Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 274 del 07/01/2011

Cassazione civile sez. I, 07/01/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 07/01/2011), n.274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DI SAN DOMENICO 3, presso l’avvocato PANETTA

MASSIMILIANO, rappresentata e difesa dagli avvocati IEZZI LORENZINA,

SUPINO VITTORIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

D.P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 813/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata l’08/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilita’ o il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 3 agosto 2005 D.P.G. chiedeva alla Corte d’Appello di L’Aquila di delibare la sentenza ecclesiastica di nullita’ del matrimonio canonico, emessa in prima istanza dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Abruzzese di Chieti in data 2.3.2004, deducendo che: in data (OMISSIS) aveva contratto matrimonio concordatario in (OMISSIS) con B.R.; che dal matrimonio non erano nati figli; che il matrimonio era stato dichiarato nullo con la sentenza di prima istanza summenzionata per grave difetto di discrezione di giudizio e per incapacita’ di assumere gli oneri essenziali del matrimonio da parte della convenuta B.R.; che tale sentenza era stata confermata dal Tribunale Ecclesiastico Beneventano di Appello con decreto di ratifica in data 23.2.2005 ed era stata dichiarata esecutiva con decreto in data 6 luglio 2005 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; che sussistevano le condizioni di legge per la delibazione di detta sentenza ecclesiastica di prima istanza e che tale sentenza rappresentava per il ricorrente “il titolo per agire in sede civile con l’azione di restituzione ex tunc e di risarcimento dei danni nei confronti di B.R.”.

Costituendosi in giudizio la B. chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che nel giudizio dinanzi al giudice ecclesiastico d’appello non le era stato assicurato il diritto di agire e resistere in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, non essendo stati rispettati il diritto di difesa ed il principio della integrita’ del contraddittorio. Deduceva in particolare la convenuta che, malgrado avesse ritualmente appellato con atto motivato la sentenza di prima istanza, il Tribunale Beneventano di Appello alla udienza del 23.2.2005 aveva definito il procedimento con decreto di conferma della sentenza di prima istanza senza provvedere alla contestazione della lite ai sensi del canone 1513, comma 1, e senza, successivamente, concedere alle parti il termine per il deposito di elaborati difensivi ai sensi del canone 1640; che il giudizio andava definito con sentenza e non con decreto;

che il canone 1620 nn. 7 ed 8 prevede in tali casi la querela di nullita’ per violazione del diritto di difesa; che la deducente aveva tempestivamente interpellato al riguardo il Supremo Tribunale della Segnatura quale organo superiore di controllo; che questo aveva emesso ugualmente il decreto di esecutivita’ della sentenza, pur consigliando di proporre una nuova causa ex canone 1644 avanti al Tribunale Rotale, per cui il procedimento in sede ecclesiastica non poteva ritenersi ancora definito; che la delibazione della sentenza ecclesiastica non costituisce titolo per agire in sede civile con l’azione di restituzione ex tunc e di risarcimento del danno.

Con sentenza del 7.11.2006 – 8.11.2006 la Corte adita dichiarava efficace nella Repubblica Italiana la sentenza di prima istanza del Tribunale Ecclesiastico Regionale di Chieti in data 2.3.2004 di declaratoria di nullita’ del matrimonio canonico, celebrato in (OMISSIS) in data (OMISSIS) tra D.P.G., nato a (OMISSIS), e B.R., nata a (OMISSIS).

Avverso detta sentenza B.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’intimato D.P.G. non si e’ difeso in questa fase del giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione, inosservanza o erronea applicazione dell’art. 8 n. 2 lett. B) dell’Accordo di Modifica del Concordato del 18.2.1984 ratificato con L. n. 121 del 1985 e art. 24 Cost. con riferimento al diritto di difesa per difetto di contraddittorio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce la ricorrente che il giudice a quo avrebbe affermato erroneamente che alla ricorrente sarebbe stato assicurato dinanzi al Tribunale ecclesiastico di Benevento il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, dato che, essendole stata data la possibilita’ di partecipare alla udienza di discussione del 23.2.05, le sarebbe stato assicurato il diritto di difesa e quello della integrita’ del contraddittorio.

Detta udienza, infatti, come si evincerebbe dal dettato del canone 1609; sarebbe riservata unicamente alla decisione del collegio giudicante, per cui la stessa non deve essere comunicata ne’ alle parti ne’ ai difensori delle stesse.

Erroneamente, pertanto, il giudice a quo avrebbe ritenuto che si fosse instaurato un regolare contraddittorio, pur essendo mancata nel caso di specie la fissazione della udienza preliminare di concordanza del dubbio, deputata alla contestazione della lite ed alla istruttoria ed integrazione di quella effettuata in primo grado.

Pertanto sarebbe errata la ulteriore affermazione che con la proposizione del motivato atto di appello la contestazione della lite sarebbe in re ipsa.

Ulteriore violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio sarebbe dovuta al fatto che il giudice non avrebbe provveduto, ai sensi del canone 1601, ad assegnare alle parti un congruo termine per il deposito degli elaborati difensivi.

