Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2738 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 18/09/2020, dep. 05/02/2021), n.2738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18837/2018 proposto da:

Nuova Iniziative Coimpresa S.r.l., in persona legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Giovanni

Nicotera n. 31, presso lo studio dell’avvocato Astone Francesco, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Consolo Claudio,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere delle Navi

n. 30, presso lo studio dell’avvocato Sorrentino Federico, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Camba Alessandra,

giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Nuova Iniziative Coimpresa S.r.l., in persona legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Giovanni

Nicotera n. 31, presso lo studio dell’avvocato Astone Francesco, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Consolo Claudio,

giusta procura a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2245/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale e la

inammissibilità del secondo motivo del ricorso incidentale;

uditi, per i ricorrenti, gli avvocati Astone e Consolo;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’avvocato

Sorrentino F..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Regione Autonoma Sardegna (di seguito R.A.S.), il Comune di Cagliari, l’Assessorato Enti Locali, Finanze e Urbanistica, la società Nuova Iniziative Coimpresa srl (di seguito Coimpresa) e altri soggetti stipularono, in data 15 settembre 2000, un Accordo di programma (di seguito “Accordo”) che pianificava l’assetto di una vasta area della città di (OMISSIS) (i (OMISSIS)) per la realizzazione di un parco archeologico, di un parco urbano sull’area circostante, di opere pubbliche e servizi su altre aree da trasferire alla parte pubblica e di un insediamento residenziale su aree private.

2.- La R.A.S., premesso di partecipare all'”Accordo” al fine di verificare la coerenza sotto il profilo tecnico della proposta di variante urbanistica al PRG all’epoca vigente, assumeva l’impegno di assentire al trasferimento di un’area di sua proprietà al Comune di Cagliari che ne aveva fatto richiesta per ricomprenderla nel parco archeologico urbano e di confermare un finanziamento di Lire 12 miliardi già previsto in favore dello stesso Comune.

Quest’ultimo si impegnava, tra l’altro, a transigere le liti in essere con i privati, a rilasciare le concessioni edilizie inerenti alle aree private, a stipulare una convenzione urbanistica, ecc..

Coimpresa si impegnava a predisporre la progettazione esecutiva delle opere e del parco, a realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e la progettazione necessaria per le concessioni edilizie, ecc..

A distanza di alcuni anni, a seguito della scoperta di numerose tombe puniche, la R.A.S. adottava, con Delib. Giunta 24 maggio 2006, il Piano paesaggistico regionale (di seguito PPR), approvato con Delib. 5 settembre del 2006, entrato in vigore l’8 settembre 2006.

Il suddetto PPR rinnovava e rimodulava il preesistente vincolo paesaggistico sull’area ove avrebbero dovuto essere realizzati i comparti edilizi previsti nel suindicato progetto, qualificava l’area come “caratterizzata da preesistenze con valenze storico-culturali” e la assoggettava alla disciplina di cui agli artt. 48 e 49 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) dello stesso PPR. Di conseguenza, la prosecuzione dei lavori per la realizzazione del progetto di lottizzazione di Coimpresa risultava impedita; tramite il PUC (piano urbanistico comunale), assunto d’intesa con la R.A.S. e con il Ministero per i beni e le attività culturali, si provvedeva all’analitica individuazione cartografica, all’interno dell’area vincolata, di una zona di tutela integrale ove non era consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi e di una fascia di tutela condizionata.

Il PPR veniva impugnato da Coimprese dinanzi al giudice amministrativo che, con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2011, n. 1366, accertava che, a partire dall’8 settembre 2006 (data di entrata in vigore del PPR), la disciplina pianificatoria di salvaguardia paesaggistica impediva a Coimpresa di costruire i complessi residenziali e gli assetti viari previsti nel progetto, a norma del suddetto PPR e dell’art. 49 delle NTA, nelle more dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR (sino a tale adeguamento “nelle aree (era) vietata qualunque edificazione o altra azione che (potesse) comprometter(ne) la tutela”).

