Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27419 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 28/10/2019), n.27419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18056-2018 proposto da:

COMUNE DI LATINA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOIGIO 7, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO PONTECORVI, rappresentato e difeso dall’avvocato

(OMISSIS);

– ricorrente –

e contro

V.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7507/17/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 15/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA

MARIA CASTORINA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

La CTR del Lazio con sentenza n. 7507/17/2017, depositata il 15.12.2017 non notificata, rigettava l’appello proposto dal Comune di Latina avverso la pronuncia di primo grado della CTP di Latina che aveva accolto il ricorso della contribuente V.M. avverso avviso di accertamento ICI 2010 sul presupposto che la contribuente aveva provato che il nucleo familiare risiedeva interamente presso l’abitazione di (OMISSIS) e che aveva pagato l’ICI per l’immobile in cui risiedeva il marito adibito anche a studio odontoiatrico.

Avverso la sentenza della CTR il Comune di Latina ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’intimata non ha svolto difese.

1. Con il primo motivo l’ente locale deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ed in particolare che la CTR non aveva motivato sulla individuazione, nell’immobile in relazione al quale era invocata l’esenzione, della dimora abituale del nucleo familiare.

La censura è inammissibile.

Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).

Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).

Nella specie la CTR ha ritenuto che la ricorrente aveva provato che il nucleo familiare risiede interamente presso l’abitazione di (OMISSIS) e che la parte aveva dimostrato di aver pagato l’ICI per l’immobile in cui risiedeva il marito adibito anche a studio odontoiatrico.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, in combinato disposto con l’art. 14 Reg. ICI del Comune di Latina per avere la CTR ritenuto la sussistenza dell’l’abitazione principale della famiglia a prescindere dalla coabitazione dei coniugi.

La censura non è fondata.

La detrazione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 2, il quale, come noto, dispone che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”, non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto ma semmai reso più evidente dalla modifica normativa apportata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173 (Finanziaria 2007), a tenore della quale “… all’art. 8, comma 2, dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,” che si limita ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale di cui si è prima detto; che, infatti, la modifica deve essere letta nel senso che – con effetto dall’annualità d’imposta 2007 – si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l’abitazione principale”, prova che deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo famigliare del contribuente (Cass. n. 14398/2010).

Nella specie la CTR ha ritenuto che tale prova sia stata offerta e ha accertato che il nucleo familiare risiede interamente presso l’abitazione di (OMISSIS) e di converso che la contribuente aveva dichiarato di non avere diritto all’esenzione e di avere pagato l’Ici per l’immobile di residenza del coniuge adibito anche a studio professionale. Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.

Nulla sulle spese in quanto parte intimata non ha spiegato difese.

Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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