In conseguenza di dette omissioni non sarebbe stato compiutamente rispettato l’iter processuale canonico, essendo stata completamente omessa una fase dello stesso.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia sotto altro profilo la violazione delle norme relative al diritto di difesa e di contraddittorio – carenza assoluta e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica avrebbe invitato la B. con varie missive ad attivarsi attraverso l’inoltro di “nova causae propositio” per far valere la nullita’ del giudizio di appello per le omissioni denunciate con il primo motivo, per cui il decreto di esecutivita’ emanato da detto Tribunale non potrebbe far ritenere concluso definitivamente il giudizio dinanzi ai tribunali ecclesiastici. Il ricorso e’ infondato.

Con il secondo motivo, che per ragioni di priorita’ logico – giuridica deve essere esaminato per primo, la ricorrente sostanzialmente contesta la delibabilita’ della sentenza ecclesiastica per mancanza del requisito del passaggio in giudicato della stessa. Secondo la ricorrente il fatto che il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica la abbia invitata a far valere le nullita’, di cui al primo motivo, inoltrando dinanzi al giudice ecclesiastico una “nova causae propositio” comporterebbe che, nonostante il decreto di esecutivita’ emanato da detto Tribunale, non potrebbe ritenersi concluso definitivamente il giudizio dinanzi ai tribunali ecclesiastici.

Il collegio osserva che l’art. 797 c.p.c., n. 4, che trova ancora applicazione per quanto riguarda la dichiarazione di efficacia delle sentenze di nullita’ del matrimonio emesse dai tribunali ecclesiastici, dispone che “La Corte d’Appello dichiara con sentenza l’efficacia nella Repubblica della sentenza straniera quando accerta:……….4) che la sentenza e’ passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui e’ stata pronunciata. “Il giudice a quo ha accertato che il matrimonio tra la ricorrente e D.P.G. e’ stato dichiarato nullo con sentenza di prima istanza dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Abruzzese di Chieti in data 2.03.2004; che tale sentenza e’ stata confermata dal Tribunale Ecclesiastico Beneventano d’Appello con decreto di ratifica in data 23 febbraio 2005 ed e’ stata dichiarata esecutiva con decreto in data 6 luglio 2005 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; ha affermato, quindi, che la sentenza dovesse considerarsi passata in giudicato secondo le leggi canoniche, atteso che per sentenza passata in giudicato deve intendersi per il diritto canonico quella divenuta esecutiva per essere stata munita del decreto di esecutivita’ dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Tale affermazione merita di essere condivisa.

Le sentenze affermative di nullita’ matrimoniale sono dichiarative e non passano mai in giudicato (canone 1643 del codice di diritto canonico), percio’ possono sempre essere impugnate con la richiesta di nuovo esame. Tuttavia tale richiesta non sospende l’esecuzione definitiva; il canone 1644 dispone , infatti, che se furono emesse due sentenze conformi in una causa sullo stato delle persone, si puo’ adire il tribunale di appello in qualsiasi momento, adducendo nuove e gravi prove o argomenti e che, comunque, l’appello al tribunale superiore per ottenere la nuova proposizione della causa non sospende l’esecuzione della sentenza; questa puo’ essere sospesa dal giudice d’appello soltanto se ritiene che da questa possa insorgere un danno irreparabile. Nelle cause matrimoniali la doppia conformita’ comporta, con i relativi decreti esecutori, che gli effetti derivanti da esse debbano mettersi in pratica. L’effetto principale e’ la possibilita’ di contrarre nuove nozze.

Il canone 1684 dispone, infatti, che, qualora la sentenza, con la quale e’ stata dichiarata la nullita’ del matrimonio per la prima volta, sia stata confermata in grado di appello con un decreto o con una seconda sentenza, coloro il cui matrimonio fu dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze, non appena il decreto o la nuova sentenza siano stati loro notificati; il che significa che, intervenuta la conferma, la sentenza, che ha dichiarato per la prima volta la nullita’ del matrimonio, passa in giudicato in senso formale e, per questo, puo’ darsi esecuzione alla stessa.

Per potere essere mandata ad esecuzione la sentenza deve essere munita del decreto di esecutivita’ (canone 1650 paragrafo 3), decreto che puo’ essere “incluso nel testo stesso della sentenza” oppure “edito separatamente”.

L’intervenuto decreto di esecutivita’, nel caso di specie, da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, comporta, pertanto, che la sentenza in questione possa essere mandata ad esecuzione e possa essere, quindi, considerata passata in giudicato “secondo la legge del luogo in cui e’ stata pronunciata”.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio per non avere il giudice di appello fissata una udienza preliminare di concordanza del dubbio e per non avere assegnato alle parti un congruo termine per il deposito di elaborati difensivi.

Anche tale censura non merita di essere condivisa.

Va detto preliminarmente che la violazione, nei corso del procedimento dinanzi al tribunale ecclesiastico, del diritto delle parti di agire e contraddire e’ riscontrabile soltanto in presenza di una compromissione della difesa negli aspetti e requisiti essenziali garantiti dall’ordinamento dello Stato Italiano (cfr. tra le numerosissime sentenze in tal senso, per tutte: Cass. n. 6686 del 2010).

