Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27406 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. II, 25/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 25/10/2019), n.27406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19523/2016 proposto da:

V.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTI DI

CRETA 85 INT 12, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PORFILIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO ORLANDO;

– ricorrenti –

contro

L.A., L.W., LO.AN., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE CARSO, 14, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI SABATELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO

VALENTINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 796/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L.W., Lo.An. e L.A. convenivano in giudizio V.D. per sentir dichiarare la simulazione di otto scritture private – due contratti definitivi di vendita e sei contratti preliminari – al fine di accertare il negozio dissimulato effettivamente voluto di permuta immobiliare e dichiarare l’estinzione delle obbligazioni di cui alla scrittura privata del 31 ottobre 2011.

2. Il Tribunale dell’Aquila accoglieva integralmente la domanda degli attori e dichiarava l’estinzione delle obbligazioni di cui alle scritture del 31 ottobre 2011, ai sensi dell’art. 1197 c.c. e annullava i tutti i contratti di compravendita, sia ad effetti reali che obbligatori, condannando le parti a restituire quanto ricevuto in esecuzione della prestazione di cui ai contratti annullati.

3. V.D. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello dell’Aquila rigettava integralmente l’appello. In particolare il giudice del gravame rigettava il primo motivo di appello relativo alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il giudice di prime cure aveva agito nell’ambito del potere-dovere di configurare la domanda come esposta sul piano fattuale dalla parte, non essendo tenuto a conformarsi al tenore letterale degli atti, dovendo per converso aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalle vicende dedotte e rappresentate.

Pertanto, il Tribunale aveva correttamente qualificato la domanda ex art. 1439 c.c., annullando per dolo gli otto atti rogati in forma pubblica che venivano a costituire un articolato programma negoziale, rilevante ex art. 2723 c.c., dell’intenzione di addivenire allo scambio dei terreni e dei realizzandi appartamenti, sostituendo la dazione dei beni con il pagamento del prezzo.

A parere della Corte d’Appello il punto nodale della controversia consisteva nella verifica del fondamento della pronuncia di annullamento sulla base dell’accertamento che il motivo unico e determinante del consenso dei L. alla cessione dell’area di sedime in cambio di una percentuale della cubatura da realizzare, fosse rappresentato dal contestato rilascio delle (false) fideiussioni atte a garantire il permanere del rapporto di corrispettività oppure se, come prospettato dalla controparte, quello della fideiussione fosse un mero elemento accessorio.

La Corte d’appello evidenziava che la circostanza di fatto incontrovertibile era che tra le parti non vi fosse stato alcun passaggio di denaro, nè con riferimento ai due contratti di vendita dei terreni, nè con riferimento ai sei contratti preliminari di compravendita degli appartamenti, e nessuna delle parti aveva avanzato richieste restitutorie dei corrispettivi versati.

Nella prospettiva interpretativa del primo giudice, basata sulla domanda simulatoria degli attori quale presupposto logico e necessario della domanda di annullamento ex art. 1439 c.c., dei contratti preliminari di permuta, assumeva, dunque, decisivo rilievo l’interpretazione delle clausole apposte nei singoli contratti relativi all’impegno fideiussorio del V. in solido con la banca, atto negoziale, quest’ultimo, risultato falso in sede penale e costituente unico e determinante motivo per la conclusione dell’affare. Secondo il parametro di condotta del buon padre di famiglia i L. non avrebbero posto in essere un’operazione economica di tale rilevante importo senza l’inserimento determinante dell’impegno della controparte nella predisposizione del documento fideiussorio. Il V. con tale polizza fideiussoria aveva dovuto garantire, nell’intenzione dei contraenti, il permanere dei rapporti corrispettivi circa le prestazioni oggetto dell’iniziale permuta.

5. V.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

6. L.W., Lo.An. e L.A. hanno resistito con controricorso.

7. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza il ricorrente ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., per nullità della sentenza e del procedimento.

A parere del ricorrente gli attori nell’atto introduttivo del giudizio avevano chiesto in maniera univoca pronunciarsi sentenza dichiarativa della simulazione relativa degli otto contratti. Tale richiesta era preordinata all’annullamento del negozio effettivamente voluto. Il Tribunale avrebbe dovuto decidere su tale petitum e avrebbe dovuto rigettare la domanda non ricorrendo nel caso di specie i presupposti di cui all’art. 1414 c.c., non essendovi alcuna divergenza tra dichiarazione e volontà, mentre aveva annullato i contratti, integrando in tal modo un error in procedendo e violando i principi della domanda e del contraddittorio.

1.2 Il primo motivo è infondato.

In virtù del principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonchè all’azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all’art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorchè rinvenibili all’esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti (Sez. 3, Ord. n. 30607 del 2018). Nella specie, pertanto, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, dando rilievo al potere-dovere del giudice di qualificare la domanda.

Deve anche evidenziarsi che nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, manca un preciso e integrale riferimento al contenuto della domanda stessa, ragion per cui non è possibile verificare se via sia stata la sostituzione d’ufficio di un’azione diversa da quella effettivamente proposta.

