Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27433 del 20/11/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 27433 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 11351-2016 proposto da:
MIGLIARDI ANNA MARIA, MIRENNA ANNAMARIA, MIRENNA
GIUSEPPA, MIRENNA MAURO, tutti nella qualità di eredi di Mirenna
Santi, PATANE’ GIULIANA e PATANE’ GIUSEPPE, nella qualità di eredi
di Patanè Salvatore, SAITTA SALVATORE, CARISTI SANTINA,
BERNAVA GAETANO, LANT ERI MARIA GRAZIA, FOTI ANTONINO,
SERGI ANGELICA LETIZIA, CAMARATA DANIELA, elettivamente

Data pubblicazione: 20/11/2017

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 101, presso lo studio
dell’avvocato GRAZIA SADA, rappresentati e difesi dall’avvocato
ALFREDO SANTANOCITA;
– ricorrenti contro

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1324/2015 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 27/11/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/09/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito l’Avvocato Alfredo Santanocita.
Fatti di causa
Mirenna Santo, Saitta Salvatore, Caristi Santina, Patanè Giuliana e
Patanè Giuseppe (quali eredi di Patanè Salvatore), Bernava Gaetano,
Lanteri Maria Grazia, Forti Antonino, Sergi Angelica Letizia e
Camarata Daniela rivendicarono, innanzi al giudice del lavoro del
Tribunale di Messina, il loro diritto a vedersi riconosciute le differenze
stipendiali tra l’indennità di amministrazione – già percepita ai sensi
dell’art. 1 della legge n. 14/1991 – e quella di cui all’art. 34 del
C.C.N.L. 16.5.1995 e all’art. 7 del C.C.N.L. integrativo del
22.10.1997, in relazione al periodo 1.1.95 – 31.10.97, loro negate dal
Ministero della Giustizia con nota del 10.4.2003.
Nella resistenza del Ministero convenuto il giudice adito dichiarò il

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Pik,

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

proprio difetto di giurisdizione in favore del Tribunale Amministrativo
Regionale di Catania.
La Corte d’appello di Messina (sentenza depositata il 27.11.2015),
investita dall’impugnazione dei predetti ricorrenti (per Mirenna Santo
dai suoi eredi Mirenna Annamaria, Mirenna Giuseppa e Mirenna

rivendicazioni economiche concernevano un arco temporale anteriore
al 30.6.1998 per il quale permaneva la giurisdizione del giudice
amministrativo, a nulla valendo che il provvedimento ministeriale
presuntivamente lesivo fosse stato emesso in epoca successiva a tale
data in quanto esso aveva solo valore ricognitivo di una situazione
giuridica già esistente, tanto che la pretesa di cui si era discusso
avrebbe potuto essere azionata anche prima del predetto termine.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso i ricorrenti di cui
in epigrafe con tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod.
proc. civ., in relazione agli artt. 63 e 69 D.LGS 30 marzo 2001 n. 165
per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
Sostengono i ricorrenti che la circolare del Ministero della Giustizia del
10.4.2003 che, facendo proprio il parere del Consiglio di Stato Sezione III, aveva negato ai collaboratori ed assistenti UNEP il diritto
ai conguagli per indennità di amministrazione costituiva il dato storico
in relazione alla cui giuridica rilevanza era insorta la controversia in
esame, per cui la lesione del diritto da essi lamentata era avvenuta
per effetto del citato provvedimento ministeriale che aveva vietato la
liquidazione dei relativi emolumenti. Pertanto, secondo tale assunto
difensivo, la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario in quanto il

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Mauro), ha confermato la gravata decisione dopo aver ribadito che le

provvedimento che aveva determinato la negazione del reclamato
diritto era stato emesso in epoca successiva al 30 giugno 1998,
discrimine temporale, questo, fissato dall’art. 69, comma settimo, del
d.lgs. n. 165 del 2001 per il trasferimento al giudice ordinario delle
controversie di pubblico impiego privatizzato. Inoltre, la Corte

non aveva considerato che le ricorrenti Sergi Angelica Letizia e
Cammarata Daniela avevano percepito le differenze retributive in
esame nei mesi di dicembre 1998 e febbraio 1999, prima che le
medesime le restituissero per non rimanere esposte ai rischi
dell’annunziata esecuzione nei loro confronti.
2. Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa
applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in
relazione all’art. 1, comma 4, della legge n. 525/1996, assumendo
che la Corte di merito è incorsa in errore nell’affermare che la pretesa
avrebbe potuto essere azionata prima della data del discrimine
temporale di cui in precedenza, in quanto la stessa non aveva tenuto
conto del fatto che le liquidazioni delle spettanze sarebbero state
esigibili, ai sensi della citata disposizione di legge, in tre rate nel
corso degli anni 1997, 1998 e 1999, per cui prima del 30.6.1998 non
sarebbe stato possibile azionare la richiesta di pagamento delle
differenze dell’indennità di amministrazione relative alle rate esigibili
entro gli anni 1998 – 1999.
3. Col terzo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione di
norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in relazione
all’art. 101 c.p.c. per omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, i ricorrenti
denunziano la nullità della sentenza di primo grado in quanto il
giudice d’appello aveva omesso di motivare in merito al motivo col
quale si erano lamentati del fatto che il primo giudice aveva declinato
d’ufficio la propria giurisdizione nella contumacia del convenuto,

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/w-3.)