3.- Con atto notificato in data 19 aprile 2010, Coimpresa avanzava domanda di arbitrato, deducendo l’inadempimento della R.A.S. agli obblighi assunti con l'”Accordo” del 15 settembre del 2000 che, a suo avviso, la obbligava comunque a consentire la realizzazione del progetto edificatorio e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al blocco dei lavori.

Ad avviso di Coimpresa, la qualificazione dell’area in questione nel PPR come caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale non interferiva con l’esecuzione del progetto, in quanto quest’ultimo ricadeva nel regime transitorio previsto dall’art. 15 delle NTA che consentiva, nei Comuni dotati di PUC, la realizzazione degli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi, purchè approvati e in presenza di convenzione efficace alla data di adozione del PPR. La società ne faceva discendere che la sospensione dei lavori era da addebitare ad un inadempimento contrattuale della R.A.S. che, da un lato, aveva adottato provvedimenti amministrativi illegittimi che avevano ostacolato e poi determinato il blocco dei lavori sull’area di (OMISSIS) e, dall’altro, aveva screditato mediaticamente il progetto di cui all'”Accordo” del 2000.

4.- Con lodo non definitivo del 16 giugno 2011, il collegio arbitrale rigettava l’eccezione sollevata dalla R.A.S. di non deferibilità della controversia in arbitri, ritenendo che la controversa avesse ad oggetto diritti soggettivi derivanti dall'”Accordo” e non interessi legittimi, e disponeva la prosecuzione del giudizio.

5.- Con lodo definitivo del 23 aprile 2013, il collegio, accogliendo la tesi dell’attrice che invocava l’applicabilità della norma transitoria di cui all’art. 15 anzichè dell’art. 49 delle NTA, stabiliva che la R.A.S. si era resa inadempiente alle obbligazioni assunte nei confronti di Coimpresa con l'”Accordo” del 2000 e la condannava a pagare, a titolo del risarcimento del danno, Euro 77.827.800,00, oltre accessori.

4.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 aprile 2018, pronunciandosi sull’impugnazione di entrambi i lodi da parte della R.A.S., rigettava i motivi riguardanti la non arbitrabilità della controversia e, nel merito, dichiarava la nullità parziale dei lodi e riduceva la condanna a Euro 1.205.900,00, oltre accessori.

Ad avviso della Corte, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1366 del 2011, aveva accertato la legittimità del PPR che consentiva alla RAS di esercitare il potere discrezionale, legittimamente esercitato, inerente all’apposizione del vincolo paesaggistico sull’area di (OMISSIS), e l’applicabilità dell’art. 49 delle NTA, come indirettamente confermato anche da altre decisioni di giudici amministrativi (Tar Sardegna n. 33 del 2013 e Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1183 del 2017); sicchè, da un lato, era impossibile l’esecuzione delle opere di edificazione all’interno dell’area ricompresa nel Piano paesaggistico (fino a quando il Comune di Cagliari non avesse adeguato il proprio piano regolatore alle prescrizioni del PPR) e, dall’altro, non era configurabile un inadempimento della R.A.S. per avere adottato il PPR ed emesso provvedimenti di blocco dei lavori, venendo in rilievo provvedimenti amministrativi pure legittimi.

La Corte riteneva quindi che, a partire dall’entrata in vigore del PPR, ovvero dall’8 settembre 2006, l’esecuzione dei lavori all’interno dell’area inserita nel Piano era divenuta irrealizzabile, in forza di un atto regionale legittimo (il PPR) nella cui adozione, in quanto tale, non poteva ravvisarsi un inadempimento della R.A.S. alle obbligazioni assunte con l'”Accordo”, così come nella sospensione dei lavori successivamente all’8 settembre 2006; inoltre riteneva inesistente il nesso causale in relazione ai danni erroneamente imputati dal collegio arbitrale alla R.A.S. ma in ipotesi cagionati da altri soggetti (il Ministero per i beni e le attività culturali e il Comune di Cagliari).

