Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27389 del 01/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 01/12/2020), n.27389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20273/2014 R.G. proposto da:

CO.M.IN. S.R.L., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Bruno

Calamaro, elettivamente domiciliata in Roma, lungotevere

Michelangelo n. 9, presso l’Avv. Patrizia Mittiga Zandri;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

nonchè

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 201/45/13 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 6/6/2013.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’8 settembre

2020 dal consigliere Dott.ssa Laura Mancini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La società CO.MI.N. s.r.l. impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rettificato ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, la dichiarazione annuale IVA per l’anno di imposta 2003, richiedendo il pagamento della maggiore imposta determinata in Euro 20.244,00, oltre interessi e sanzioni.

A sostegno del ricorso la contribuente assunse che le operazioni contestate dall’Amministrazione finanziaria, coincidenti con acquisti e importazioni effettuati senza il pagamento dell’IVA, trovavano giustificazione nell’avere svolto nell’anno di imposta precedente (2002) prestazioni di servizi assimilate alle cessioni all’esportazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 – bis, comma 1, lett. e), come dimostrato dalla fattura n. (OMISSIS), emessa in relazione alla lettera d’ordine della società Cantieri del Mediterraneo s.p.a..

Con la sentenza n. 410/2011 la Commissione tributaria provinciale di Napoli accolse il ricorso.

2. Avverso tale pronuncia propose appello l’Agenzia delle entrate e con sentenza n. 201/45/13, depositata il 6 giungo 2013 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania accolse il gravame.

3. Contro detta pronuncia la società CO.MI.N. s.r.l. propone ricorso affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. Il Ministero dell’economia e delle finanze è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la CO.M.IN. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 8, 8 – bis, e 9, e del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, art. 1, convertito dalla L. 27 febbraio 1984, n. 17.

Si contesta, in particolare, che la sentenza impugnata ha erroneamente avallato la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale nell’anno di imposta 2003 la società ricorrente ha dichiarato acquisti e importazioni senza pagamento dell’imposta per Euro 101.218,00 pur non possedendo lo status di “esportatore abituale”, posto che nella dichiarazione relativa al 2002 risultava soltanto la fattura n. (OMISSIS) di Euro 97.529,00, emessa nei confronti della società Cantieri del Mediterraneo s.r.l., così che non poteva ritenersi raggiunto il limite del 10 per cento del complessivo volume di affari che, per l’anno 2002, era stato dichiarato in Euro 1.041.483,00.

Ad avviso della società ricorrente il limite quantitativo del 10 per cento del volume di affari, fissato dal D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, art. 1, non trova applicazione in relazione alle operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 – bis, giacchè, come confermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 5, 7/10/2011, n. 20575), le fattispecie ivi previste sono diverse e, quindi, non sovrapponibili, rispetto a quelle contemplate dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, tanto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 – bis, riconosce la non imponibilità alle operazioni di scambio concernenti specifici e individuati beni e prestazioni di servizi, senza porre alcuna altra condizione per ottenere il beneficio. Ne deriva che il limite relativo all’ammontare dei corrispettivi rispetto al fatturato globale deve ritenersi operante per le sole ipotesi di operazioni qualificate come cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie effettuate da soggetti che acquistano per tale ragione la qualifica di esportatori abituali.

2. In via preliminare deve essere rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, posto che, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’economia e delle finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate (cfr., ex multis, Cass. Sez. 5, ord. 23/1/2020, n. 1462; Cass. Sez. 5, 28/1/2015, n. 1550; Cass. sez. 5, 12/11/2010, n. 22992).

3. Il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate è, invece, infondato.

Con l’atto di accertamento impugnato l’Amministrazione finanziaria ha recuperato una maggiore IVA per l’anno 2003 sul presupposto che la contribuente avesse dichiarato acquisti e importazioni senza il pagamento dell’imposta per un totale di Euro 101.218,00, pur non avendo precostituito il necessario plafond nella percentuale del 10 per cento del volume di affari stabilita dal D.L. n. 746 del 1983, art. 1, non potendo a tal fine reputarsi sufficiente la sola fattura n. (OMISSIS), di Euro 97.529,00, emessa dalla società CO.MI.N. s.r.l. nei confronti della Cantieri del Mediterraneo s.p.a. e recante il titolo di “non imponibilità ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 – bis, comma 2”.

