Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2742 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 05/02/2021), n.2742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17354/2019 proposto da:

S.I.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n.

38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 7591/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2020 dal Cons. Dott. GORJAN SERGIO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

S.I.A. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre avanti il Tribunale di Roma ricorso avverso la decisione della locale Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di ottenimento della protezione in relazione a tutti gli istituti previsti.

Il richiedente asilo ebbe a rappresentare d’aver abbandonato il suo Paese perchè, essendo militante di associazione religiosa sciita, era vessato dagli aderenti ad associazione avversaria sunnita, che anche l’avevano falsamente accusato di aver danneggiato la loro moschea, sicchè per i continui episodi di minaccia e sopruso aveva deciso da allontanarsi dal Pakistan.

Il Tribunale capitolino ebbe a rigettare la domanda del richiedente in relazione a tutti gli istituti previsti dalla normativa in tema di protezione internazionale.

Lo S. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Roma, che respinse l’impugnazione ponendo in rilievo la non credibilità del suo narrato circa le ragioni dell’espatrio; l’assenza nel Punjab di una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa siccome dato desumere dalle fonti internazionali all’uopo utilizzate.

Quanto alla domanda tesa al riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte capitolina rilevava il difetto di omessa pronunzia da parte del Tribunale, ma la rigettava e poichè non concorrenti condizioni di vulnerabilità per difetto di veridicità del racconto reso dallo S. e perchè la vicenda delle vicissitudini vissute in Libia era novità in appello ed, infine, poichè l’attività formativa risultava svolta nel circuito dell’accoglienza, mentre il rapporto di lavoro documentato era a tempo determinato per la durata di poche settimane, sicchè detti elementi non lumeggiavano alcuna integrazione sociale.

Lo S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte capitolina articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente vocato, ha depositato solo nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dallo S. risulta inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce vizio di omesso esame delle sue dichiarazioni rese in sede di procedimento amministrativo e delle allegazioni prodotte in causa al fine di valutare la sua condizione personale.

La censura appare inammissibile posto che non si confronta con la puntuale motivazione presente al riguardo nella sentenza impugnata.

Difatti il Collegio romano ha evidenziato come effettivamente il narrato reso dallo S. circa le vessazioni poste in essere contro di lui e suoi famigliari era generico e, comunque, non configurava la concorrenza della richiesta persecuzione per motivi religiosi, risolvendosi in reciproche denunzie alla Polizia per questioni bagattellari.

Inoltre il Collegio romano ha messo in rilievo come le ferite, palesate dal ricorrente e certificate dai medici, corrispondevano esattamente ai reflui della flagellazione rituale degli sciti – rito che lo S. praticava come da lui riferito in sede amministrativa.

L’argomento critico svolto nel ricorso per cassazione prescinde totalmente da detta argomentazione e perchè non indica il fatto storico la cui valutazione sarebbe stata omessa e perchè si compendia, in effetti, nella riproposizione del narrato reso dal ricorrente e nella valutazione che la parte ne trae, senza per altro – ai fini dell’autosufficienza del ricorso – riportare la parte delle dichiarazioni rese non valutato dalla Corte territoriale nonchè la ragione della loro decisività. Con il secondo motivo di ricorso lo S. lamenta la violazione del disposto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, omessa applicazione dell’art. 10 Cost., ed omesso esame delle fonti informative utili al riguardo, nonchè contraddittorietà tra le fonti citate ed il loro contenuto, poichè il Collegio romano non ebbe a riconoscere il suo diritto alla protezione sussidiaria.

Anche detta censura appare generica posto che l’argomento critico svolto si compendia nella ritrascrizione di stralci dei rapporti informativi sul Pakistan redatti da Easo nel 2018 ed Amnesty Int., nella citazione di articoli di legge, nel richiamo ad arresti giurisprudenziali per formulare, infine, propria tesi interpretativa alternativa rispetto alla valutazione resa dalla Corte romana.

Difatti il Collegio capitolino ha apprezzato informazioni tratte da indicati rapporti estesi da Enti internazionali affidabili ed aggiornati e ha concluso che la situazione socio-politica del Pakistan non è caratterizzata da violenza diffusa nell’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea, sottolineando come proprio dal rapporto Onu del 2018 risultava la diminuzione anche degli attacchi terroristici.

Detta ricostruzione appare confermata, non già, confutata dalle informazioni desumibili dagli stralci del rapporti Easo ed Amnesty ritrascritti nel ricorso poichè, ai fini di causa, rileva la presenza di una guerra civile in atto o di violenza diretta indistintamente verso la generalità dei cittadini, mentre i citati rapporti riportano notizie di attentati di tipo terroristico mirati e criticità nello sviluppo democratico del Paese, situazioni che all’evidenza non configurano il richiesto clima di violenza generalizzata secondo l’insegnamento della Corte Europea al riguardo.

Pertanto la censura appare tesa a sottoporre a questa Corte di legittimità valutazione alternativa con richiesta d’inammissibile apprezzamento circa il merito della causa.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente rileva l’erronea applicazione delle norme D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e art. 19 e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

L’argomentazione critica sviluppata nel ricorso prescinde dalla motivazione resa dal Collegio romano.

Difatti nella sentenza impugnata vengono puntualmente valutate le circostanze di fatto lumeggianti condizione di vulnerabilità, addotte S. a sostegno della sua richiesta di godere della protezione umanitaria – effettivamente non esaminata dal Tribunale.

Così viene sottolineato come la non credibilità del narrato incide sul prospettato “vissuto traumatico” rendendolo mera asserzione difensiva di parte, mentre le vicissitudini patite durante il viaggio verso l’Italia risultano fatti nuovi allegati esclusivamente in sede di gravame.

Così i corsi frequentati nell’ambito del circuito dell’accoglienza ed il contratto di lavoro per alcune settimane sono stati ritenuti dati fattuali inidonei a lumeggiare un serio radicamento sociale in Italia dello S..

A fronte di detta partita motivazione, lo S. sviluppa argomentazione critica fondata sul richiamo ai lineamenti generali dell’istituto, arresti giurisprudenziali ed enfatizzando la diversa potenzialità economica del suo Paese d’origine rispetto all’Italia, ed infine deduce omessa applicazione di norma costituzionale senza anche indicare quando e come detta ultima questione fu sottoposta al Giudice d’appello.

Evidente appare come il ricorrente non ha svolto argomentazione critica che operi confronto con la motivazione illustrata nella sentenza impugnata, sicchè consegue l’inammissibilità per genericità anche di detto ultimo motivo d’impugnazione.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

Dichiara inammissibile il ricorso.

P.Q.M.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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