Fatta questa premessa il collegio osserva che per le cause matrimoniali il canone 1682, paragrafo 2, per la ipotesi che in primo grado sia stata dichiarata la nullita’ del matrimonio, prevede che il giudice di appello, dopo avere ponderato le osservazioni del difensore del vincolo e delle parti, se ve ne sono, possa con un suo decreto, che va emesso sollecitamente, confermare la decisione senza procedere per via ordinaria.

Detto canone richiede che sia rispettato il principio del contraddittorio, imponendo al giudice di ponderare “le osservazioni del difensore del vincolo e anche delle parti, se ve ne siano”.

Le parti, pertanto, dovrebbero essere Informate del loro diritto a presentare osservazioni.

Una volta esaminati gli atti e le osservazioni delle parti, il collegio deve sollecitamente decidere la causa con decreto, a meno che non ritenga di dover rinviare la causa all’esame ordinario del nuovo grado.

La ricorrente non ha mai lamentato di non essere stata informata del diritto a presentare osservazioni, ne’ ha lamentato il mancato esame di un qualche motivo di appello. Nella sentenza impugnata si afferma che dal decreto del tribunale ecclesiastico risulta che questo ha esaminato tutti e sette i motivi di appello proposti dalla B. e li ha ritenuti infondati; che, quindi, alla ricorrente e’ stato assicurato il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, essendo stati salvaguardati sia il diritto di difesa che quello della integrita’ del contraddittorio.

Se nel proprio decreto il giudice d’appello ha dimostrato di avere esaminato tutti i motivi di appello, ritenendoli tutti infondati, significa che detto giudice aveva ben chiari quale fosse la materia del contendere e che gli atti di causa consentivano di decidere la stessa in via breve.

Ne’ si puo’ fondatamente ritenere che vi siano state violazioni del diritto di difesa e del principio del contraddittorio perche’ non e’ stata fissata l’udienza per procedere alla contestazione della lite.

Devesi osservare al riguardo che nel giudizio di appello la contestazione della lite attiene esclusivamente alla conferma o riforma della prima sentenza (canone 1639).

La contestazione della lite ha la funzione di delimitare l’oggetto del giudizio (canone 1513 paragrafo 1), ma soltanto nelle cause piu’ difficili si richiede al giudice di convocare le parti” per concordare il dubbio o i dubbi, a cui si dovra’ rispondere nella sentenza”.

Per quanto riguarda le cause matrimoniali la materia e’ regolata dal canone 1677. In base a tale disposizione nelle cause di nullita’ matrimoniale il giudice e’ tenuto ad indire l’udienza per la litis contestatio e la concordanza del dubbio soltanto se una delle parti lo richieda entro quindici giorni dopo il decreto di citazione indipendentemente da quanto sono semplici o complessi i termini della controversia; in caso contrario stabilisce d’ufficio con suo decreto “la formulazione del dubbio o dei dubbi”, vale a dire procede direttamente alla delimitazione dell’oggetto del contendere tenendo conto delle richieste dell’attore e dell’opposizione del convenuto”.

Non risulta dalla sentenza impugnata che la B. abbia chiesto la fissazione di una udienza per la litis contestatio ne’ ha dimostrato che il giudice ecclesiastico abbia omesso di procedere d’ufficio a tale, nel processo canonico, necessario adempimento. Devesi rilevare che nel processo dinanzi al giudice italiano non e’ previsto tale adempimento; rileverebbe soltanto il fatto che il giudice ecclesiastico, qualora fosse effettivamente mancata la formale delimitazione dell’oggetto della controversia avesse provveduto dimostrando di non avere ben compreso quale fosse l’oggetto del contendere. Dalla sentenza impugnata risulta il contrario. Ne’ e’ condivisibile quanto affermato dalla ricorrente che la stessa, in conseguenza delle denunciate omissioni, sia stata privata di un intero grado di giudizio, atteso che il processo di appello si e’ svolto secondo uno dei riti (quello breve) previsti dal diritto canonico, il quale, per come strutturato, appare rispettoso dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione.

Appare opportuno sottolineare che questa Suprema Corte ha avuto piu’ volte occasione di affermare, principio del tutto condivisibile, che ai fini della dichiarazione di esecutivita’ della sentenza del tribunale ecclesiastico di nullita’ del matrimonio concordatario la violazione, nel corso del procedimento dinanzi al tribunale ecclesiastico, del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio, quale situazione ostativa alla delibazione, e’ riscontrabile soltanto in presenza di una compromissione della difesa negli aspetti e requisiti essenziali garantiti dall’ordinamento dello Stato, mentre resta irrilevante una mera diversita’ di regolamentazione processuale del diritto stesso (cfr. per tutte, tra le molte: Cass. n. 1987 del 1986).

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto senza alcuna pronuncia sulle spese, non essendosi controparte difesa in questa fase del giudizio.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011

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