Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27380 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 29/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep.29/12/2016),  n. 27380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30153-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.E. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., C.E. (OMISSIS), domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO COMO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 729/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 22/07/2011 R.G.N. 464/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Matera Marcello che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16/6 – 22/7/2011 la Corte d’appello di Messina ha accolto l’impugnazione proposta da B.S. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, che le aveva respinto la domanda volta al conseguimento della pensione d’invalidità civile e, per l’effetto, ha riformato la gravata decisione ed ha riconosciuto all’appellante il diritto alla suddetta prestazione a decorrere dall’1/8/2002, condannando l’Inps al pagamento dei relativi ratei, maggiorati degli accessori di legge.

La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione dopo aver accertato che nella fattispecie ricorreva sia il requisito sanitario che quello reddituale per il riconoscimento in favore dell’appellante della prestazione richiesta.

Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con due motivi.

Resiste con controricorso B.S..

Rimane solo intimato il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’Inps deduce la violazione della L. n. 118 del 1971, artt. 11 e 12, nonchè dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 414, 416 e 421 c.p.c., tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In concreto l’Inps, dopo aver premesso che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di conseguimento della pensione di invalidità per carenza del requisito sanitario, sostiene la tardività della produzione documentale ammessa dalla Corte d’appello, ai fini della dimostrazione del possesso del requisito reddituale necessario per l’accesso alla provvidenza richiesta, facendo rilevare che il predetto incombente processuale era stato eseguito dalla parte interessata solo in secondo grado.

Quindi, secondo l’istituto previdenziale, la questione è se il requisito socio-economico previsto per il riconoscimento della pensione di invalidità ex L. n. 118 del 1971, art. 12 debba essere allegato e provato, in quanto elemento costitutivo del diritto, col ricorso introduttivo del giudizio o possa essere acquisito successivamente in corso di causa, così come autorizzato dai giudici d’appello.

2. Il motivo è infondato.

Occorre, anzitutto, rilevare che dalla sentenza impugnata non emerge affatto che in primo grado la ricorrente omise le dovute allegazioni concernenti il possesso del requisito reddituale necessario per il conseguimento della pensione di invalidità e che, anzi, lo stesso Inps riconosce di essere rimasto contumace in prime cure. Orbene, considerato che la controricorrente ha obiettato di aver depositato i documenti reddituali sin dal primo grado, tanto da citare al riguardo un passaggio della sentenza di primo grado che le decretò il rigetto della domanda solo per difetto del requisito sanitario, lo stesso ente previdenziale avrebbe dovuto produrre, in ossequio al principio dell’autosufficienza che contraddistingue il giudizio di legittimità, una copia dell’elencazione dei documenti indicati dall’assistita in primo grado al fine di dimostrare l’asserita intempestività della suddetta produzione o, quantomeno, per consentire di accertare se tra gli stessi vi fosse o meno la documentazione reddituale che qui rileva ed alla quale allude l’odierna controricorrente.

Infatti, nella sentenza impugnata, dopo aver dato atto degli esiti della consulenza medico-legale espletata in secondo grado, la Corte di merito ha affermato che appare certo il possesso del requisito economico, atteso che l’appellante ha fornito la prova completa del mancato superamento dei limiti reddituali per il conseguimento della prestazione in relazione al periodo di tempo per il quale è stata riconosciuta la sussistenza del requisito sanitario, avendo prodotto in corso di giudizio certificazione dell’Agenzia delle Entrate e dichiarazione dei redditi.

3. Tra l’altro, non si ravvisa nella fattispecie la denunciata violazione di legge in quanto, al riguardo, devono richiamarsi i seguenti principi, ormai indiscussi:

a) il rito del lavoro, e in particolare la materia della previdenza e assistenza, è caratterizzato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale (da ultimo, Cass., 1 agosto 2013, n. 18410; Cass. 26 luglio 2012, n. 13353; Cass., 4 maggio 2012, n. 6753);

b) a tal fine, gli artt. 421 e 437 c.p.c. attribuiscono al giudice il potere – dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo e quindi oggetto del dibattito processuale (v. ad es. Cass. Sez. 6 L., ord. n. 1704 del 29.1.2015);

c) l’inciso “in qualsiasi momento”, contenuto nell’art. 421 c.p.c., comma 2, depone nel senso che il potere inquisitorio può essere esercitato prescindendo dalle preclusioni e dalle decadenze già verificatesi, ed il richiamo all’art. 420, comma 6, – nel delimitare l’esercizio di tale potere alla fase di discussione, in cui appunto opera il comma 6 -, sta a significare che esso deve effettuarsi nel contraddittorio delle parti, conferendo a quella contro cui viene esercitato il diritto di difesa; ulteriore conseguenza è che se la controparte è incorsa in preclusioni o decadenze può a sua volta prescinderne al fine di reagire all’esercizio del potere ufficioso;

d) i poteri istruttori del giudice non sono segnati dai limiti previsti nel codice civile: tuttavia, essi incontrano un duplice limite, poichè, da una parte, devono essere esercitati nel rispetto del principio della domanda e dell’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall’altra, devono rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice;

e) l’art. 421 (e il art. 437 per il giudizio di appello) dispensa la parte dall’onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell’oggetto della prova, ma richiede pur sempre che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dagli atti di causa, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (Cass., 5 febbraio 2007, n. 2379; Cass., 5 novembre 2012, n. 18924; Cass. Sez. Un. 17 giugno 2004, n. 11353; Cass. 6 luglio 2000, n. 9034): solo così, infatti, il giudice non si sostituisce alla parte, ma si limita a riempire le lacune probatorie di un accertamento che, pur se incompleto, presenta tuttavia notevoli gradi di fondatezza.

4. Ebbene, la Corte del merito si è attenuta a questi principi, considerato che la stessa ha fatto riferimento al completamento della prova del mancato superamento dei limiti reddituali fissati per il conseguimento della prestazione in esame, avvalendosi, di conseguenza, dei poteri istruttori nell’ammettere in secondo grado la certificazione dell’agenzia delle entrate e la dichiarazione dei redditi che completavano il quadro probatorio già facente parte del giudizio.

D’altra parte è bene ricordare che le Sezioni unite di questa Corte (S.U. n. 8202 del 20.4.2005) hanno già chiarito che nel rito del lavoro il rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito stesso, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.

5. Col secondo motivo, dedotto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente ritiene assolutamente insufficiente l’apprezzamento operato dai giudici di merito in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto richiesto, ad onta della specifica eccezione, sollevata nella costituzione in appello, della necessità di una prova adeguata, da parte dell’assistita, del requisito reddituale richiesto dalla legge per il conseguimento del beneficio di cui trattasi, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo operato dalla Corte d’appello alla certificazione dell’Agenzia delle Entrate.

6. Il motivo è infondato.

Invero, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente, la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato in merito alla sussistenza del requisito reddituale nel momento in cui ha fatto riferimento al completamento della prova del mancato superamento dei limiti reddituali fissati per il conseguimento della prestazione in esame e all’opportunità di avvalersi dei poteri istruttori nell’ammettere in secondo grado la certificazione dell’agenzia delle entrate e la dichiarazione dei redditi che completavano il quadro probatorio già facente parte del giudizio, per cui la relativa motivazione sfugge ai rilievi di legittimità essendo immune da vizi di ordine logico-giuridico.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. Non va, invece, adottata alcuna statuizione in ordine alle spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che è rimasto solo intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Inps al pagamento in favore di B.S. delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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