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d’appello di Messina era incorsa in errore anche nel momento in cui

nonostante che la relativa questione non avesse fatto parte del
dibattito processuale e senza che in ordine alla stessa fosse stata
sollecitata una preventiva discussione.
4. Osserva la Corte che i primi due motivi, che possono essere
esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

della giurisdizione del giudice amministrativo, sia in virtù del dato
dirimente rappresentato dal fatto che la pretesa di cui trattasi
atteneva a rivendicazioni economiche relative ad un arco temporale
antecedente al discrimine temporale del 30.6.98 di cui all’art. 69,
comma settimo, del d.lgs. n. 165 del 2001, sia in base alla
considerazione logica della natura esclusivamente ricognitiva del
successivo provvedimento ministeriale asseritamente lesivo del diritto
in questione, posto che al momento della sua emanazione la
situazione giuridica esaminata si era già realizzata ed avrebbe potuto
essere fatta oggetto di azione giudiziale anche prima del termine del
30.6.98.
5. Orbene, al riguardo si è già avuto occasione di statuire (Sez. U.,
Ordinanza n. 2883 del 10.2.2006) che in tema di lavoro pubblico
cosiddetto “privatizzato”, la norma transitoria contenuta nell’art. 69,
settimo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – secondo cui “sono
attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le
controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative alle
questioni attinenti al periodo di lavoro successivo al 30 giugno 1998”,
mentre “le controversie relative a questioni attinenti al periodo di
lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state
proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000” – precisa
il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa
con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di
instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito

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Invero, la decisione impugnata è corretta in ordine alla conferma

dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base
della pretesa avanzata. Ne consegue che, in una controversia relativa
a pretese derivanti da prestazioni lavorative in favore di ente pubblico
non economico, rileva ai fini della giurisdizione esclusivamente il
periodo di maturazione delle spettanze retributive e dell’insorgenza di
altri crediti, non le date di compimento degli atti di gestione del

litigiosa, atteso che il perfezionamento della fattispecie attributiva del
diritto di credito, anche sotto il profilo della sua esigibilità, consente al
dipendente di accedere alla tutela giurisdizionale, indipendentemente
dall’emanazione, da parte dell’amministrazione datrice di lavoro, di
atti di gestione del rapporto obbligatorio (che rivestono natura di atti
ricognitivi e di adempimento).
6. Pertanto, nel caso, come quello in esame, in cui i lavoratori, sul
presupposto dell’avverarsi di determinati fatti, riferiscano le proprie
pretese ad un periodo anteriore al 30 giugno 1998, la competenza
giurisdizionale non può che essere quella del giudice amministrativo
in sede esclusiva.
Infatti, così come si ricava dallo stesso ricorso, le differenze
retributive reclamate concernevano l’indennità di amministrazione
come determinata nel quantum per effetto del contratto integrativo
del comparto ministeri relativo al periodo 1994 – 1997, sottoscritto in
data 22 ottobre 1997, che all’articolo sette, comma tre, aveva
modificato le tabelle contenute nell’allegato B, richiamando per tutto
il personale del Ministero della Giustizia, ai fini della quantificazione,
la legge n. 525/1996, vale a dire la rivalutazione e l’adeguamento
dell’indennità giudiziaria.
Quanto alla posizione delle due ricorrenti che si erano viste liquidare
le rivendicate differenze economiche e che avevano poi provveduto a
restituirle si osserva che tale questione è ininfluente ai fini della
decisione sulla giurisdizione.

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/tki

rapporto, ancorché abbiano determinato l’insorgere della questione

7. Né è ravvisabile il lamentato vizio di motivazione, genericamente
prospettato nella rubrica del primo motivo, atteso che l’intervento di
modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile
restrizione, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di
fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053)

minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di
giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in
questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione
in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal
confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione
di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta
di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione
apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili,
nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Ma è evidente che nella specie la valutazione degli atti di causa
operata dalla Corte di merito ai fini della verifica della sussistenza o
meno della propria giurisdizione non è affetta da alcuna di queste
ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro i
motivi a sostegno del suo convincimento sulla conferma della
decisione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
8. Infine, è infondato il terzo motivo sulla lamentata violazione del
contraddittorio, violazione che i ricorrenti riconducono al fatto che il
giudicante aveva rilevato d’ufficio il proprio difetto di giurisdizione
senza che tale questione fosse stata dibattuta in corso di causa.
Invero, come è stato già chiarito (Cass. sez. 6 – 5, Ordinanza n.
19372 del 29.9.2015), “in tema di contraddittorio, le questioni di
esclusiva rilevanza processuale, siccome inidonee a modificare il
quadro fattuale ed a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in
considerazione dalle parti, non rientrano tra quelle che, ai sensi

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essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al

dell’art. 101, comma 2, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 45,
comma 13, della I. n. 69 del 2009), se rilevate d’ufficio, vanno
sottoposte alle parti, le quali, per altro verso, devono avere autonoma
consapevolezza degli incombenti cui la norma di rito subordina
l’esercizio delle domande giudiziali.”

21.7.2016) che “il divieto della decisione sulla base di argomenti non
sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle
questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda
previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado
del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione
dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato
quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima
diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o
p refi g u ra rsi .”
9. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti
e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, come da
dispositivo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del
2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di C
5000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito ed
accessori di legge in favore del Ministero della Giustizia.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei

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In senso conforme si è ribadito (Cass. sez. 3, n. 15019 del

ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13.
Così deciso in Roma il 12.9.2017
Il Consigliere estensore

Ily’residente

Dr. Rienato

IL CA
Paola Fran

Dr. Umbe o Berrino

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