Tanto premesso, la Corte, giudicando in rescissorio, ha però ritenuto la R.A.S. responsabile e tenuta al risarcimento del danno esclusivamente “per i giorni di ritardo (nell’esecuzione dei lavori) compresi tra il 9.8.2006 e il l’8.9.2006” (gli arbitri avevano considerato il ritardo sino al 1 febbraio 2012), essendo intervenuto ad agosto 2006 un provvedimento di sospensione dei lavori giudicato illegittimo dal Consiglio di Stato con altra decisione.

6.- Avverso questa sentenza Coimpresa ricorre per cassazione, sulla base di nove motivi, cui resiste la R.A.S. con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorso principale di Coimpresa non presenta profili di inammissibilità, avendo riguardo al suo contenuto complessivamente valutato, ai criteri redazionali formali di cui all’art. 366 c.p.c. e alla sua tempestività. Ne consegue, non essendo applicabile l’art. 334 c.p.c., comma 2, l’efficacia del pur tardivo ricorso incidentale della R.A.S. (come riconosciuto nel controricorso), il cui primo motivo è logicamente pregiudiziale e deve essere esaminato prioritariamente sebbene proposto in via condizionata.

Ed infatti, il ricorso incidentale per cassazione con il quale la parte vittoriosa nel merito – parzialmente nel caso della R.A.S. – riproponga una questione pregiudiziale decisa in senso a lei sfavorevole deve essere esaminato prima del ricorso principale della parte soccombente nel merito ed indipendentemente da ogni valutazione sulla fondatezza di tale ultimo ricorso, in quanto sin dal momento in cui, con il ricorso principale, si rende incerta la vittoria nel merito, sorge l’interesse che rende ammissibile il ricorso incidentale e ne giustifica l’esame nell’ordine logico delle questioni indicato dall’art. 276 c.p.c., comma 2, che, con disposizione applicabile, ai sensi dell’art. 141 disp. att. c.p.c., anche nel giudizio di cassazione, espressamente stabilisce che il giudice decide prima le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e successivamente il merito della causa (cfr. Cass., sez. V, n. 23531 del 2018; sez. L, n. 23531 del 2016; sez. L, n. 23531 del 2008; in tema di impugnazione di lodo arbitrale, sez. I, n. 17192 del 2004). Tale principio vale anche quando il ricorso incidentale contesti il potere decisorio degli arbitri che la Corte d’appello adita in sede di impugnazione del lodo abbia ritenuto esistente, poichè la contestazione del potere decisorio degli arbitri per essere la lite non arbitrabile ratione materiae non può

essere condizionata all’esito della controversia, atteso che la valutazione del merito postula pur sempre l’esercizio di quel potere decisorio che viene contestato con il ricorso incidentale (arg. ex SU n. 15612 del 2006).

2.- Con il primo motivo del ricorso incidentale la R.A.S. (Regione Autonoma Sardegna) denuncia la nullità della sentenza impugnata per difetto di giurisdizione del giudice ordinario e per avere la Corte d’appello ritenuto competente il collegio arbitrale a giudicare su interessi legittimi devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo, dunque in una controversia non arbitrabile, ai sensi della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 6 (riprodotto nell’art. 12 cod. proc. amm.), essendo la domanda di risarcimento del danno riferibile direttamente a provvedimenti amministrativi autoritativi, impositivi di vincoli pubblicistici, come l’approvazione del PPR (Piano paesaggistico regionale) nel settembre 2006 e il blocco dei lavori disposto con provvedimenti amministrativi a partire dal 9 agosto 2006, già impugnati in sede amministrativa; per avere ritenuto valida la clausola compromissoria contenuta nell’art. 7 del citato “Accordo” di programma, il cui effetto costitutivo di diritti soggettivi e obbligazioni per le parti era stato sempre contestato in giudizio, e valido anche il lodo benchè pronunciato fuori dei limiti della convezione di arbitrato, in violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., nn. 1 e 4. Si assume, in sostanza, che la Corte abbia erroneamente applicato il criterio del petitum sostanziale, avendo dato rilievo al fatto che Coimpresa avesse collegato la domanda risarcitoria ad una condotta unitaria della R.A.S. consistente sia nell’adozione di provvedimenti autoritativi sia in comportamenti materiali tuttavia del tutto privi di rilevanza (come interviste ad organi di stampa in cui si annunciava la ineseguibilità del progetto a seguito dell’adozione del PPR); nè rilevava che l'”Accordo” fosse vincolante per le parti, essendo la regione, anche dopo la sua conclusione, rimasta titolare dei suoi poteri discrezionali in materia di tutela paesaggistica, rispetto ai quali la posizione del privato è pur sempre qualificabile in termini di interesse legittimo.

