Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27382 del 29/12/2016
Cassazione civile, sez. lav., 29/12/2016, (ud. 28/09/2016, dep.29/12/2016), n. 27382
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8639-2011 proposto da:
F.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato
GIOVANNI ANGELOZZI, che la rappresenta e difende, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in
persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
Avvocati CLEMENTINA PULLI, ANTONELLA PATTERI, MAURO RICCI, giusta
delega in atti:
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS), REGIONE
LAZIO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 223/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 31/03/2010 R.G.N. 4417/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito l’Avvocato ANGELOZZI GIOVANNI;
udito l’Avvocato RICCI MAURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELENTANO CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Velletri in data 16.12.2004 F.L. chiedeva il riconoscimento del proprio diritto a percepire l’assegno di invalidità ex L. n. 118 del 1971.
Il Tribunale rigettava la domanda aderendo alle valutazioni del ctu nominato, che confermava la percentuale di invalidità del 62% già accertata in sede amministrativa dalla Commissione sanitaria.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13.1- 31.3.2010 (nr. 223/2010), rigettava l’appello della F..
La Corte territoriale osservava che l’appellante si era limitata a dedurre che le patologie riscontrate determinavano una invalidità superiore al 74% sulla base dei valori percentuali di cui alle tabelle allegate al D.M. 5 febbraio 1992.
Ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni di invalidità civile invece non doveva procedersi alla sommatoria delle percentuali di invalidità risultanti dalla tabella per ciascuna infermità; la tabella costituiva un parametro di base e la valutazione complessiva doveva essere effettuata considerando il danno globale.
Detto sistema di valutazione non era stato modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, nr. 4, norma che si limitava a prevedere che nella verifica della permanenza dei requisiti sanitari per il godimento delle prestazioni già riconosciute si dovesse tener conto delle tabelle esistenti al tempo della verifica (piuttosto che di quelle vigenti al momento della concessione del beneficio).
Per la Cassazione della sentenza ricorre F.L., articolando due motivi.
Resiste con controricorso l’INPS.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Lazio sono rimasti intimati.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. e 3 n. 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c., 15 disp. att. c.p.c., L. n. 118 del 1971, art. 13, D.Lgs. n. 509 del 1988, artt. 1, 2 e 3 e D.M. 5 febbraio 1992.
Ha esposto di avere dedotto tanto nelle osservazioni critiche all’elaborato del ctu depositate nel primo grado che nell’atto di appello di essere invalida al 74%, computando la invalidità complessiva con la cd. “formula a scalare” ai sensi della tabella allegata al D.M. 5 febbraio 1992. Il rigetto dell’appello era dunque motivato con argomenti non pertinenti alla questione controversa.
Il D.M. 5.2.1992 dettava precise modalità applicative e di calcolo per il caso di patologie, in concorso o coesistenti, sicchè andava esclusa ogni possibilità di valutazione ad personam.
Il ctu del primo grado aveva espresso un parere meramente soggettivo circa il grado di invalidità accertato sicchè la consulenza avrebbe dovuto essere rinnovata nel grado d’appello. La ricorrente ha richiamato i principi già elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la tabella approvata con D.M. 5.2.1992, integrativa del decreto stesso ed emanata in attuazione del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 2, è vincolante ed ogni valutazione che prescinde da essa dà luogo ad un vizio di legittimità denunziabile in Cassazione. In particolare, nel caso di patologie plurime resta esclusa la possibilità di una valutazione generica della loro incidenza complessiva sulla capacità lavorativa.
Ha lamentato che la sentenza impugnata aveva recepito le conclusioni della consulenza tecnica ancorchè viziate nel merito e nel metodo.
Ha esposto, inoltre, che il consulente nominato dal Tribunale, oculista, era privo della specifica competenza richiesta per le patologie da cui ella era affetta ed ha dedotto di avere esposto nel ricorso in appello che il ctu, pur avendo accertato nell’esame obiettivo valori pressori patologici, aveva omesso di diagnosticare la ipertensione arteriosa e di approfondire attraverso esami strumentali la sua origine e la eventuale cardiopatia.
Inoltre il ctu non aveva indicato i gradi invalidanti relativi alle patologie accertate.
2) Con il secondo motivo la ricorrente ha denunziato omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Ha dedotto di avere esposto nell’atto di appello che la percentuale invalidante del 74% si otteneva sulla base dei valori tabellari ascritti a ciascuna delle patologie riconosciute dal ctu e seguendo il calcolo riduzionistico previsto in tabella; inoltre in caso di diagnosi della ipertensione arteriosa la incapacità lavorativa avrebbe ampiamente superato la soglia per la fruizione della prestazione.
Le censure mosse, che possono essere trattate congiuntamente in quanto si prestano a valutazioni analoghe, sono inammissibili, giacchè non assolvono al requisito di specificità dei motivi di ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.
Il vizio denunziato presuppone infatti l’esame:
– da un lato, dei contenuti della consulenza tecnica svolta nel primo grado e recepita nella sentenza impugnata, in relazione alla quale sussisterebbero le violazioni delle norme di diritto denunziate con il primo motivo, per mancata applicazione dei criteri tabellari di determinazione della invalidità civile;
– dall’altro, dei contenuti del ricorso in appello, al fine di consentire a questa Corte di valutare l’eventuale vizio della motivazione, sotto il profilo del mancato esame di elementi di fatto sottoposti al giudice dell’appello (esistenza di patologie non adeguatamente valutate nella consulenza tecnica).
Parte ricorrente non provvede alla trascrizione dei contenuti essenziali della consulenza tecnica, rilevanti alla individuazione del vizio denunziato nè dei motivi d’appello svolti quanto al metodo diagnostico seguito dal ctu e recepito dal Tribunale; neppure provvede, alternativamente, alla loro localizzazione nell’ambito dell’elaborato peritale o del ricorso in appello sicchè le censure restano del tutto generiche.
Sussiste altresì una ragione di improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, per non avere la parte ricorrente provveduto al deposito presso questa Corte, unitamente al ricorso, degli atti processuali (consulenza tecnica e ricorso in appello) su cui lo stesso ricorso è fondato.
Le spese sostenute dall’INPS controricorrente restano irripetibili, essendo stata resa la dichiarazione di responsabilità ex art. 152 disp. att. c.p.c.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016