Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27404 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. II, 25/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 25/10/2019), n.27404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 737/18) proposto da:

S.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Chiaffredo

Peirone e Nicoletta Gervasi ed elettivamente domiciliato presso lo

studio della seconda, in Roma, Corso d’Italia, 102;

– ricorrente –

contro

STUDIO ASSOCIATO TECNICO E DI TOPOGRAFIA C., in persona del

geom. C.P. (C.F.: (OMISSIS)) e del geom. Se.Fa.

(C.F.: (OMISSIS)), nonchè C.P. e SE.FA., in

proprio, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in

calce al controricorso, dagli Avv.ti Marco Camisassi e Andrea

Mancini e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliari, in

Roma, Via delle Milizie, 22;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo n. 308/2017 (pubblicata il

28 marzo 2017) e l’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. della Corte di

appello di Torino del 18 ottobre 2017 (e notificata il 17 novembre

2017).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Il sig. S.G. proponeva opposizione a decreto ingiuntivo, dinanzi al Tribunale di Cuneo, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 105.200,00, oltre interessi e spese, recata da due assegni – emessi in favore dello Studio associato tecnico e di topografia C. dei geometri C.P. e Se.Fa. – per prestazioni professionali eseguite per conto di esso opponente.

Nella costituzione delle parti opposte, l’adito Tribunale, con sentenza n. 308/2017 (pubblicata il 28 marzo 2017), rigettava l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c., revocando, tuttavia, il decreto monitorio limitatamente alla misura delle spese con lo stesso liquidate, ma condannando l’opponente alla rifusione per intero di quelle del giudizio di opposizione.

A fondamento dell’adottata decisione il suddetto Tribunale rilevava che, dovendosi attribuire ai due titoli cartolari la valenza di promessa di pagamento (con il conseguente esonero dei prenditori dall’onere di provare il rapporto sottostante) e non essendo stata contestata l’emissione dei due assegni da parte del S., il quale non aveva provato l’insussistenza di alcun rapporto causale (poichè le richieste istruttorie articolate erano da ritenersi inammissibili), l’opposizione non meritava accoglimento.

Decidendo sull’appello formulato dal S. e nella costituzione di tutte le parti appellate, la Corte di appello di Torino, con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., dichiarava l’inammissibilità del gravame (sul presupposto che sulla scorta di quanto accertato e ritenuto dal giudice di primo grado – non aveva alcuna ragionevole probabilità di essere accolto).

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di primo grado e alla conseguente ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., emessa dalla Corte di appello di Torino appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il S.G., al quale hanno resistito tutte le parti intimate con un unico controricorso.

La difesa del ricorrente ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

1.1. Con il primo motivo – avanzato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – il ricorrente ha denunciato la violazione o, quantomeno, falsa applicazione degli artt. 167,645 c.p.c. e segg., nonchè degli artt. 1988 e 2697 c.c., congiuntamente all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e al vizio di nullità della sentenza di primo grado, sul presupposto che, nella fattispecie, avrebbe dovuto ritenersi che le parti opposte nel giudizio di prime cure avevano inteso, in effetti, dedurre un’azione di natura causale e/o di adempimento, ragion per cui sarebbe spettato ad essi l’onere di provare il fatto costitutivo della loro pretesa creditoria, nel mentre con l’impugnata sentenza del primo giudice si era provveduto nel senso di invertire detto onere come previsto dal citato art. 2697 c.c..

1.2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o, quantomeno, falsa applicazione degli artt. 115,116 e 167 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 c.c. e segg., in uno al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla circostanza che i fatti come addotti da esso S. in sede di opposizione (circa l’estraneità di ogni suo rapporto con lo Studio associato tecnico e di topografia C. dei geometri C.P. e Se.Fa.) non erano stati idoneamente contestati dalle parti opposte.

1.3. Con la terza doglianza il ricorrente ha lamentato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – la violazione o, quantomeno, falsa applicazione degli artt. 115,116 e 167 c.p.c., degli artt. 2697 c.c. e segg., nonchè del R.D. n. 1736 del 1933, artt. 1 e 2 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento alla mancata rilevazione che, in effetti, i due assegni posti a fondamento del ricorso monitorio rappresentavano l’attuazione della forma di garanzia pretesa dal suddetto Studio e che, avverso tale deduzione, le parti opposte non avevano allegato alcuna prova contraria.

1.4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o, quantomeno, falsa applicazione degli artt. 115,116 e 244 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 c.c. e segg., congiuntamente all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riguardo alla ritenuta inammissibilità delle prove orali articolate da esso ricorrente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo siccome considerate irrilevanti ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio circa la insussistenza del rapporto causale dedotto.

2. Rileva il collegio che occorre farsi carico, in primo luogo, dell’esame dell’eccezione pregiudiziale – avanzata dai controricorrenti – relativa all’assunta inammissibilità del formulato ricorso sul presupposto della sua asserita tardività (avuto riguardo al disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 3) per effetto della mancata allegazione concernente l’individuazione della data di comunicazione del biglietto di cancelleria, nonchè per difetto della relativa produzione del biglietto di cancelleria medesimo.

L’eccezione non è meritevole di pregio giuridico e va respinta.

Infatti, diversamente da quanto prospettato dalle parti controricorrenti, non solo dalla prodotta ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis c.p.c, emessa dalla Corte di appello di Torino emerge l’annotazione che la sua comunicazione era avvenuta a mezzo pec in data 26 ottobre 2017, ma dall’esame degli atti processuali (così come richiamati anche in ricorso) si desume anche che la stessa ordinanza è stata notificata al ricorrente il 17 novembre 2017 e che, quindi, essendo stato inviato il ricorso a mezzo pec il 21 dicembre 2017 (e ricevuto lo stesso giorno), la proposizione dello stesso è da ritenersi certamente tempestiva (con riferimento all’osservanza dell’art. 325 c.p.c., comma 2).