3.- Il motivo in esame è fondato.

E’ necessario svolgere alcune considerazioni preliminari.

In primo luogo, l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. n. 25 del 1994 e dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione; pertanto la questione circa l’eventuale non compromettibilità ad arbitri della controversia, per essere la stessa riservata alla giurisdizione del giudice amministrativo, integra una questione di giurisdizione che, ove venga in rilievo, il giudice dell’impugnazione del lodo arbitrale è tenuto ad esaminare e decidere anche d’ufficio (da ultimo, SU n. 23418 del 2020).

Si deve poi precisare che, avendo il legislatore ammesso sin dal 2000 (L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2) e successivamente confermato (art. 12 cod. proc. amm.) la compromettibilità in arbitri delle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo (cfr. SU n. 27847 del 2019), per giudicare della validità della compromissione in arbitrato occorre pur sempre verificare se la controversia, pure appartenente alla giurisdizione amministrativa esclusiva, inerisca a diritti soggettivi o a interessi legittimi, poichè in tale secondo caso quella compromissione sarebbe radicalmente invalida, non così evidentemente se la controversia inerisca a diritti soggettivi che, di conseguenza, sarebbero giustiziabili anche in sede arbitrale.

4.- Tanto premesso, non può dubitarsi che la controversia relativa all’interpretazione ed esecuzione dell'”Accordo di programma” di cui è causa stipulato nel settembre 2000, ai sensi della L. n. 662 del 1996 art. 2, comma 203, p. a), (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e della L. n. 142 del 1990, art. 27 (Ordinamento delle autonomie locali), con la R.A.S., il Comune di Cagliari e altri soggetti, fosse devoluta alla giurisdizione amministrativa in quanto inerente a posizioni di interesse legittimo in capo a Coimpresa, quale comproprietario delle aree e soggetto attuatore del programma.

5.- Le Sezioni Unite (sentenza n. 64 del 2016), con riferimento ad un accordo di programma di cui alla L. n. 142 del 1990, art. 27 (successivamente trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 34, Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), hanno osservato che tale strumento si sostanzia in un provvedimento amministrativo adottato da amministrazioni e soggetti pubblici che vi partecipano, al fine di assicurare l’azione integrata e coordinata di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune, e determina nei soggetti destinatari e comunque interessati all’attuazione dell’accordo l’insorgere di interessi legittimi per la tutela delle loro posizioni soggettive eventualmente lese dal cattivo uso del potere pubblico nei loro confronti. La devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo si giustifica in quanto inerenti alla “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi tra le pubbliche amministrazioni”, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, cod. proc. amm. (già della L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5 e art. 15, cfr. SU n. 18192 del 2013): si tratta di moduli convenzionali di valenza generale attraverso i quali le amministrazioni partecipanti all’accordo rendono possibile e disciplinano il coordinato esercizio di funzioni pubbliche, nella prospettiva di un risultato di comune interesse, individuato attraverso uno specifico procedimento amministrativo.

Nella fattispecie in esame, non varrebbe obiettare che l'”Accordo” in questione, nel quale sono parti anche i privati, sarebbe da inquadrare, come ritenuto dagli arbitri e dalla Corte territoriale, tra quelli di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 203, lett. c), che li considera “vincolant(i) per tutti i soggetti che vi partecipano”, come si assume confermato dalle clausole ivi contenute che enunciano impegni a carico della R.A.S. e delle altre parti.

