Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27383 del 25/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 25/10/2019), n.27383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10162-2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIDOLFINO

VENUTI 30, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CRETELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO CRETELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1115/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/10/2015 R.G.N. 89/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIO CRETELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M., premesso di essere dipendente del M.I.U.R. e di aver optato per il passaggio dal regime del TFS a quello del TFR, aderendo al Fondo Espero per la pensione complementare, ma che il Ministero continuava ad operare la trattenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione mensile, già prevista per il TFS dal D.P.R. n. 1032 del 1973, ma non più valida per il TFR, chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore l’accertamento dell’illegittimità di tale trattenuta, nonchè la condanna del M.I.U.R. alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto sullo stipendio.

Accolto il ricorso, il M.I.U.R. impugnò la sentenza che lo condannava al pagamento di Euro 2960,23. La Corte d’appello di Salerno (sentenza del 16.10.2015) accolse il gravame e rigettò la domanda del M., argomentando che la trattenuta operata dal Ministero era da considerarsi legittima perchè prevista dalla normativa risultante dalla della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, e dal successivo D.P.C.M. 20 dicembre 1999.

Per la cassazione della sentenza ricorre il M. con tre motivi. Rimane solo intimato il M.I.U.R.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente deduce come primo motivo in via pregiudiziale la questione di legittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost.. Sostiene che tale disposizione, dalla quale è promanato il D.P.C.M. 20 dicembre 1999 – che stabilisce al comma 3 che per assicurare l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma 2, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali – confliggerebbe con i richiamati precetti costituzionali.

2. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c. e lamenta che la sentenza gravata abbia omesso di valutare l’eccezione sollevata nella memoria difensiva in appello che rilevava come con la difesa innanzi al giudice di prime cure il MIUR si fosse limitato ad eccepire l’estinzione del giudizio ai sensi del D.L. n. 185 del 2012 e della L. n. 228 del 2012 senza contrastare la domanda sulla base della normativa poi applicata nella sentenza gravata.

3. Come terzo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost. e dell’art. 2120 c.c., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto legittima l’applicazione di una norma contenuta in un provvedimento di natura regolamentare, che riproduce il contenuto della legge oggetto della pronuncia di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 223 del 2012.

4. Il ricorso non è fondato.

Con riguardo al secondo motivo, da esaminarsi per primo in quanto logicamente preliminare, basta qui ribadire che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 13945 del 3.8.2012, n. 5153 del 21.2.2019). Correttamente, quindi, la Corte d’appello ha sottoposto al proprio vaglio la correttezza della soluzione adottata dal Tribunale, a ciò investita dall’appello del MIUR che la contestava, senza che tale facoltà fosse preclusa al Ministero dalle difese in diritto assunte in primo grado.

5. La problematica posta con gli altri due motivi è stata esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 213 del 22/11/2018, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 26, comma 19, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni dal trattamento di fine servizio al trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto. La Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza, nè determina la violazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di una sua singola componente.

Segue coerente il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 1400,00, di cui Euro 1200,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2019

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