Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27397 del 29/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2016, (ud. 01/12/2016, dep.29/12/2016),  n. 27397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22375-2015 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE

32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPADA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO GIANNONI, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSESSORATO DI AGRICOLTURA, dello SVILUPPO RURALE E DELLA PESCA

MEDITERRANEA DELLA REGIONE SICLIANA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 824/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1/12/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“La Corte di appello di Catania, con sentenza del 10 ottobre 2014 in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ragusa respingeva la domanda di B.C., lavoratore a tempo determinato alle dipendenze dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali di Ragusa, intesa ad ottenere il pagamento di differenze retributive asseritamente dovute in forza del c.c.n.l. di categoria (addetti ai lavori idraulico-forestali) per gli anni dal 2001 al 2008. Riteneva la Corte territoriale che, quanto alla richiesta riferita al 2001, non risultasse documento lo svolgimento di attività lavorativa e che, quanto agli anni dal 2002 al 2008, non fosse possibile un recepimento automatico del c.c.n.l. privato da parte della Regione e ciò per la necessità di rispettare vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale e che, pertanto, la normativa di cui alla L.R. 14 aprile 2006, art. 14 dovesse essere interpretata nel senso che il recepimento della parte economica del contratto nazionale è subordinato ad una delibera della Giunta che deve verificare la sussistenza della copertura economica finanziaria.

B.C. propone ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo.

L’Assessorato Regionale è rimasto intimato (in realtà la notifica del ricorso è stata effettuata presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato) di Catania che ope legis difendeva l’Assessorato anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato).

Va preliminarmente rilevato che l’appellante incentra i propri rilievi solo sul rigetto della domanda relativa alle differenze retributive per gli anni dal 2002 al 2008.

Ciò precisato, si osserva che con la denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto decisivo che, con riferimento alle annualità (ancora) in contestazione, non vi fosse stato un recepimento da parte della Regione Sicilia della contrattazione collettiva nazionale (a mezzo di appositi decreto assessoriale e delibera di Giunta). Rileva, in sintesi, che in forza del TU del pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001) si è passati da un sistema regolato dalla legge a un sistema affidato al metodo della contrattazione, alla quale era stato conferito il potere di determinare i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro (TU n. 165 del 2001, art. 40). Da ciò discende, secondo un’interpretazione confermata dalle decisioni del giudice delle leggi (e così in particolare da C. cost. n. 189/2007), che il trattamento economico dei pubblici dipendenti deve ritenersi devoluto alla contrattazione collettiva. Pertanto, secondo una lettura costituzionalmente orientata della L.R. 14 aprile 2006, n. 14, art. 49 (norma di interpretazione autentica nella parte in cui chiarisce che il contratto collettivo di cui tratta la L.R. Sic. 6 aprile 1996, n. 16, art. 45 ter, comma 5, è quella nazionale), laddove essa appare subordinare a un atto discrezionale delle autorità regionali l’applicabilità dei contratti collettivi di lavoro, deve ritenersi che, limitatamente alle materie attribuite all’autonomia contrattuale, questa s’imponga con forza imperativa. Ne consegue che il decreto assessoriale e la delibera di Giunta cui la legge demanda il recepimento della parte normativa ed economica dei contratti collettivi assumono la funzione di meri strumenti esecutivi, funzionali a regolare l’ingresso della disciplina collettiva nell’ordinamento regionale, con la conseguenza che l’emanazione dei medesimi non può essere procrastinata sine die con pregiudizio dei diritti costituzionali protetti del lavoratore. Inoltre non si configura alcuna invasione da parte della contrattazione nazionale in ambiti riservati alla competenza della contrattazione integrativa regionale in forza del disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, che delinea un rapporto di subordinazione tra le due fonti contrattuali.

Il motivo è manifestamente infondato (si veda la pronuncia di questa Corte del 13 gennaio 2016, n. 356).

Anche in questa sede s’intende riaffermare il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte in forza del quale “anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nazionale, regionale, provinciale, aziendale) deve essere risolto non già in base al criterio della gerarchia (che comporterebbe la prevalenza della disciplina di livello superiore) nè in base al criterio temporale (che comporterebbe sempre la prevalenza del contratto più recente e che invece è determinante solo nell’ipotesi di successione di contratti collettivi con identità di soggetti stipulanti, ossia dei medesimo livello), ma secondo il principio di autonomia (e, reciprocamente, di competenza), alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali (nell’esercizio, appunto, della loro autonomia) pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione, fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività” (Cass. 26 maggio 2008, n. 13544).

Il suddetto enunciato costituisce applicazione, nel contesto dell’impiego pubblico privatizzato, del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in materia di regolamentazione del contrasto tra contrattazione collettiva relativa a rapporti di lavoro privatistici, risolto, in conformità alla valorizzazione dell’autonomia negoziale, “non in base a principi di gerarchia e di specialità proprie delle fonti legislative, ma sulla base della effettiva volontà delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante, sicchè anche i contratti territoriali possono, in virtù dei principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., prorogare l’efficacia dei contratti nazionali e derogarli, anche in pejus senza che osti il disposto di cui all’art. 2077 c.c., fatta salva solamente la salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, che non possono ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa di eguale o diverso livello” (Cass. 18 maggio 2010, n. 12098).

La sentenza del Corte territoriale appare, dunque, rispettosa dei principi affermati, nel momento in cui ha ritenuto che l’applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale non possa imporsi in ambito regionale con forza imperativa ed in ragione di una sorta di prevalenza gerarchica, senza necessità di recepimento ad hoc mediante delibera di giunta e decreto assessoriale.

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5. Valuterà il collegio se debba essere fatta applicazione, ai fini della eventuale rinnovazione della notifica, del principio espresso da Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 608: “in materia di ricorso per cassazione proposto nei confronti della PA è nulla la notifica effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato, sicchè ne è ammissibile la rinnovazione presso quest’ultima, ponendosi una diversa soluzione in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo””.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5 per la definizione camerale del processo, superflua essendo la fissazione di un termine per la rinnovazione della notifica nulla atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. 17 giugno 2013, n. 15106; Cass., Sez. Un., 23 settembre 2014, n. 21670).

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – Nulla va disposto per le spese non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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