Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27409 del 01/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 01/12/2020), n.27409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29400/2017 R.G., proposto da:

G.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Maran, con

studio in Crocetta del Montello (TV), elettivamente domiciliato

presso l’Avv. Ermanno Prastaro, con studio in Roma, giusta procura

in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Veneto il 09 maggio 2017 n. 557/07/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 7 ottobre 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.M. ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 09 maggio 2017 n. 557/07/2017, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per imposte di registro, ipotecaria e catastali in relazione a divisione stipulata a suo rogito, in qualità di notaio con sede in Bassano del Grappa (VI), il 24 aprile 2014, rep. n. (OMISSIS), ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei suoi confronti avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza il 24 settembre 2015 n. 839/03/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha riformato la sentenza di primo grado sul presupposto che, in sede di divisione tra madre e figlie, la rinuncia (senza corrispettivo) di una condividente al conguaglio pecuniario nei confronti delle altre condividenti, a fronte dell’assegnazione a loro favore di beni eccedenti il valore delle rispettive quote sulla massa comune, fosse soggetta all’applicazione dell’imposta di registro secondo la previsione dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che, in sede di divisione, la rinunzia di un condividente al conguaglio pecuniario nei confronti di altri condividenti per l’assegnazione di beni eccedenti il valore della quote loro spettanti sulla massa comune, fosse soggetta all’imposta di registro alla stregua di una vendita nei limiti della predetta eccedenza.

Ritenuto che:

1. Il motivo è infondato.

1.1 La questione al vaglio della Corte impone una rilettura del testo normativo. Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, dispone che: “1. La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente 2. I conguagli superiori al cinque per cento del valore della quota di diritto, ancorchè attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza. 3. Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio”.

1.2 La formulazione di tale disposizione – come si desume, in particolare, dall’utilizzo dell’inciso “(…) è considerata vendita” – sembra sancire una vera e propria “presunzione assoluta” ai fini dell’imposta di registro, in virtù della quale la divisione con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per la sola eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti.

Per cui, il legislatore si è preoccupato di esigere, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti nei limiti dell’eccedenza di valore, ritenendo irrilevante che il conguaglio (inteso come surplus aritmetico del valore dei beni rispetto al valore della quota) abbia formato oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa ovvero della disposizione di una liberalità indiretta nei rapporti tra i condividenti.

1.2 Ne deriva la “neutralità” del conguaglio ai fini dell’imposta di registro, essendone invariabilmente predeterminata la rilevanza tributaria, senza alcuna derogabilità in relazione alla peculiarità civilistica della causa (causa obligandi, causa donandi, causa so/vendi, ecc.) che connota l’accordo tra i condividenti.

In altri termini, il trattamento tributario è fissato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello delle rispettive quote sulla massa comune, non rilevando che tale differenza di valore formi oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa a carico di chi riceve di più ed a favore di chi riceve di meno ovvero di una rinunzia (con o senza corrispettivo) da parte di chi riceve di meno alla corresponsione di un equivalente pecuniario da parte di chi riceve di più.

1.3 Dunque, questa Corte ritiene di poter affermare che, in materia di imposta di registro, nel sancire, puramente e semplicemente, che la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, “è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, pone una presunzione assoluta (iuris et de iure), in forza della quale l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di più assumano un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) con funzione compensativa in favore dei condividenti che ricevono di meno, nè che i condividenti che ricevono di meno rinunzino (per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento) a ricevere una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) dai condividenti che ricevono di più, dal momento che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti viene ad essere neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell’unicità di trattamento tributario.

2. La Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta e puntuale applicazione di tale principio con argomentazioni pienamente condivisibili: “Infatti, anche se effettivamente nell’ambito della divisione in esame è configurabile una “donazione indiretta” della madre nei confronti delle figlie, avendo la prima rinunciato senza corrispettivo ad una quota a lei spettante in favore di queste, ciò deve ritenersi irrilevante agli effetti della tassazione dell’atto (…). Dalla lettera della norma si rileva pertanto in modo inequivocabile che il legislatore ha voluto sottoporre la fattispecie in esame ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà delle parti (cioè dal fatto che l’assegnazione ad un condividente di una quota maggiore rispetto a quella a lui spettante comporti per l’interessato il pagamento di un corrispettivo o meno). Del resto lo stesso principio, di tassatività è espresso nel comma 2 dello stesso articolo. L’Ufficio pertanto si è limitato ad applicare all’atto in questione la normativa esistente, che deve ritenersi inderogabile (…)”.

3. Stante l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso non può che essere rigettato.

4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella somma complessiva di Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

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