Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27434 del 20/11/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 27434 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: BERRINO UMBERTO

Data pubblicazione: 20/11/2017

SENTENZA
sul ricorso 12989-2017 proposto da:
FULCO IVANA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dagli avvocati GUIDO FURGIUELE ed ALFONSO FURGIUELE;
– ricorrente contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA
CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati avverso la sentenza n. 37/2017 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA
MAGISTRATURA, depositata il 10/04/2017.

12/09/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
uditi gli avvocati Guido ed Alfonso Furgiuele.
Fatti di causa
Si controverte dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, primo
comma, lett. e) del d.lgs. 23.2.2006, n. 109 contestato alla dr.ssa
Ivana Fulco perché, in violazione dei doveri generali di correttezza ed
equilibrio e nell’esercizio delle funzioni di sostituto procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ha compiuto un’ingiustificata
interferenza nell’attività della dr.ssa Antonella Terzi, giudice delle
indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, circa la trattazione del
processo a carico, tra gli altri, del proprio suocero, invitandola a
guardare le carte e rappresentandole di aver studiato gli atti e di
essersi convinta che i Pubblici Ministeri che si erano occupati della
vicenda non avevano capito niente, che l’assunto accusatorio era
fragile e che non c’era niente.
Con sentenza depositata il 10.4.2017, la Sezione Disciplinare del
Consiglio Superiore della Magistratura ha dichiarato la dr.ssa Fulco
responsabile dell’illecito ascrittole e l’ha condannata alla sanzione
della censura, dopo aver revocato la misura cautelare del
trasferimento d’ufficio applicatole inizialmente con ordinanza del
9.10.2015.

Ric. 2017 n. 12989 sez. SU – ud. 12-09-2017

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Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

Per la cassazione della sentenza ricorre la dr.ssa Fulco Ivana con due
motivi.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea
applicazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. e), del D.Igs. 212.2006,

dal testo del provvedimento disciplinare, nonché dagli atti contenenti
le dichiarazioni rese dalla dr.ssa Antonella Terzi.
In sostanza la ricorrente lamenta che nella prima parte della
motivazione del provvedimento impugnato è compiuta una esegesi
della fattispecie contemplata dall’art. 2 del citato d.lgs n. 109/2006
semplicistica ed idonea ad ampliare l’ambito di applicazione della
stessa norma disciplinare anche al di là del perimetro delineato dalla
sua formulazione letterale.
In particolare si segnala la contraddittorietà della motivazione nella
parte in cui si afferma, da un lato, che la dr.ssa Terzi avrebbe subito
una pressione ad opera della ricorrente e, dall’altro, che la medesima
destinataria della sollecitazione non si sarebbe sentita condizionata,
come, peraltro, da quest’ultima ribadito nel corso del procedimento.
Da ciò la ricorrente trae la conclusione che il comportamento
contestatole si era rivelato inidoneo ad influire sul modello medio di
magistrato nell’ambito di applicazione della fattispecie prevista
dall’art. 2, co. 1 lett. e) del d.lgs. n. 109/2006.
2.

Col secondo motivo, proposto per inosservanza o erronea

applicazione dell’art. 3 bis del D.Igs. 23.2.2006, n. 109 e per illogicità
della motivazione risultante dal testo del provvedimento, la ricorrente
lamenta l’erroneità della decisione di rigetto della richiesta
subordinata di applicazione della disposizione appena citata,
contestando che il suo comportamento, così come ritenuto dalla
Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura,
avesse potuto gettare ombra sull’operato dell’organo inquirente