La ricorrente ha contrastato tali rilievi deducendo che le prestazioni indicate nella predetta fattura, per un verso, rientrano tra le operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione di cui al citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 – bis, e, pertanto, abilitano all’acquisto di beni in regime di sospensione dell’IVA, e, per altro verso, non sono soggette al limite quantitativo del plafond fissato dal D.L. n. 746 del 1983, art. 1, dovendo questo ritenersi operante per le sole cessioni all’esportazione.

La quaestio iuris posta dalla società ricorrente riguarda, quindi, l’applicabilità alle operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8 – bis, del limite quantitativo, fissato dal D.L. n. 746 del 1983, art. 1, (a mente del quale “Le disposizioni di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, lett. c), e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 2, e successive modificazioni, si applicano a condizione: a) che l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione di cui alle lettere a) e b) dello stesso articolo effettuate, registrate nell’anno precedente, sia superiore al 10% del volume d’affari determinato a norma del citato D.L. n. 746 del 1983, art. 20, ma senza tenere conto delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale e delle operazioni di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 6 – bis”), costituente il presupposto per il conseguimento della condizione di “esportatore abituale o agevolato”.

Con tale espressione si indica il soggetto che, compiendo frequentemente operazioni non imponibili – identificate dal legislatore nelle cessioni all’esportazione e nelle operazioni ad esse assimilate, D.P.R. n. 633 del 1972, ex artt. 8 e 8 – bis, nonchè nelle cessioni intracomunitarie di beni ai sensi del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41, – è abilitato a diffalcare il credito IVA maturato in ragione di esse dall’acquisto o dall’importazione di beni o di prestazioni di servizi sulle quali diversamente il fornitore dovrebbe applicare l’IVA effettuando la rivalsa nei suoi confronti.

All'”esportatore abituale” è, quindi, consentito di utilizzare direttamente il credito IVA maturato nei confronti dell’Erario compensandolo in occasione di ciascuna operazione passiva imponibile. Infatti, il suo fornitore pone in essere la rivalsa prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, non attraverso una controprestazione monetaria, ma ottenendo lo scomputo di un credito del soggetto passivo, ovvero dell’acquirente, dall’Erario.

Tale meccanismo è regolato dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), il quale considera, appunto, non imponibili – sebbene si tratti di merci o prestazioni di servizi destinate ad entrare o ad essere eseguite nel territorio comunitario – le cessioni di beni (eccetto i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto o di importazione.

In questo caso, a norma del citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 2, le cessioni e le prestazioni sono effettuate senza pagamento dell’imposta “(…) nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell’anno solare precedente” e i cessionari e i commissionari possono avvalersi di tale plafond “(…) integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei sei mesi successivi alla loro consegna e, nei limiti della differenza tra esso e l’ammontare delle cessioni dei beni effettuate nei loro confronti nello stesso anno ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), relativamente agli acquisti di altri beni o di servizi”, potendo altresì optare “per la facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, dei corrispettivi delle esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti”.

Alla stregua di tali indicazioni normative, al contribuente che rivesta la qualifica di “esportatore abituale” è, dunque, consentito di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente – c.d. “plafond fisso” – o nei dodici mesi precedenti – c.d. “plafond mobile” -, per un ammontare superiore al 10 per cento del complessivo volume d’affari, soglia, questa, che, come chiarito da questa Corte, deve considerarsi obbligatoria (Cass. Sez. 5, 15/2/2013, n. 3788; Cass. Sez. 5, 16/3/2016, n. 5168).