In ogni caso, da quanto riportato nel ricorso, emerge che gli attori avevano chiesto l’annullamento per dolo della scrittura privata del 31 ottobre 2011 con la quale si erano impegnati a cedere i terreni edificabili in cambio dell’impegno a cedere in permuta una porzione del complesso edilizio da realizzarsi sugli stessi. Le parti, successivamente, avevano inteso ricorrere a dei contratti collegati per raggiungere l’originario scopo della permuta (Cass., 23 giugno 1982, n. 3827). A fronte di tale ricostruzione la Corte d’Appello, correttamente, ha ritenuto che la previa esibizione delle polizze poi rivelatesi false comportasse l’annullamento sia dei preliminari di vendita degli appartamenti che dei contratti di cessione del terreno.

Infatti, una volta ricondotta la sequenza di tali contratti nell’ambito dello schema del collegamento negoziale, necessariamente l’interdipendenza esistente tra i vari rapporti negoziali, produce l’effetto che le vicende del rapporto principale si ripercuotono sui restanti rapporti, condizionandone la validità e l’efficacia.

A questo proposito giova ribadire che “in tema di collegamento negoziale cd. funzionale, l’accertamento del giudice di merito ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale deve investire l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti mediante l’interpretazione della loro volontà contrattuale e, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. 6, Ord. n. 20634 del 2018).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 295 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

I giudici di secondo grado avrebbero omesso di prendere in considerazione il fatto che i L. si erano limitati a chiedere la declaratoria di simulazione degli otto contratti, non potendo spiegare la diversa domanda di annullamento dei medesimi per dolo, attesa la pendenza di un processo penale avente il medesimo oggetto nel quale gli stessi erano costituiti parte civile.

In forza dei principi stabiliti dall’art. 295 c.p.c. e art. 75 c.p.p., comma 3 e art. 211 disp. att. c.p.p., il processo civile avrebbe dovuto essere sospeso per pregiudizialità penale. La Corte d’Appello sul punto avrebbe omesso ogni motivazione, determinando la nullità della sentenza.

2.1 2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente si limita a richiamare genericamente un processo penale nel quale i L. si erano costituiti parte civile, senza chiarirne l’esito e senza indicare in quale atto del giudizio di appello aveva fatto valere tale doglianza, posto che di tale questione non vi è traccia nella sentenza impugnata.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1439 c.c..

Stante l’autonomia tra il giudizio civile e il giudizio penale, nel senso che il processo civile prosegue senza essere influenzato da quello penale, con un’autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità, il ricorrente ritiene che nel giudizio civile non aveva trovato riscontro la circostanza inerente l’induzione da parte del V. alla stipula dell’atto negoziale mediante artifici e raggiri consistiti nella produzione di due polizze fideiussorie false. In realtà era emerso che anche il V. era stato a sua volta raggirato da due promotori finanziari dei quali forniva anche i recapiti telefonici.

Nella sentenza impugnata non sarebbero indicati gli artifizi o raggiri che il V. avrebbe posto in essere nei confronti dei L., essendo, all’opposto, egli stesso rimasto vittima dei fatti in oggetto, attivandosi immediatamente per la sostituzione delle polizze rivelatesi false. Egli al momento della sottoscrizione dei contratti non sapeva della falsità delle polizze avendone avuto contezza solo successivamente, inoltre il rilascio delle polizze non era stato inteso dalle parti come decisivo per la conclusione dell’affare.

Nelle scritture private vi era infatti una clausola dalla quale emergeva che le garanzie prestate a tutela dei L. erano molteplici ed anche alternative alla polizza fideiussoria.

3.1 Il terzo motivo è in parte infondato in parte inammissibile.

Il dolo, quale vizio del consenso e causa di annullamento del contratto, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all’esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare; ne consegue che l’effetto invalidante dell’errore frutto di dolo è subordinato alla circostanza, della cui prova è onerata la parte che lo deduce, che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza od in costanza di questa falsa rappresentazione. Compete al giudice del merito accertare, sulla base delle risultanze probatorie, se la fattispecie concreta integri un’ipotesi di dolo determinante e tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Sez. 2, Sent. n. 5734 del 2019).

Infatti la valutazione della condotta configurante dolo contrattuale e l’idoneità di tale comportamento a coartare la volontà del “deceptus” è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze dalle quali desumere che i raggiri usati da una parte abbiano determinato la volontà a contrarre del “deceptus”, avendo ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realtà, che abbia provocato nel suo meccanismo volitivo un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c..

Nella specie la Corte d’Appello ha ampiamente motivato in ordine alle ragioni per le quali l’esistenza delle polizze fideiussorie, rivelatesi false, era stata determinante nella formazione della volontà dei L., rappresentando la garanzia di ottenere il corrispettivo futuro della permuta, rappresentato dalla cubatura da realizzare.

Peraltro, giova ribadire che “In tema di vizi del consenso, vige il principio “fraus omnia corrumpit”, in virtù del quale il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l’elemento sul quale il “deceptus” sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio. (Sez. 3, Sent. n. 4065 del 2014).

Per il resto le doglianze, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si appalesano inammissibili, giacchè – a fronte dell’anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito – il ricorrente, lungi dall’evidenziare deficienze intrinseche delle argomentazioni che sorreggono il decisum, tende, in realtà, ad una non consentita rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura ad essi favorevole, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

E, peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito del giudice di legittimità non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di Cassazione limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 6200 di cui 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA