordinato o di lavoro autonomo, ma nemmeno un rapporto di
collaborazione.
Le prestazioni del socio lavoratore, si riteneva, integrano
adempimento del contratto di società, per l’esercizio in comune
dell’impresa societaria, di modo che non sono riconducibili a due
distinti centri di interessi; lo scopo dei soci, i quali partecipano
direttamente al rischio d’impresa, si specificava, è comune e
trascende la mera collaborazione, proprio perché è connotato
dall’associazione.
2.1.- La tesi era avallata anche dalla Corte costituzionale, la
quale —nel dichiarare infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella
parte in cui non prevede(va) la tutela del fondo di garanzia per il

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La divergenza di princìpi è quindi certamente sintomo del fatto

trattamento di fine rapporto anche in favore dei soci delle
cooperative di produzione e lavoro, ai quali il diritto a tale
trattamento sia attribuito dall’atto costitutivo della società o da una
delibera successiva di modificazione del medesimo— aveva
osservato che «a differenza del prestatore di lavoro definito dall’art.

da un contratto che, se da un lato lo obbliga a una prestazione
continuativa di lavoro in stato di subordinazione rispetto alla società,
dall’altro lo rende partecipe dello scopo dell’impresa collettiva e
corrispondentemente gli attribuisce poteri e diritti di concorrere alla
formazione della volontà della società, di controllo sulla gestione
sociale e infine il diritto a una quota degli utili»

(Corte cost. 12

febbraio 1996, n. 30; la sentenza è stata poi richiamata a sostegno
della successiva ordinanza d’inammissibilità 28 dicembre 2006, n.
460, a sua volta ripresa dall’ordinanza 15 aprile 2014, n. 95).
3.- Ne era, tuttavia, evidente l’inadeguatezza, in quanto
l’egemonia della qualità sociale sacrificava la rilevanza della
prestazione di lavoro, che, nella sostanza economica, è coessenziale
al contratto sociale ed allo sviluppo del rapporto che ne deriva.
La cooperazione è contrassegnata dall’utilità della prestazione
lavorativa; e l’esigenza di protezione del socio lavoratore, contraente
debole, ha innestato la tendenza espansiva del diritto del lavoro, che
ha permeato il lavoro cooperativo di istituti e discipline propri di
quello subordinato: e ciò perché anche colui che lavora per un
profitto comune, come ogni prestatore di lavoro, è impegnato con la
sua stessa persona nell’esecuzione dell’attività.
La dimensione del lavoro ha dunque acquisito risalto e visibilità,
di modo che, si è stabilito (Cass., sez. un., 30 ottobre 1998, n.
10906), il rapporto tra socio lavoratore e cooperativa va sì
qualificato come associativo, ma appartiene ad una «categoria
contigua e interdipendente a quella del lavoro subordinato o

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2094 c.c., il socio lavoratore di una cooperativa di lavoro è vincolato

parasubordinato»;

sicché esso è equiparabile ai vari rapporti

previsti dall’art. 409 c.p.c.
3.1.- Coerentemente il legislatore, nel costruire la riforma della
cooperazione di lavoro, ha disegnato il lavoro cooperativo come
combinazione del rapporto associativo con «un ulteriore e distinto

altra forma, ivi compresi rapporti di collaborazione coordinata non
occasionale» (art. 1 della I. n. 142/01).
4.- Il raggiungimento dello scopo sociale della cooperativa di
lavoro si realizza, quindi, con una attività di impresa nel cui ambito
si inscrivono, appunto, i rapporti di lavoro.
4.1.- La combinazione dei due rapporti, associativo e di lavoro,
assume la veste di collegamento necessario, perché è animata dallo
scopo pratico unitario dell’operazione complessiva, al perseguimento
del quale entrambi sono indirizzati: il legame dei due rapporti innerva
per volontà del legislatore la funzione del lavoro cooperativo.
4.1.1.- La categoria del collegamento negoziale si rivela più
adeguata dello schema del contratto normativo, preferito da una
parte della dottrina.
Ciò in quanto la causa della cooperativa di lavoro tende alla
realizzazione dello scopo mutualistico e non già alla stipulazione di
contratti particolari, come avviene nel caso del contratto collettivo di
lavoro (giusta gli artt. 2071 e 2077 c.c.) o anche in quello del
contratto collettivo di consorzio (secondo gli artt. 2602 e 2603 c.c.).
Opportunamente si è sottolineato che, tra gli altri, lo statuto
della cooperativa rappresenta un contratto normativo apparente,
perché esso, pur ponendo una serie di norme, è destinato a
disciplinare non già futuri rapporti, sibbene rapporti che sono in atto.
5.-

L’equilibrio del peso dei due rapporti in seno alla

combinazione è stato, tuttavia, intaccato dalla novella della I. n.
142/01, dovuta alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.