3.1. La ratio di tali disposizioni si coglie osservando che le cessioni all’esportazione, così come le operazioni ad esse assimilate e le cessioni intracomunitarie, non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti (Cass. Sez. 5, 19/6/2015, n. 12763), con la conseguenza che i soggetti che compiano in via esclusiva o prevalente operazioni di questo tipo finirebbero per trovarsi costantemente in credito con l’Erario, giacchè l’esiguità delle operazioni imponibili compiute (a debito) non sarebbe sufficiente a compensare quelle sugli acquisti (a credito) (così Cass. Sez. 5, 8/3/2013, n. 5853; Cass. Sez. 5, 15 giugno 2018, n. 15835).

Proprio al fine di evitare che alcuni operatori siano in permanente credito a titolo di rimborso dell’eccedenza d’imposta, il legislatore consente loro di effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti.

In definitiva, il plafond disciplinato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), rappresenta il limite quantitativo monetario utilizzabile nell’anno successivo per procedere ad acquisti in sospensione d’imposta (Cass. Sez. 5, 6/3/2015, n. 4556).

3.2. Come stabilito dal citato D.L. n. 746 del 1983, art. 1, affinchè il beneficio del plafond possa ritenersi operante è, altresì, necessario che il contribuente nell’anno precedente abbia posto in essere operazioni non imponibili in misura superiore al 10 per cento del volume degli affari determinato a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 20.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, tale prescrizione, ancorchè risulti formulata con specifico riferimento al citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 (“le disposizioni di cui all’art.8, comma 1, lett. c), e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 2, e successive modificazioni, si applicano a condizione che (…) l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione di cui al citato art. 8, comma 1, lett. a) e b), effettuate, registrate nell’anno precedente, sia superiore al 10% del volume d’affari determinato a norma del citato D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 20”), non è affatto limitata alle sole cessioni all’esportazione, ma ha carattere generale e riguarda tutte le operazioni non imponibili previste dalla legge, ivi comprese quelle assimilate alle cessioni all’esportazione di cui al citato D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8 – bis, che vengono in rilievo nel caso di specie.

Tale conclusione trae conferma, oltre che da inequivoci dati normativi, dalla considerazione sistematica della disciplina del beneficio della sospensione dell’IVA.

Occorre, innanzitutto, rilevare che, se è vero che il D.L. n. 746 del 1983, art. 1, nell’introdurre il limite quantitativo del 10 per cento del volume di affari, ha espressamente modificato il solo D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, relativo alle esportazioni extracomunitarie, in parte qua (art. 8, comma 1, lett. c), e art. 8, comma 2, disciplina gli acquisti effettuati dall’esportatore in assenza di IVA, è altrettanto vero che, tanto l’art. 8 – bis (relativo alle operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione), quanto l’art. 9, comma 2,(relativo ai servizi internazionali connessi agli scambi internazionali), contengono – con analoga formulazione – un rinvio all’art. 8, comma 2.

In particolare il citato art. 8 – bis, comma 2, che viene in rilievo nel caso di specie, dispone che “Le disposizioni dell’art. 8, commi 2 e 3, si applicano, con riferimento all’ammontare complessivo dei corrispettivi delle operazioni indicate nel precedente comma, anche per gli acquisti di beni, diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e di servizi fatti dai soggetti che effettuano le operazioni stesse nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa” e con tale rimando estende alle operazioni assimilate alle esportazioni il regime della compensazione dell’imposta in sede di acquisti sopra descritto.

Ritiene il Collegio che, essendosi al cospetto di un rinvio mobile, il contenuto precettivo dell’art. 8 – bis, non vada identificato nella specifica disposizione oggetto di rinvio, ovvero in quella originariamente inserita nell’art. 8, comma 2, al momento dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 633 del 1972, ma debba essere determinato attraverso le diverse norme che tale fonte ha prodotto nel corso del tempo, ivi compresa la prescrizione risultante dalle modifiche apportate dal più volte citato D.L. n. 746 del 1983.

In difetto di significativi indici testuali, la qualificazione del rinvio contenuto nell’art. 8 – bis, deve essere ancorata al parametro ermeneutico del raffronto tra la ratio della disposizione rinviante e di quella alla quale è fatto rinvio.

