Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27395 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/10/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 25/10/2019), n.27395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28918-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ELISABETTA LANZETTA, FRANCESCA FERRAZZOLI, SEBASTIANO CARUSO,

GIUSEPPINA GIANNICO, CHERUBINA CIRIELLO;

– ricorrente –

contro

V.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 42, presso lo studio degli avvocati ANTONIO DE PAOLIS,

PAOLO ERMINI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8896/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/11/2013 R.G.N. 1794/2011.

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte di Roma, con la sentenza n. 8896/2013 ha respinto l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di V.F. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Latina.

2. La V., appartenente all’AREA 13, posizione B1, aveva adito il Tribunale chiedendo che fosse accertato lo svolgimento di mansioni superiori (AREA C, posizione C1), con la conseguente condanna dell’Istituto datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.

3. Il Tribunale aveva accolto la domanda.

4. La Corte d’Appello ha rilevato che l’INPS non aveva contestato lo svolgimento delle mansioni elencate e descritte dalla lavoratrice nel ricorso, ma aveva dedotto la riconducibilità del e stesse alla qualifica di appartenenza.

4.1. Doveva considerarsi provato, pertanto, che la lavoratrice avesse svolto compiti attinenti al disbrigo di tutto il procedimento volto alla iscrizione/inquadramento delle aziende, nell’ambito delle quali provvedeva, dopo apposita istruttoria e valutazione in base alla normativa vigente, all’assegnazione di posizioni o matricole alle aziende, all’individuazione del settore economico di appartenenza e attribuzione del relativo codice statistico contributivo ai fini della determinazione dell’aliquota, gestendo, altresì, tutte le variazioni di inquadramento delle posizioni aziendali, le sospensioni, le cessazioni definitive e provvisorie, le riattivazioni, le cessazioni anagrafiche e contributive trasmettendo i dati definitivi in via informatica e l’emanazione dei modelli DM80.

4.2. Il giudice di secondo grado poneva, quindi, in evidenza che il discrimine tra le caratteristiche degli appartenenti all’AREA C e all’AREA B consiste nella capacità dei primi di svolgere tutte le fasi del processo affidategli, essendo invece richiesto al dipendente inquadrato in AREA B soltanto di svolgere singole fasi o fasce del processo produttivo, nell’ambito delle direttive di massima ricevute o di direttive predeterminate.

Nè per processo produttivo poteva prendersi in considerazione l’intero processo assicurato – pensionato.

La Corte d’Appello rilevava che la sottoscrizione del provvedimento finale da parte del dirigente dell’AREA di appartenenza non era elemento distintivo tra i due profili in contestazione, avendo la lavoratrice rivendicato lo svolgimento delle mansioni Cl, “operatore del processo”, descritto come colui che ha compiuta conoscenza di una o più fasi del processo aziendale, e che l’INPS non aveva censurato l’apprezzamento delle risultanze istruttorie effettuato dal Tribunale.

Pertanto, doveva ritenersi l’obiettiva inquadrabilità delle mansioni espletate dalla V. nel profilo richiesto, con accoglimento della domanda di riconoscimento delle differenze retributive.

5. Per la cassazione della sentenza d appello ricorre l’INPS prospettando un motivo di ricorso.

6. Resiste la lavoratrice con controricorso.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con l’unico motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 13, 16 e 24 del CCNL enti pubblici non economici 1998/2001, del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e succ. mod. dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52; dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla interpretazione delle declaratorie contrattuali delle aree, allegato A al CCNL 1998-2001.

Il motivo si articola in due profili di censura.

1.1. In primo luogo l’INPS censura la statuizione della Corte d’Appello secondo cui per il riconoscimento delle mansioni superiori non è necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e che il dipendente assuma la responsabilità dell’attività svolta, essendo sufficiente che le stesse vengano in concreto svolte singolarmente, purchè con modalità da configurare i requisiti per il livello C1.

L’INPS, dopo aver richiamato il contenuto delle disposizioni contrattuali invocate, ricorda il processo di riorganizzazione della propria attività e della gestione del personale, in modo da prevedere la completa gestione di un servizio da parte di unii:à di processo, incaricate di processi primari ed esternazione dei provvedimenti, con assunzione di responsabilità finale, e non più la rigida divisione di compiti tra diversi settori.

