Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27435 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 28/10/2019), n.27435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9533-2018 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

MONICA PULIERI, GIUSEPPE RIZZI;

– ricorrente –

contro

B.A., considerato domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCIANO SALVATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1845/2017 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata

il 3/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.S. propose appello avverso la sentenza n. 247/14 del Giudice di Pace di Dolo, che aveva dichiarato prescritto il credito vantato dal G. nei confronti di B.A. e relativo alla prestazione professionale espletata dal primo e consistita nel calcolo statico delle strutture espletato nell’interesse del secondo con riferimento ai lavori eseguiti su un immobile di proprietà di questi.

L’appellato si costituì chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione proposta.

Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1845/17, pubblicata il 3 agosto 2017, sul rilievo che l’appello era stato proposto con atto di citazione notificato a mezzo posta il 29 giugno 2015 e che la sentenza impugnata era stata pubblicata il 16 dicembre 2014, dichiarò inammissibile l’appello per violazione del termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., condannò l’appellante alle spese di quel grado e diede atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di quest’ultimo, dell’ulteriore importo del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Avverso la sentenza del Tribunale G.S. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha resistito B.A. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Omesso esame di un punto decisivo, nullità della sentenza di primo grado e conseguente nullità della sentenza di appello. Art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”, il ricorrente rappresenta di aver eccepito sin dalla prima udienza del giudizio di appello che la sentenza del Giudice di pace di Dolo fosse inesistente o almeno nulla perchè emessa, depositata e comunicata da un Giudice ormai inesistente, in quanto il Giudice di pace di Dolo sarebbe stato soppresso con il D.M. 10 novembre 2014, a decorrere dal quindicesimo giorno della pubblicazione sulla G.U. di tale decreto, avvenuta il 1 dicembre 2014 e, quindi, dal 16 dicembre 2014, laddove la sentenza di primo grado sarebbe stata depositata il 26 (o il 16) dicembre 2014 e comunicata dal Giudice di Pace di Dolo in data 26 gennaio 2015/13 febbraio 2015.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Omesso esame di altr(o) capo fondamentale e/o contraddittoria motivazione in ordine alla tempestività dell’appello”, il ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe considerato la circostanza, pure dedotta in sede di gravame, che l’appello era stato notificato anche a mezzo pec il 27 giugno 2015 nè avrebbe preso in considerazione l’ulteriore circostanza relativa alla non chiara indicazione della data di pubblicazione della sentenza appellata (16 o 26 dicembre 2014, anno, peraltro, per evidente lapsus calami, erroneamente pure indicato come 2015 a p. 7 del ricorso) data che, in assenza di diversa prova, non avrebbe potuto che coincidere con la data di comunicazione della sentenza, effettuata, del resto, con biglietto di cancelleria recante l’intestazione del Giudice di pace di Dolo, ufficio ormai non più esistente, e senza il rispetto dei termini di cui all’art. 133 c.p.c..

Il G. propone, anche in questa sede, la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in ordine alla decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c., dal deposito della sentenza anzichè dalla comunicazione di tale deposito.

3. Seguendo l’ordine logico, vanno esaminate anzitutto le censure veicolate con il secondo motivo di ricorso, che è infondato.

3.1. Si osserva che, a prescindere dal difetto di specificità del motivo, non essendo stato precisato quando sia stato depositato nel giudizio di secondo grado l’atto di appello che si assume notificato il 27 giugno 2015, risulta che il Tribunale ha esaminato sia la questione relativa alla dedotta non chiara indicazione della data di pubblicazione della sentenza di primo grado, ritenendola infondata “sulla base della chiara indicazione numerica riportata in calce alla sentenza” (v. ultima pagina della sentenza impugnata in questa sede), sia la questione relativa alla invocata decorrenza del termine per l’impugnazione non dalla pubblicazione della sentenza bensì dalla comunicazione della cancelleria, evidenziando che tale termine decorre dalla pubblicazione “e non dalla comunicazione… che il cancelliere è tenuto ad effettuare…, indipendentemente dall’eventuale inosservanza di tale dovere… o dall’eventuale suo impedimento…, poichè tale attività è estranea al procedimento di pubblicazione in quanto non rappresenta nè un momento costitutivo di esso nè un elemento condizionante la sua efficacia” e rilevando che, comunque, anche a voler far riferimento alla data del 26 dicembre 2014, come sostenuto dall’appellante, l’appello sarebbe stato comunque tardivo, essendo stato notificato il 29 giugno 2015.

3.1. Va nondimeno evidenziato che mai avrebbe potuto ingenerarsi confusione tra la data del 16 o e del 26 dicembre, atteso che quest’ultimo giorno è festivo e che, anche a voler far riferimento alla data di notifica dell’appello a mezzo pec, pure indicata dal ricorrente, comunque il termine di cui all’art. 327 c.p.c., – dovendosi far riferimento alla data di pubblicazione della sentenza del 16 dicembre 2014, accertata dal Tribunale – era venuto a scadere in data 16 giugno 2015, martedì.

Il termine in parola, del resto, sarebbe scaduto in ogni caso il venerdì 26 giugno 2015, ove pure si volesse, per mera ipotesi, far riferimento, come data di pubblicazione della sentenza impugnata, al 26 dicembre 2014.

4. A quanto precede va aggiunto, passando all’esame del primo motivo, che le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione (Cass., ord., 19/01/2018, n. 1323, Cass., ord., 24/07/2018, n. 19574) e che, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, la cd. inesistenza giuridica o la nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o dal contenuto abnorme, irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere in ogni tempo, mediante un’azione di accertamento negativo (actio nullitatis) – nella specie non proposta -, il che non esclude, tuttavia, che la parte possa dedurre tempestivamente l’inesistenza giuridica con i normali mezzi di impugnazione, stante l’interesse all’espressa rimozione di un atto processuale efficace (Cass. 29/09/1999, n. 10784; Cass., ord., 28/12/2009, n. 27248).

Pertanto, per far valere la pretesa nullità o l’invocata inesistenza della sentenza di primo grado era necessario proporre tempestivamente l’appello, il che, per le ragioni evidenziate, non risulta avvenuto nella specie.

5. La questione di legittimità costituzione sollevata risulta manifestamente infondata, come peraltro questa Corte ha già avuto modo di affermare, sul rilievo che l’art. 327 c.p.c., opera un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa, poichè l’ampiezza del termine (nella specie semestrale, secondo la formulazione della norma vigente ratione temporis, e in precedenza annuale) consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda e la decorrenza, fissata avuto riguardo alla pubblicazione, costituisce corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Cass. 16/12/2014, n. 26402 e Cass. 14/02/2007, n. 3251; v. anche Cass. 7/08/2003, n. 11910).

6. Ogni ulteriore questione sollevata dalle parti resta assorbita.

7. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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