Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27435 del 01/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 01/12/2020), n.27435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3099-2018 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

STACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO BENINCASA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5376/11/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 6702/16, sez. 9, accoglieva parzialmente il ricorso proposto da I.A. avverso il diniego di rimborso Irap relativo a svariati anni.

Avverso detta decisione il contribuente proponeva appello per gli anni 2009 e 2010 innanzi alla CTR Campania che, con sentenza 5376/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla base di quattro motivi.

Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce la nullità della sentenza per carenza di motivazione e contraddittorietà.

Con il secondo motivo lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso costituito dai fatti risultanti da elementi probatori depositati in giudizio (dichiarazione redditi, registro cespiti ammortizzabili etc.).

Con il terzo motivo deduce, sempre ai sensi della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame della circostanza che i compensi erano corrisposti a professionisti con cui aveva svolto difese congiunte.

Con il quarto motivo contesta che il ricorso a consulenti esterni integri gli estremi di una autonoma organizzazione.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha ritenuto che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 24452/18; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014)

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato conto dei compensi attribuiti negli anni 2009 e 2010 ad altro avvocato avente lo studio al medesimo indirizzo del contribuente e il valore dei beni strumentali dichiarati per gli anni in questione.

Deve quindi ritenersi che la motivazione, ancorchè stringata, sia comunque adeguata avendo forniti gli elementi essenziali ai fini della decisione.

Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. SU 8053/14).

Con il motivo in esame il ricorrente deduce unicamente il mancato esame di documenti che, come tali, non costituiscono fatti storici e non possono essere quindi posti alla base della censura ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Analoghe considerazioni devono farsi circa la manifesta infondatezza del terzo e del quarto motivo che, prospettando sotto diversi profili la medesima questione del carattere di terzo dell’avv.to B., beneficiario degli emolumenti, possono essere esaminati congiuntamente.

La sentenza impugnata ha rilevato che l’avv.to B. aveva lo studio al medesimo indirizzo del ricorrente e che, quindi, rientrava nell’assetto organizzativo dell’attività professionale del contribuente e tale specifica motivazione, non censurata espressamente dal ricorrente, riguarda proprio la circostanza che l’avv.to B. non poteva considerarsi un terzo estraneo allo studio professionale e quindi alla unità organizzativa.

Occorre in ogni caso tenere presente, ad ulteriore conferma della correttezza della decisione impugnata, che questa Corte ha già avuto occasione di precisare che il presupposto dell'”autonoma organizzazione”, richiesto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, ricorre quando il professionista responsabile dell’organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista, stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente. (Cass. 1136/17).

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

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