Pertanto, la connotazione essenziale per rivendicare lo svolgimento di mansioni afferenti al profilo C è proprio lo svolgimento di tutte le fasi del procedimento. Ciò, considerato che deve aversi riguardo, ai fini della definizione di “processo produttivo”, a tutti gli aspetti del rapporto contributivo, dalla fase costitutiva a quella conclusiva, compresa la gestione dei crediti ed il loro recupero, e tutti i rapporti di natura tecnica amministrativa e contabile nascenti dall’obbligo contributivo, atteso che la competenza relativa al sottoprocesso produttivo (nella fattispecie in esame pratiche relative ad aziende con dipendenti) è diversa da quella relativa all’intero processo produttivo (processo “Aziende” che ricomprende un’ampia categoria di soggetti contribuenti).

2. Il motivo non è fondato.

2.1. Va premesso che in materia di pubblico impiego privatizzato, le qualifiche funzionali previste dal D.P.R. n. 285 del 1988 per il personale degli enti pubblici non economici sono divenute inapplicabili a seguito della stipulazione – in attuazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72 (successivamente trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69) – del CCNL 16 febbraio 1999 di comparto, le cui disposizioni, unitamente a quelle del contratto collettivo integrativo degli enti, hanno individuato i nuovi equivalenti profili professionali e ridefinito e ricollocato quelli preesistenti nell’ambito delle nuove aree di inquadramento, costituendo la fonte esclusiva per valutare se un dipendente abbia, o meno, svolto mansioni diverse dalla qualifica (Cass., n. 20079 del 2008, n. 29827 del 2008, Cass., S.U., n. 16038 del 2010).

2.2. L’interpretazione delle declaratorie contrattuali AREA B e AREA C, del CCNL enti pubblici economici del 1999, di cui si duole il ricorrente, ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, in relazione a fattispecie che analogamente a quella in esame, attenevano all’attribuzione di differenze retributive per mansioni superiori a dipendenti di un ente pubblico non economico.

2.3. Nella sentenza n. 8683 del 2018 (relativa all’INAIL, cui adde, Cass. sentenza n. 14204 del 2018) si è affermato che il CCNL 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’AREA B il personale “strutturalmente inserito nel processo produttivo” che svolge “fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche”, valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e “risponde dei risultati secondo la posizione rivestita”.

La declaratoria allegata al contratto precisa, poi, che la posizione B1 presuppone “conoscenze di base sul contesto di riferimento interno ed esterno, delle normative che regolano l’attività istituzionale dell’ente e la sua organizzazione, nonchè dei vincoli da rispettare; conoscenze professionali di base riferite all’informatica applicata e al processo o ai processi di pertinenza”.

2.4. All’AREA C appartiene, invece, il personale “competente a svolgere tutte le fasi del processo” che opera “a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum”, e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale – operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione (citata sentenza Cass. n. 8683 del 2018).

Nella declaratoria generale dell’AREA si precisa che il personale nella stessa inserito “costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarità delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica”.

La posizione C1 presuppone “conoscenze ed esperienze idonee ad assicurare la capacità di gestire e regolare i processi di produzione; attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo all’ottimizzazione del sistema, contribuendo al monitoraggio della qualità; capacità di gestire le varianza del processo in funzione del cliente”.

2.5. Si è, quindi, affermato nella sentenza di questa Corte da ultimo richiamata, che l’AREA C si caratterizza rispetto a quella inferiore, oltre che per il diverso livello di conoscenze richiesto al dipendente, per la capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’AREA stessa, è elemento richiamato in tutti i profili.

Al contrario il personale dell’AREA B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a “rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita”, circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad “orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo”.

I tratti differenziali essenziali fra il personale delle due AREE vanno individuati nello svolgimento o meno di tutte le fasi del processo e nel livello di responsabilità attribuita, aggiungendo che per l’area C l’ampiezza diversa e la gradualità della responsabilità, che deve comunque sussistere, discendono dalla presenza di diversi livelli di sviluppo all’interno dell’area stessa.

2.6. Il giudice di appello, facendo corretta applicazione dei suddetti principi, ha interpretato correttamente le disposizioni contrattuali relative all’AREA B e all’AREA C, laddove ha escluso che la competenza a svolgere tutte le fasi del processo richiedesse l’effettivo svolgimento di tutte, e ha riconosciuto le differenze retributive per le mansioni superiori, atteso che la lavoratrice espletava mansioni (v., punto 4.1. del Ritenuto) non contestate dall’INPS nel loro svolgimento, che andavano ricondotte a quelle di “operatore di processo”, di cui all’AREA C, posizione C1.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.500,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

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