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rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi

La I. n. 30/2003 ha disposto l’eliminazione dal 3 0 comma
dell’art. 1 della I. n. 142/01 dell’aggettivo “distinto”, lasciando, in
riferimento al rapporto di lavoro, soltanto la qualificazione di
“ulteriore”;

ha aggiunto inoltre il 2° comma all’art. 5, il quale

prescrive che:

l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie
e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile (oggi, con
l’art. 2533 c.c.). Le controversie tra socio e cooperativa relative alla
prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale
ordinario».
5.1.- Il collegamento, quindi, nella fase estintiva dei rapporti,
ha assunto caratteristica unidirezionale.
La cessazione del rapporto di lavoro, non soltanto per recesso
datoriale, ma anche per dimissioni del socio lavoratore, non implica
necessariamente il venir meno di quello associativo.
Ciò perché il rapporto associativo può essere alimentato dal
socio mediante la partecipazione alla vita ed alle scelte dell’impresa,
al rischio ed ai risultati economici della quale comunque egli
partecipa, a norma del 2° comma dell’art. 1 I. n. 142/01.
Né la figura del socio inerte, che emerge anche per mano del
legislatore, con riguardo alla cooperativa a mutualità non prevalente,
entra in frizione con le regole costituzionali, in quanto l’art. 45 Cost.
riconosce funzione sociale alla cooperazione a carattere di mutualità
e senza fini di speculazione privata, alla quale il socio inerte non è
estraneo.
5.2.- La cessazione del rapporto associativo, tuttavia, trascina
con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio,
se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non
può più essere lavoratore.

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«2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o

Lo si legge nel 2° comma dell’art. 5 della I. n. 142/01, il quale
esclude che il rapporto di lavoro possa sopravvivere alla cessazione di
quello associativo.
Regola, questa, espressione di quella generale fissata in tema di
esclusione del socio di cooperativa dall’art. 2533 c.c., in virtù della

scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei
rapporti mutualistici pendenti»

(discorre di dipendenza

dell’estinzione del rapporto di lavoro da quella del rapporto sociale,
tra le ultime, Cass., ord. 18 maggio 2016, n. 10306).
6.- Non può, quindi, essere condiviso l’orientamento (espresso
da Cass. 23 gennaio 2015, n. 1259; 11 agosto 2014, n. 17868; 6
agosto 2012, n. 14143) secondo il quale qualora l’esclusione di un
socio lavoratore di cooperativa si fondi esclusivamente sul suo
licenziamento, non si configura l’ipotesi propria dell’art. 5, 2 0
comma, della I. n. 142/2001, che prevede, si è visto, l’automatica
caducazione del rapporto di lavoro alla cessazione del rapporto
associativo.
In base a questa tesi quel che rileverebbe sarebbe la natura
delle ragioni addotte a fondamento dell’espulsione del lavoratore.
Sicché, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento
che ha costituito motivo determinante l’esclusione, anche
quest’ultima risulterebbe illegittima.
Verrebbe in tal caso a trovare attuazione l’art. 18 dello statuto
dei lavoratori, perché, nel caso di delibera di esclusione fondata sul
licenziamento, non ricorrerebbero i presupposti di applicazione
dell’art. 2 della I. n. 142/01, il quale prevede

l’«esclusione

dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro,
anche quello associativo».