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n. 109, l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione risultante

attraverso la creazione di un clima di sospetto e di diffidenza tra
colleghi.
3. Osserva la Corte che il primo motivo è infondato.
Invero, per consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa
Corte, l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria
costituisce illecito disciplinare del magistrato, ai sensi dell’art. 2,

condotta del magistrato interferente sia idonea, almeno
astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la
serenità di giudizio del magistrato destinatario, per cui lo stesso
configura un illecito cosiddetto di pericolo che non va inteso come
pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, ma come lesione o
messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma. (v. ad es.
Sez. Un. n. 25136 del 26.11.2014 e n. 18701 del 13.9.2011).
4. Orbene, nell’impugnato provvedimento è posto in evidenza che nel
pomeriggio del 30 giugno 2015, all’esito dell’udienza preliminare
relativa al procedimento a carico del suocero Francesco Alfonso
Bottino (indagato assieme ad altri trenta imputati per delitti di
associazione camorristica e turbativa d’asta aggravata, nonché padre
di altro sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Napoli), la dottoressa Ivana Fulco telefonava al G.I.P., dr.ssa
Antonella Terzi, invitandola a guardare le carte con attenzione,
aggiungendo che anche lei era stata brava, che aveva studiato gli atti
e che si era convinta che coloro i quali si erano occupati del processo
non avevano capito niente. Nello stesso provvedimento si mette in
rilievo il forte interessamento della dottoressa Fulco per la posizione
processuale del suocero, da intendersi come tentativo di influire,
attraverso la prospettazione di errori valutativi commessi dai colleghi
della Procura della Repubblica, sull’autonomo percorso decisionale del
giudice delle indagini preliminari operante nello stesso ambito
territoriale, tale da indurre quest’ultimo a segnalare la vicenda al

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comma 1, lett. e, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, quando la

Presidente del Tribunale. Da tale comportamento dell’incolpata
emergeva, secondo la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore
della Magistratura, una impropria commistione di interessi familiari e
di ruolo istituzionale, resa ancora più grave dal fatto che la dottoressa
Fulco svolgeva le funzioni di pubblico ministero nella stessa sede in
cui all’epoca dei fatti operava il G.I.P. titolare del suddetto

5. Dalla lettura del provvedimento emerge, pertanto, che il predetto
organo disciplinare ha valutato con attenzione gli elementi posti a
base del contestato illecito, fornendo una esauriente ed adeguata
motivazione del proprio convincimento in merito alla rilevata
sussistenza dell’addebito, non discostandosi, nel contempo, dai
principi fissati in materia da questa Corte, per cui il relativo giudizio
sfugge ai rilievi di legittimità.
6. E’, altresì, infondato il secondo motivo.
Invero, si è già statuito (S.U. n. 25091 del 13.12.2010) che in tema
di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, la norma di cui all’art. 3
bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, aggiunta dall’art. 1 della legge
24 ottobre 2006, n. 269, (secondo cui “l’illecito disciplinare non è
configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza”), introduce nella
materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto
penale, secondo il quale la sussistenza dell’illecito va, comunque,
riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene
giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto,
effettuato “ex post”.
Pertanto, ai sensi dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, la
condotta disciplinare irrilevante va identificata, una volta accertata la
realizzazione della fattispecie tipica, in quella che non compromette
l’immagine del magistrato.
7.

Orbene, nel provvedimento impugnato si è adeguatamente

spiegato che non era possibile accedere alla richiesta di applicazione

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procedimento penale.

dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 109/2006 in quanto la condotta della
dottoressa Fulco era stata percepita dalla destinataria, dottoressa
Terzi, come forma di sollecitazione a determinarsi in un modo anziché
in un altro, con conseguente lesione del principio della indipendenza
del magistrato da ogni influenza esterna ed interna all’Ordine
Giudiziario, che è il valore tutelato nella fattispecie in esame.

disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, resta sottratta
al sindacato di legittimità in quanto non risulta viziata da un errore di
impostazione giuridica e nemmeno si rivela motivata in modo
insufficiente o illogico (sui limiti del sindacato di legittimità in siffatta
materia v. da ultimo S.U. n. 7934 dl 29.3.2013).
8. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 12.9.2017

Tale valutazione, che costituisce compito esclusivo della Sezione

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