Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27395 del 29/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 29/10/2018), n.27395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3535/2014 proposto da:

I.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE ACACIE 13 (c/o CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato

GIANCARLO DI GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE

AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, EMANUELE

DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1103/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/08/2013 R.G.N. 247/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento parziale del

ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 1103/2013, ha accolto, per quanto qui ancora interessa, il gravame proposto da I.P. avverso la sentenza del locale Tribunale che, nel pronunciare favorevolmente sulla domanda volta all’accertamento del diritto alla iscrizione della medesima quale lavoratrice agricola subordinata, aveva condannato l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite in misura di Euro 450,00. La Corte territoriale aumentava ad Euro 2.057,63 il rimborso per le spese legali, di cui Euro 874,00 per diritti ed Euro 955,00 per onorari, condannando altresì l’ente alla rifusione delle spese del giudizio di appello, liquidandole in Euro 1.250,00 per compensi ed Euro 55,50 per esborsi.

2. Avverso tale sentenza la I. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, poi illustrati anche da memoria e resistiti da controricorso I.N.P.S.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente afferma la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, della L. n. 1501 del 1957, art. unico, della tariffa forense di cui al D.M. 8 aprile 2004 e del principio dell’inderogabilità dei diritti e dell’onorario minimo.

In particolare, la ricorrente lamenta che non fossero stati riconosciuti come dovuti, rispetto al giudizio di primo grado, i diritti procuratori inerenti alla notifica della sentenza, la corrispondenza informativa, quelli inerenti all’intimazione dei testimoni (redazione e notifica), l’assistenza ad un’udienza e la disamina del dispositivo.

Con il secondo motivo è addotta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 140 del 2012 (artt. 1,4,5e 11) in quanto per il giudizio di appello sono state riconosciute spese legali per Euro 1.250,00, oltre ad Euro 55.50 per esborsi, che a dire della ricorrente sarebbero inferiori ai minimi calcolabili sulla base della tariffa vigente illo tempore.

2. Il ricorso non può trovare accoglimento.

3. Iniziando dalla disamina del primo motivo, inerente alla misura del rimborso spese riconosciuto per il giudizio di primo grado, si deve premettere che, secondo il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui qui si aderisce, “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata” (Cass., S.U., 12 ottobre 2012, n. 17405).

3.1 Da quanto sopra deriva che, nel decidere sulle spese di primo grado la sentenza di appello, che è stata resa nel luglio 2013, avrebbe dovuto fare applicazione del D.M. n. 140 del 2012 cit. (non essendo ancora entrato in vigore il D.M. n. 55 del 2014) e non delle tariffe previgenti.

3.2 Non può poi condividersi neppure l’applicazione del parametro proprio delle cause di valore indeterminabile.

Oggetto di causa è l’accertamento del diritto della I. all’iscrizione previdenziale quale bracciante agricola, per l’anno 1998 e 102 giornate.

Il valore economico coinvolto, non risultando il maturare di prestazioni già concretamente riconnesse alla sola iscrizione per quell’anno ed in quei giorni, consiste nella possibile proiezione di tale iscrizione su future prestazioni previdenziali, rispetto alle quali essa potrebbe contribuire pro quota ed in ragione della sua consistenza. Tale consistenza è però solo apparentemente indeterminabile, in quanto essa è di valore palesemente limitato (come si è detto si parla di 102 giornate nell’arco di un anno), il che consente di apprezzarne la misura come certamente non superiore ai 25.000,00 di cui allo scaglione più basso previsto nella tabella A allegata al D.M. n. 140 del 2012: essendo evidente come non sia possibile, a fronte di un valore in concreto chiaramente contenuto, riconoscere l’applicazione tout court della categoria della indeterminabilità e dei più elevati valori liquidativi minimi per essa previsti.

3.3 Da quanto sopra deriva che la liquidazione in misura di Euro 1.629,00 operata dalla Corte d’Appello per il primo grado di giudizio non risulta inferiore ai minimi (che ammontano ad Euro 940,00) di cui allo scaglione base previsto dal D.M. n. 140 del 2012 e pertanto essa, rettificata ex art. 384 c.p.c., u.c., nei termini di cui sopra la relativa motivazione, resiste all’impugnativa qui dispiegata.

4. Infondato è poi anche il secondo motivo.

Vale per esso quanto già detto rispetto alla necessità di tenere conto del parametro di valore fino a 25.000,00 Euro della tariffa di cui al D.M. n. 140 del 2012. Ciò comporta, per l’appello, un minimo di Euro 1.128,00, non superiore all’importo (Euro 1.250,00) liquidato in secondo grado, che, rettificata anche in questo caso in tali termini la motivazione, resta quindi confermato.

5. L’impugnativa va, dunque, rigettata e, non risultando dal ricorso per cassazione (neppure come necessaria riproduzione della eventuale dichiarazione resa in gradi precedenti: Cass. 9 luglio 2015, n. 17935) alcuna dichiarazione di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c., le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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