Ritiene il Collegio che tale relatio – rinvenibile con identica enunciazione anche nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, relativo ai servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali – sia diretta essenzialmente ad uniformare il regime giuridico degli acquisti compiuti dai soggetti che effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi non imponibili a fini IVA al paradigma normativo delineato per le esportazioni nel citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, commi 2 e 3.

Se ne trae ulteriore conferma dall’analoga struttura del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41, comma 4, relativo alle cessioni intracomunitarie non imponibili, a mente quale “Agli effetti del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 2, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 8 – bis, e 9, le cessioni di cui ai precedenti commi 1 e 2, sono computabili ai fini della determinazione della percentuale e dei limiti ivi considerati”.

La ratio del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 2, oggetto di rinvio, va, invece, identificata con l’esigenza di fissare un limite monetario al meccanismo semplificativo della compensazione tra il credito verso l’Erario a titolo di rimborso IVA, nascente dal compimento dell’operazione non imponibile, con il credito del fornitore a titolo di rivalsa.

La condivisione, da parte della disposizione rinviante e di quella oggetto di rinvio, della medesima ratio giustificatrice e la correlata esigenza di istituire e conservare un regime giuridico uniforme per le rispettive fattispecie inducono a ritenere che il rinvio mobile rappresenti lo strumento più adeguato a garantire un costante raccordo tra di esse.

3.3. Coerente con tale opzione ermeneutica risulta altresì l’unificazione dei plafond operata dalla L. 18 febbraio 1997, n. 28, art. 2, comma 2.

Invero, in forza di tale disposizione tutte le operazioni non imponibili previste dalla legge – e, quindi, non solo le esportazioni concorrono a formare il plafond nei limiti del quale è possibile effettuare acquisti e importazioni con esonero dell’imposta (Cass. Sez. 5, 2/7/2014, n. 15059).

3.4. A supporto dell’interpretazione che assoggetta le operazioni D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8 – bis, al limite monetario del 10 per cento del volume di affari milita, infine, l’argomento sistematico, essendo le operazioni elencate nella predetta disposizione assimilate dal legislatore alle cessioni all’esportazione in ragione della comune sottrazione ope legis all’imposizione fiscale.

Sarebbe, pertanto, contraria a ragionevolezza un’interpretazione della disciplina degli acquisti in regime di sospensione dell’IVA che conducesse all’espunzione delle operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione dal regime di operatività del beneficio del plafond delineato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 2, come riformato dal D.L. n. 746 del 1983, art. 1, posto che il limite quantitativo ivi stabilito attesta la frequenza minima delle operazioni non imponibili idonee a far maturare il credito del contribuente nei confronti dell’Erario che fa sorgere l’esigenza di riequilibrio soddisfatta attraverso il meccanismo di compensazione.

Di conseguenza, le differenze ontologiche che valgono a caratterizzare le operazioni di cui all’art. 8 – bis, rispetto a quelle ex art. 8, valorizzate dalla società CO.MI.N. s.r.l. al fine di escludere le prime dall’ambito applicativo del limite, anche mediante il richiamo di un precedente di questa Corte (Cass. Sez. 5, n. 20575 del 07/10/2011), ancorchè rilevino ad altri fini (come, appunto, quello, posto in risalto dalla predetta pronuncia, della diversa ampiezza dell’onere della prova – gravante sul contribuente che intenda avvalersi dell’esonero dal pagamento dell’IVA – nelle esportazioni extracomunitarie D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, comma 1, lett. a), e nelle cessioni D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8 – bis, comma 1, lett. d), non incidono sul comune denominatore della non imponibilità ex lege, sul quale si impernia il beneficio, con funzione di riequilibrio, della compensazione di imposta riconosciuto all'”esportatore abituale”.

4. Il ricorso deve, per quanto esposto, deve essere respinto e la società ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità. Con riferimento al Ministero dell’economia e delle finanze, rimasto intimato, nulla va statuito in merito alle spese.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al t.u. spese giust. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

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