6.1.- Quest’impostazione determina il capovolginnento della
relazione di dipendenza prefigurata dal legislatore tra l’estinzione del

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quale «qualora l’atto costitutivo non preveda diversamente, lo

rapporto associativo e quella del rapporto di lavoro, che deriva dal
collegamento tra essi.
È

la

caratteristica

morfologica

dell’unidirezionalità

del

collegamento fra i rapporti, difatti, a determinare la dipendenza delle
loro vicende estintive, non già l’indagine, necessariamente casistica,

lavoratore.
7.- Il nesso di collegamento tra rapporto associativo e rapporto
di lavoro, tuttavia, per quanto unidirezionale, non riesce ad oscurare
la rilevanza di quello di lavoro, anche nella fase estintiva.
Basta l’aggettivo

“ulteriore”,

tuttora contenuto nel testo

novellato dell’art. 1 della I. n. 142/01, ad evidenziarla ed a
sottolinearne l’autonomia.
7.1.- Non mostra di tener conto di tale autonoma rilevanza
l’orientamento, di segno opposto al precedente, in base al quale, al
cospetto di condotte che ledano nel contempo il rapporto associativo
e quello di lavoro, sarebbe unico il procedimento volto all’estinzione di
entrambi; di modo che, adottata la delibera di esclusione,
risulterebbe ultroneo un distinto atto di recesso datoriale dal rapporto
di lavoro (Cass. 13 maggio 2016, n. 9916; 12 febbraio 2015, n.
2802; 5 luglio 2011, n. 14741).
Orientamento del quale rappresenta logico corollario quello, già
richiamato, secondo il quale l’omessa impugnazione della delibera di
esclusione preclude l’esame dell’impugnazione del licenziamento.
8.- Alla duplicità di rapporti può corrispondere la duplicità degli
atti estintivi, in quanto ciascun atto colpisce, e quindi lede, un
autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni: la
delibera di esclusione lo status sodi, il licenziamento il rapporto di
lavoro. Coerentemente si è stabilito (Cass., ord. 29 luglio 2016, n.
15798; ordd. 6 ottobre 2015, nn. 19977, 19976, 19975 e 19974;
ord. 21 novembre 2014, n. 24917, le quali evocano la pluralità di

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sulle ragioni che sono poste a fondamento dell’espulsione del socio

tutele) che, in tal caso, il concorso dell’impugnativa della delibera di
esclusione e del provvedimento di licenziamento configura un’ipotesi
di connessione di cause.
Il

punto

concerne,

ancora,

l’interazione

degli

effetti

rispettivamente scaturenti da ciascun atto, al fine della ricostruzione

del bene della vita costituito dal rapporto di lavoro.
8.1.- In seno a questo apparato rimediale, l’effetto estintivo del
rapporto di lavoro derivante dall’esclusione dalla cooperativa a norma
del 2° comma dell’art. 5 della I. n. 142/01 impedisce senz’altro, in
mancanza d’impugnazione della delibera che l’abbia prodotto, di
conseguire il rimedio della restituzione della qualità di lavoratore.
È la tutela restitutoria ad essere preclusa dall’omessa
impugnazione della delibera di esclusione (sull’applicabilità di tale
tutela, in caso di accoglimento dell’impugnazione della delibera, vedi
Cass. n. 9916/16, cit.; n. 2802/15, cit.; n. 11741/11, cit.).
Tutela restitutoria, che consegue all’invalidazione della delibera,
dalla quale deriva la ricostituzione sia del rapporto societario, sia
dell’ulteriore rapporto di lavoro e che, quindi, ripete genesi e
fisionomia dalla dinamica del rapporto sociale. Essa risulta quindi del
tutto estranea ed autonoma rispetto alla tutela reale prevista dall’art.
18 dello statuto dei lavoratori, di matrice, appunto, lavoristica (sulla
quale invece punta, una volta

«rimosso il provvedimento di

esclusione», Cass. 4 giugno 2015, n. 11548).
L’omessa impugnazione della delibera ne garantisce per
conseguenza l’efficacia, anche per il profilo estintivo del rapporto di
lavoro.
8.2.- L’effetto estintivo, tuttavia, di per sé non esclude
l’illegittimità del licenziamento, come del resto non esclude
l’illegittimità della stessa delibera di esclusione che sia fondata sui

Ric. 2015 n. 06483 sez. SU – ud. 10-10-2017

dell’apparato rimediale che si delinea al cospetto della soppressione

medesimi fatti; né elide l’interesse a far valere l’illegittimità del
recesso.
8.3.- Qualora s’impugni il solo licenziamento, difatti, non si
prescinde dall’effetto estintivo del rapporto di lavoro prodotto dalla
delibera di esclusione.

