Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27387 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 25/10/2019), n.27387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Gugliemo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20423-2015 proposto da:

G.O.M., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato NICOLA PILUSO;

– ricorrente –

contro

M.M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 51/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/02/2015 R.G.N. 1324/2011.

Fatto

PREMESSO

che con sentenza n. 51/2015, pubblicata il 24/2/2015, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza, con la quale il Tribunale di Cosenza, accogliendo la domanda di M.M.A., aveva condannato G.O.M., quale unica erede di C.A., al pagamento delle differenze retributive conseguenti allo svolgimento di mansioni di segretaria, presso lo studio professionale del defunto, nel periodo dall’1 febbraio 1974 al 31 dicembre 2002;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la G. con cinque motivi;

– che la lavoratrice è rimasta intimata.

Diritto

RILEVATO

che con i primi tre motivi, denunciando ex art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte omesso di esaminare rispettivamente il primo, il secondo e il terzo motivo di appello, concernenti le eccezioni: di improcedibilità del giudizio in relazione alla modalità di espletamento del tentativo di conciliazione (1); di nullità del ricorso introduttivo per indeterminatezza (2); di inammissibilità dell’unico capitolo di prova dedotto dalla lavoratrice;

– che con il quarto motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, avendo la Corte di appello ritenuto dimostrato l’assunto della lavoratrice e peraltro in contrasto con le risultanze istruttorie acquisite al giudizio;

– che con il quinto la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., contestando l’orientamento posto dalla Corte a sostegno del rigetto dell’eccezione di prescrizione (quinquennale) dei crediti retributivi e cioè la decorrenza del termine prescrizionale, in assenza – come nella specie – di stabilità del rapporto di lavoro, dalla data di cessazione dello stesso;

osservato:

che il primo, il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per identità di questioni, risultano inammissibili;

– che, infatti, come più volte precisato, è inammissibile il ricorso per cassazione che non consenta l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione della sentenza di merito, nè permetta la valutazione della fondatezza di tali ragioni ex actis, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 10330/2003 e successive numerose conformi);

– che non si sottrae all’osservanza di tale principio la deduzione (comune ai motivi ora in esame) del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, alla luce di Sez. U n. 8077/2012, la quale ha affermato che “quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)”;

– che, nella specie, non risulta riprodotto in ricorso, nelle parti rilevanti, alcuno degli atti processuali, sui quali le censure si fondano, nè risulta trascritto, per ciò che attiene al terzo motivo, il capitolo di prova testimoniale, cui il primo giudice, secondo la ricorrente, aveva erroneamente ritenuto di dare ingresso;

– che egualmente inammissibile è da considerarsi il quarto motivo di ricorso, in quanto non conforme al modello del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalle modifiche introdotte nel 2012 e dalle precisazioni fornite da questa Corte, circa il perimetro applicativo e gli oneri di deduzione, con le sentenze a Sezioni Unite n. 8053 e n. 8054/2014;

– che, in particolare, è stato osservato, con le citate sentenze, che l’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sua nuova formulazione, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;

– che, in realtà, dietro lo schermo del vizio motivazionale, la ricorrente propone una rilettura e un nuovo e diverso apprezzamento del materiale probatorio, e cioè l’esercizio di un’attività giurisdizionale che è estranea alle funzioni e al ruolo assegnato alla Corte di legittimità e che è invece proprio del giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le molte conformi);

– che il quinto motivo è infondato, censurandosi con lo stesso l’applicazione, da parte della Corte territoriale, di un consolidato e risalente principio di diritto (decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi dalla cessazione del rapporto, salvo prova, gravante sul datore di lavoro, dell’esistenza del regime di c.d. stabilità “reale”): principio oggetto di ripetute e anche recenti conferme (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 19729/2018; n. 22172/2017; n. 7640/2012; n. 17629/2010) e a cui si reputa di dover dare continuità;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che non vi è luogo a pronuncia sulle spese di lite, essendo la M. rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

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