Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27402 del 01/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 01/12/2020), n.27402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona del Curatore fallimentare pro tempore giusta

autorizzazione del G.D., rappresentato e difeso, per procura in

calce al controricorso, dall’Avv. Bigari Marco, domiciliato in Roma,

P.zza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 2143/14 della Commissione

tributaria regionale della Emilia-Romagna, depositata il 2 dicembre

2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

ottobre 2020 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

L’Agenzia delle entrate, con avviso di accertamento emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, accertava, ai fini Irpef per l’anno di imposta 2005, in capo ad S.A., titolare di impresa di autotrasporti, redditi determinati sinteticamente, avendo constatato che la contribuente aveva la disponibilità di immobili e che, nel quinquennio 2005-2009, aveva sostenuto spese per incrementi patrimoniali incompatibili con la capacità di spesa risultante dai redditi dichiarati.

Il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’atto impositivo veniva accolto dalla Commissione tributaria di prima istanza e la decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, veniva confermata dalla Commissione Tributaria dell’Emilia-Romagna (d’ora in poi C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe.

In particolare, il Giudice di appello riteneva che la contribuente avesse ampiamente dimostrato attraverso prove documentali la provenienza delle somme di denaro da lei possedute, avendo, nello specifico, incassato, nell’anno 2004, il rimborso di un credito IVA.

Per la cassazione di questa sentenza l’Agenzia delle entrate ha presentato ricorso, affidato a unico motivo, cui resiste, con controricorso, il Fallimento, nelle more dichiarato, di S.A..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. n. 600 del 1973, art. 38 e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere che l’Ufficio si fosse limitato a svolgere un lavoro di controllo delle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2004/2005 e a rilevare incrementi patrimoniali relativi all’anno 2007, senza controllare la dichiarazione di quell’anno, mentre la contribuente aveva dimostrato, attraverso prove documentali, la provenienza delle somme di denaro possedute, avendo incassato il rimborso di un credito IVA nell’anno 2004.

1.1 La censura è fondata. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Sempre, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, nel testo vigente ratione temporis: “Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti”. Resta salva, in ogni caso, ai sensi del citato art. 38, comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

Questa Corte (Cass. n. 8995/2014 richiamata dalla successiva Cass. n. 25104/2014) ha, poi, così chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: “A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

Il principio è a tutt’oggi fermo, essendo stato ribadito dalle successive Cass. n. 1332 del 2016; Cass. n. 1510 del 20/01/2017 e n. 29067 del 13/11/2018.

1.2. Alla luce dei superiori principi, cui il Collegio ritiene dare continuità, appare evidente l’errore in cui è incorso il Giudice di appello laddove ha ritenuto che, per una spesa sostenuta nell’anno 2007, e per la quale, pacificamente, l’Ufficio ne aveva operato la distribuzione per quote costanti, nei quattro anni precedenti (ivi compreso l’anno 2005 oggetto di accertamento), lo stesso avesse l’onere di controllare la dichiarazione dell’annualità 2007.

1.3. Inoltre, sempre erroneamente, la C.T.R. ha ritenuto che la contribuente avesse superato la presunzione di cui al citato art. 38, attraverso la dimostrazione di avere incassato nell’anno 2004 il rimborso di un credito IVA, giacchè, alla luce dei principii sopra illustrati, ciò non è sufficiente, essendo onere della contribuente dimostrare, altresì, attraverso idonea documentazione che quel provento, pervenutole nel 2004, fosse ancora nella sua disponibilità nel 2007, anno in cui era stata effettuata la spesa indice.

2.Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, perchè provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

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