Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27429 del 29/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 29/10/2018), n.27429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2606-2017 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALDO CAMMAROTA;

– ricorrente –

contro

PREFETTO DI SALERNO, in persona del Prefetto, MINISTERO DELL’INTERNO

(OMISSIS), in persona del Ministro, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 1043/2016 del GIUDICE DI PACE di SALERNO,

depositata il 30/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ordinanza n. 1043/2016 il Giudice di pace di Salerno ha rigettato il ricorso proposto da K.S., cittadina ucraina, avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti il 20.09.2016 dal Prefetto della medesima città ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b, per mancata richiesta del permesso di soggiorno nel termine prescritto.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la cittadina straniera sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Con il primo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 13, comma 2, cit., nonchè vizio di omessa motivazione, perchè la mancata richiesta del permesso di soggiorno nel termine di otto giorni dall’ingresso nel territorio nazionale non può dar luogo automaticamente all’espulsione, che potrà essere disposta solo ove la domanda sia stata presentata e sia stata respinta per mancanza dei requisiti previsti dalla legge. Il Giudice di pace, inoltre, non ha illustrato) le ragioni dell’infondatezza dell’opposizione.

Con il secondo e terzo motivo viene lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo relativamente alla condizione personale e familiare dell’opponente, in particolare la natura e l’effettività dei vincoli familiari, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonchè l’esistenza di legami culturali, familiari o sociali con il suo Paese d’origine.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Ai scusi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 2, tutti gli stranieri sono obbligati a richiedere il rilascio del permesso di soggiorno entro otto giorni lavorativi dal loro ingresso nel territorio nazionale, pena l’espulsione amministrativa ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b), del medesimo D.Lgs..

La ricorrente stessa dichiara di essere entrata in Italia il 20.11.2015 ma di non aver richiesto il permesso di soggiorno almeno fino al 20.09.2016, quando è stata espulsa. Ne deriva la legittimità del provvedimento prefettizio, che in presenza dei presupposti previsti dalla legge si configura come atto dovuto sindacabile solo ove gli accertamenti su cui si fondi siano erronei o mancanti (ex multis Cass. 18504/2016). Completamente priva di fondamento la censura di “deficit assoluto di motivazione”, perchè la ratio decidendi della pronuncia impugnata, correttamente esplicitata dal giudice a quo, è proprio la mancata richiesta nei termini del titolo di soggiorno.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, oltre che del tutto generico nel censurare la mancata considerazione dei legami personali e familiari della ricorrente, la quale, a quanto consta, non ha mai chiesto il ricongiungimento familiare e al momento dell’emanazione del provvedimento di espulsione si trovava a soggiornare (irregolarmente) in Italia da meno di un anno.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La condanna alle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 2.100 per compensi, in Euro 100,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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