3. Ciò premesso e passando alla disamina dei motivi, bisogna, innanzitutto, rilevare la loro inammissibilità nella parte in cui sono riferiti anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e ciò ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 4 (“ratione temporis” pacificamente applicabile), posto che l’inammissibilità dichiarata dal giudice di appello con l’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., è stata fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, su cui è stata basata l’impugnata sentenza di primo grado.

3.1. Chiarito questo aspetto preliminare, osserva il collegio che le prime due censure possono essere trattate congiuntamente siccome tra loro connesse. Esse sono infondate e devono, perciò, essere respinte.

Con le stesse, in effetti, il ricorrente ripropone le stesse eccezioni già formulate in primo e in secondo grado con riferimento all’efficacia probatoria dei due assegni (in ordine ai quali non era comunque emerso che fossero stati postdatati e la cui sottoscrizione ed emissione da parte del ricorrente non erano state mai oggetto di contestazione) posti a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, ai quali è stata, invece, correttamente ricondotta l’efficacia di cui all’art. 1988 c.c., come tale determinante l’inversione dell’onere della prova circa l’insussistenza del rapporto causale da ricollegare all’esecuzione di prestazioni professionali in suo favore da parte dello Studio associato tecnico e di topografia C., senza che il S. fosse riuscito neanche a comprovare un’eventuale funzione di garanzia ascrivibile ai due titoli cartolari.

Anzi, nell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., viene dato atto che tale circostanza avvalorava che tra le parti c’era stato un precedente negozio (indipendentemente dal suo accertamento fattuale e dalla sua qualificazione) che coinvolgeva il S. “ex latere debitoris” e al quale ineriva la “causa obligandi” riprodotta, nel suo concreto atteggiarsi, nella letteralità dei due titoli.

Pertanto, il Tribunale – come confermato dalla Corte di appello – aveva legittimamente ritenuto che, nella fattispecie, gli assegni erano stati prodotti nella fase monitoria e rivalutati in quella di opposizione come titoli ai quali era riconducibile l’efficacia di cui all’art. 1988 c.c. e non quale prova di un rapporto causale comprovante l’avvenuto adempimento delle controverse prestazioni professionali, ragion per cui il riscontro dell’insussistenza del “titolo causale” dei due assegni incombeva al S., quale emittente degli stessi in favore degli opposti (cfr., ex multis, Cass. n. 4804/2006 e Cass. n. 19929/2011).

Quindi, non è stata operata alcuna inversione dell’onere probatorio, onde non sussistono le violazioni di legge ricondotte agli artt. 115,116 e 167 c.p.c., nonchè agli artt. 1988 e 2697 c.c., men che meno la supposta nullità della sentenza di primo grado ricondotta all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.2. Il terzo motivo si palesa inammissibile perchè attinge una valutazione di merito sull’esclusione della funzione di garanzia che avrebbero assolto i due assegni, la quale – infatti – è stata motivatamente esclusa sia dal Tribunale che dalla Corte di appello, non essendo emerso alcun univoco riscontro probatorio in proposito ed, anzi, potendosi ricavare dalla relativa deduzione che un negozio era comunque intercorso tra le parti e che, proprio per effetto dei due assegni (la cui validità formale – alla stregua del R.D. n. 1735 del 1933, artt. 1 e 2 – non è stata posta in discussione e risulta, in ogni caso, verificata dai giudici di merito), il S. risultava essere debitore della parte esecutrice della dedotta prestazione professionale.

3.3. Anche il quarto ed ultimo motivo è da dichiarare inammissibile.

Con esso il ricorrente tende, in effetti, a recuperare – con il proposto ricorso dinanzi a questa Corte – la rivalutazione della possibile rilevanza delle circostanze (riportate appositamente nello svolgimento della censura) di cui alle inerenti istanze probatorie già ritenute irrilevanti ed inammissibili (sul presupposto della loro ravvisata genericità) da parte del giudice di appello con la motivazione dell’impugnata ordinanza di cui all’art. 348-bis c.p.c..

La stessa Corte territoriale, peraltro, ha, nel caso di specie, – ad ulteriore supporto della valutazione di inammissibilità – rilevato che il S., quale appellante, a fronte di un giudizio di genericità dei capitoli 1 e 9 e di irrilevanza compiuto dal giudice di primo grado con riferimento a tutti gli altri capitoli di prova orale articolati (e richiamati nel ricorso), avrebbe dovuto motivare argomentatamente il suo contrario avviso al convincimento del Tribunale, non potendosi limitare a riproporre l’istanza istruttoria senza l’allegazione di alcun adeguato e logico supporto specificamente contestativo, così non consentendo al giudice di appello di esaminare criticamente la determinazione del primo giudice e verificare la possibilità di poter pervenire a conclusioni eventualmente difformi da quelle assunte dal Tribunale ed aderire alle prospettazioni dell’appellante.

In presenza di questa motivazione adottata nell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., non può ritenersi che il S., con la riproduzione dello stesso motivo come formulato in appello in ordine alla mancata ammissione della prova orale (già, tuttavia, ritenuta inammissibile), possa ottenere un riesame sul punto in sede di legittimità, non avendo nè, per un verso, sottoposto a specifica critica la valutazione del giudice di appello nè, per altro verso, dimostrato, comunque, la decisività delle circostanze stesse ai fini del raggiungimento di una diversa soluzione nel merito della causa.

4. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

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