Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27388 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 25/10/2019), n.27388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26926-2016 proposto da:

RISORSE PER ROMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CASTELLO DELLA

MAGLIANA 38, presso lo studio dell’avvocato DARIO SCIME’, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO CARPIO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3452/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2016, R. G. N. 5674/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DARIO SCIME’;

udito l’Avvocato ERNESTO CARPIO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 2013, l’arch. A. M.T. deduceva dinanzi al Tribunale di Roma di aver lavorato per la s.p.a. Risorse Per Roma dal 15.6.05 al 31.5.08 in base a sette contratti di consulenza privi di specifici progetti, chiedendo quindi dichiararsi la natura subordinata del detto rapporto di lavoro, con inquadramento nel II livello di cui al c.c.n.l. di settore, con condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive.

Il Tribunale respingeva la domanda, rigettando l’eccezione di decadenza dall’impugnativa per riguardare contratti cessati nel 2008 ma ritenendo operante la deroga della disciplina del contratto a progetto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, trattandosi di rapporto di lavoro con professionista ed escludendo comunque la natura subordinata del rapporto.

Avverso tale sentenza proponeva appello la A.; resisteva la società.

Con sentenza depositata l’8.9.16, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia gravata, dichiarava l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 15.6.05, tuttora in essere, condannando la società a corrispondere alla A. le relative differenze retributive (Euro 4.525,13), oltre accessori di legge, condannando altresì la società Risorse per Roma al pagamento delle retribuzioni maturate dal 4.8.08 alla data della sentenza, oltre accessori, detratto quanto nelle more percepito.

Riteneva la Corte di merito ammissibile e fondata la censura di inapplicabilità della deroga di cui al comma 3 dell’art. 61 citato (sollevata dalla A.), non risultando almeno i primi quattro contratti stipulati con la A. in qualità di professionista (architetto); che tali contratti difettavano di uno specifico progetto, con conseguente conversione del rapporto, ed escludendo l’applicazione del regime indennitario di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Risorse per Roma, affidato a tre motivi. Resiste la A. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, nonchè dagli artt. 345,416 e 437 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che la deroga al regime del lavoro a progetto prevista in favore di coloro che svolgano una professione intellettuale costituisca eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile d’ufficio.

Il motivo è infondato.

Ed invero non v’è dubbio che l’invocata deroga al regime previsto in generale per il lavoro autonomo dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, di cui al comma 3 del medesimo art. 61, introduca nel giudizio un nuovo thema decidendum ed un nuovo tema di indagine, riconducibile ad una eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio ma su istanza di parte.

Deve infatti rimarcarsi che il concetto di eccezione in senso stretto consiste nella contrapposizione, da parte del convenuto, di fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda (nella specie la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per inesistenza del progetto) fatti che, senza escludere il rapporto affermato dall’attore (oggetto di eccezione in senso lato che, incidendo sullo stesso diritto azionato, ad es. il pagamento del credito vantato, può essere rilevato d’ufficio dal giudice), attribuiscono al convenuto, e solo a lui, un potere ad impugnandum ius (attraverso la deduzione di fatti estintivi, modificativi od impeditivi), che introducono nel processo un nuovo tema di indagine (svolgimento di attività di professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in apposito albo ex art. 2229 c.c.) che non può essere rilevato d’ufficio dal giudice.

Non risulta dunque erronea la sentenza impugnata laddove, partendo da tale corretto presupposto, ha ritenuto che tale eccezione non potesse essere rilevata d’ufficio dal Tribunale, nè poteva essere proposta dalla convenuta per la prima volta nel successivo corso del giudizio e tanto meno in sede di gravame.

2.- Col secondo motivo la società denuncia la violazione del R.D. n. 1395 del 1923 e del R.D. n. 2537 del 1925, del D.P.R. n. 328 del 2001, della L. n. 1150 del 1942, art. 7, oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto che la collaboratrice non avesse svolto attività tipica della qualifica professionale di architetto.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni svolte sub 1), senza considerare che la censura è diretta ad una diversa interpretazione dei contratti di lavoro tra le parti, rispetto a quella congruamente e logicamente fornita dal giudice di merito.

La decisione impugnata, infatti, ha considerato ed accertato che in ogni caso i primi quattro contratti di lavoro autonomo stipulati tra le parti difettavano di qualsiasi riferimento non solo alla qualifica di professionista della A., ma anche di un effettivo riferimento ad attività esercitabili solo da professionista iscritto ad albo professionale (nella specie quale architetto).

Nè può condividersi la tesi per cui la deroga (di cui al comma 3) al regime delle collaborazioni autonome di cui al predetto art. 61, comma 1, sussista solo in ragione del titolo o di un presunto status di professionista (nella specie architetto, o qualunque altra professione intellettuale), essendo la deroga evidentemente prevista per le attività di lavoro autonomo che (obiettivamente) possano essere svolte (solo) da un professionista. Si tratta evidentemente di un dato oggettivo e non soltanto connesso ad uno status, come emerge dal tenore dell’art. 61, comma 3, e dalla circostanza che ben potrebbe un soggetto, pur iscritto ad un albo professionale, stipulare un contratto di collaborazione autonoma (a progetto) assolutamente avulsa dalla sua competenza o titolo professionale.

3.- Col terzo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 61 e seguenti del D.Lgs. n. 276 del 2003, e degli artt. 1362 c.c. e segg. per non aver ritenuto specifici, temporalmente delimitati e sufficientemente finalizzati ad un risultato finale, i progetti indicati nei contratti de quibus.

Il motivo è inammissibile.

Ed invero la Corte di merito ha escluso, con congrua motivazione, che i contratti in questione contenessero un progetto specifico come previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, sicchè la censura finisce per contrapporre (semplicemente ed) inammissibilmente una diversa interpretazione dei contratti di lavoro rispetto a quella fornita dal giudice di merito, che ha ampiamente e logicamente accertato che i contratti de quibus non definivano e contenevano in alcun modo uno specifico progetto, idoneo a definire e delimitare l’obiettivo affidato alla A., differenziandolo dall’ordinaria attività imprenditoriale della società (come ad esempio: “supporto tecnico alle attività U.O. n. 2 del Dipartimento VI del Comune di Roma”; “svolgimento delle tematiche -relativi al nuovo P.R.G. di Roma- inerenti la Carta per la Qualità Rete ecologica; P.R.G. dei Bambini; Centralità urbane e metropolitane”), occupandosi in sostanza la A. “di predisporre osservazioni, controdeduzioni, analisi preliminari, elaborazioni grafiche, cartografiche e progettuali relative alla pianificazione ed attuazione di strumenti urbanistici generali ed esecutivi relativamente ai diversi progetti che, di volta in volta, costituivano oggetto delle commesse affidate a Risorse e gestite dall’Area Progettazione Urbanistica”.

Il motivo si risolve dunque nella inammissibile richiesta di rivisitazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità in base al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il ricorso deve essere pertanto ed in definitiva rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

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