produce anche l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, destinato a
restar fermo per mancanza d’impugnazione della fonte che l’ha
determinato, viene a determinarsi un danno.
Ed al danno si può porre rimedio con la tutela risarcitoria.
8.4.- Questa ricostruzione si specchia nella previsione già
richiamata dell’art. 2 della I. 142/01, a proposito dell’«esclusione
dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro,
anche quello associativo».
La disposizione conferma che è la -sola- tutela restitutoria ad
essere preclusa qualora, insieme col rapporto di lavoro, venga a
cessare anche quello associativo: il proprium dell’art. 18 dello statuto
dei lavoratori del quale è esclusa l’applicazione, almeno all’epoca in
cui la norma è stata confezionata, consisteva giustappunto nella
tutela reale.
Essa, però, lascia impregiudicata l’esperibilità di tutela diversa
da questa, ossia di quella risarcitoria contemplata dall’art. 8 della
legge 16 luglio 1966, n. 604, sempre dovuta qualora il rapporto non
si ripristini; laddove, rispetto al risarcimento, l’offerta datoriale di
riassunzione contemplata dall’art. 8 corrisponde ad una proposta
contrattuale di ricostituzione di un nuovo rapporto (Cass. 24 febbraio
2011, n. 4521; 26 febbraio 2002, n. 2846).
9.- L’accoglimento della domanda risarcitoria non travolge gli
effetti della delibera di esclusione; e non impedisce neppure che essa
continui a produrre i propri effetti anche come regola del caso
concreto: ciò perché la domanda ha per oggetto il diritto ad un ristoro

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Anzi: proprio perché la delibera di esclusione, essendo efficace,

per il fatto che la cessazione del rapporto di lavoro ha cagionato un
danno e l’ha provocato illegittimamente.
L’oggetto del giudizio è definito dalla pretesa fatta valere con la
domanda; e qui la pretesa consiste soltanto nel diritto al risarcimento
del danno, che deve avere la qualificazione di «ingiusto», ma che

Rispetto a questa pretesa l’illegittimità del recesso e della
delibera di esclusione dovuta ai medesimi fatti identifica l’ingiustizia
del danno ed è per conseguenza oggetto di accertamento.
9.1- Pretendere che chi intenda chiedere soltanto la tutela
risarcitoria derivante dal licenziamento illegittimo debba impugnare la
delibera di esclusione equivarrebbe ad assoggettare la fruizione della
prima ad un presupposto proprio della tutela restitutoria conseguente
all’invalidazione dell’esclusione.
Laddove, in virtù dell’art. 24 Cost., spetta al titolare della
situazione protetta scegliere a quale tutela far ricorso per poter
ottenere ristoro del pregiudizio subito.
9.2.- Gli effetti derivanti dalla delibera di esclusione non
s’identificano quindi con quelli scaturenti dal licenziamento.
Anzi: sono proprio gli effetti della delibera di esclusione a dare
consistenza agli effetti risarcitori derivanti dal licenziamento
illegittimo.
Il che sostanzia l’autonomia delle rispettive tutele (secondo un
modello già applicato in altri settori come, in via d’esempio, è
accaduto a proposito dell’ammissibilità della tutela risarcitoria degli
interessi legittimi anche se non sia stata in precedenza richiesta e
dichiarata in sede di annullamento l’illegittimità dell’atto: cfr., fra
varie, Cass., sez. un., ord. 10 novembre 2010, n. 22809; 3 marzo
2010, n. 5025; 23 dicembre 2008, n. 30254; 15 giugno 2006, n.
13911, nonché 13 giugno 2006, nn. 13660 e 13659).

r

Ric. 2015 n. 06483 sez. SU – ud. 10-10-2017

i99

-13-

innanzi tutto deve essere identificabile come tale.

9.3.- È, questa, l’opzione più coerente con le esigenze di tutela
e garanzia, dinanzi sottolineate, del socio lavoratore, il quale pur
sempre, nonostante partecipi alla realizzazione dello scopo
mutualistico, permane l’anello debole della combinazione sintetizzata
nel lavoro cooperativo.
Il primo motivo di ricorso va quindi rigettato, con

l’affermazione del seguente principio di diritto:
“In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso
d’impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la
tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della
contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni,
afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela
restitutoria”.
11.- Gli atti vanno trasmessi alla sezione lavoro di questa Corte
per l’esame dei restanti motivi e la regolazione delle spese.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il primo motivo di ricorso e rimette gli atti alla sezione lavoro
per l’esame dei restanti motivi e la regolazione delle spese.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017.

10.-

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