Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27384 del 08/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2021, (ud. 04/05/2021, dep. 08/10/2021), n.27384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2916-2020 proposto da:

DADA DI C.S. & C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

E. GIANTURCO 5, presso lo studio dell’avvocato PAOLA LUIGINA

PECCARISI, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO GIANCARLO

SANASI;

– ricorrente –

contro

F.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 567/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA

PICCONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza n. 567 del 2019, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza n. 3590 del 2016 pronunziata dal locale Tribunale, ha condannato la Dada s.a.s. di S.C. & C. al pagamento, in favore di F.L., delle retribuzioni a lei spettanti per alcuni mesi dell’anno 2009, oltre alla 14 ed al TFR;

in particolare, la Corte ha ritenuto di non condividere l’iter motivazionale del giudice di primo grado nella parte in cui non aveva riconosciuto il diritto a percepire le retribuzioni spettanti per i mesi in ordine ai duali non era stata fornita, in assenza di quietanza, la prova dell’avvenuto pagamento, avendo parte ricorrente dedotto l’inesatto adempimento e non avendo, invece, il datore di lavoro offerto la prova contraria;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Dada s.a.s., affidandolo a due motivi;

la parte avversa è rimasta intimata;

e’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione delle norme in materia di valutazione della prova e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento al compendio probatorio circa le pretese spettanze retributive;

con il secondo motivo si allega ancora la violazione delle norme in materia di valutazione della prova e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sllb specie di lesione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riguardo alla quantificazione delle somme dovute la violazione;

entrambi i motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili;

essi sono, infatti, innanzitutto formulati in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008);

giova evidenziare, al riguardo, in ordine alla omessa motivazione su un fatto decisivo, consistente nell’esame delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di secondo grado, da cui emergerebbe un diverso assetto delle spettanze retributive della curatrice, che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto) dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

d’altro canto, come statuito da SU n. 8053 del 2014, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso) esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

quanto al vulnus dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, le doglianze prospettate mirano, in realtà, ad ottenere una rivalutazione in fatto della vicenda pur veicolando le censure attraverso la violazione di legge (si veda, sul punto, SU 34776 del 2019);

il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile;

nulla per le spese essendo la parte rimasta intimata; sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

 

 

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