Ed infatti, il previsto carattere “vincolante” dello stesso non muta i termini del discorso, trattandosi di un elemento indicativo ma insufficiente se volto a fondare, di per sè solo, l’automatica trasformazione degli interessi legittimi in diritti perfetti o la nascita di diritti soggettivi incondizionati in capo a Coimpresa, peraltro nella specie neppure identificati precisamente nell’oggetto e in relazione a specifici beni e utilità “finali”.

Non si esclude la possibilità che gli accordi di programma possano generare diritti soggettivi tutelabili anche in sede arbitrale (del resto la possibilità di ricorrere all’arbitrato è riconosciuta nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 34, comma 2 e L. n. 142 del 1990, art. 27, comma 2, nè si comprenderebbe altrimenti la previsione della giurisdizione esclusiva che postula l’inerenza delle relative controversie anche a diritti soggettivi), sempre che tuttavia la domanda del soggetto privato coinvolto nell’accordo di programma riguardi questioni di interpretazione ed esecuzione dello stesso in relazione al mancato adempimento da parte delle pubbliche amministrazioni di obblighi patrimoniali, a fronte dei quali la posizione giuridica del privato ha consistenza di diritto soggettivo (in tal senso, Cons. di Stato, sez. V, 16 marzo 2016, n. 1053).

Diverso, tuttavia, è il caso dell'”Accordo” di cui si discute, che si configura come un provvedimento amministrativo finalizzato ad assicurare l’azione integrata e coordinata di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune mediante l’esercizio di funzioni pubbliche, nel quale il coinvolgimento dei privati è utile per la ponderazione degli interessi pubblici concorrenti, tenuto conto degli effetti dell’accordo di programma che può comportare variazione agli strumenti urbanistici vigenti per la realizzazione di opere da parte di soggetti privati, anche su aree di proprietà privata.

La prevista partecipazione all’accordo di privati non è dirimente per la configurazione di diritti soggettivi in loro favore (cfr. SU n. 64 del 2020, n. 12725 del 2005), nè lo è la formulazione della domanda in termini di adempimento contrattuale (SU n. 5923 del 2011) o di risarcimento del danno (SU n. 4948 del 2015), alla luce del petitum sostanziale che è la tutela dell’interesse di Coimpresa all’esercizio legittimo (o non illegittimo) di potestà pubbliche, ai fini della realizzazione di finalità primariamente pubbliche. E’ significativa sul piano sistematico la conclusione cui sono pervenute le Sezioni Unite (n. 26339 del 2017) in controversia coinvolgente privati che riguardava un “patto territoriale”, a norma della stessa L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 203, p. d), considerato come accordo integrativo di provvedimento amministrativo, della L. n. 241 del 1990, ex art. 11.

6.- Nella specie, la Corte territoriale, dopo avere esattamente osservato che con l'”Accordo” del settembre 2000 era stato regolato il complessivo programma di riqualificazione urbana e residenziale dell’area denominata Colli di (OMISSIS) e che la R.A.S. vi aveva partecipato quale titolari di poteri pubblicistici per la tutela dell’interesse pubblico in materia paesaggistica e dei beni storici archeologici direttamente coinvolti nel suddetto programma, ha tuttavia contraddittoriamente concluso che la controversia introdotta da Coimpresa aveva ad oggetto diritti soggettivi nascenti dal medesimo “Accordo” e che la domanda di risarcimento del danno riguardava comportamenti anche materiali della R.A.S. sintomatici della sua volontà di sottrarsi all’adempimento delle “obbligazioni” assunte, traendone la erronea conseguenza della validità della clausola compromissoria.

A prescindere dal fatto che non è chiaro quali fossero i suddetti comportamenti materiali nè è possibile apprezzare la loro rilevanza causale rispetto al danno lamentato, l’errore di diritto compiuto dalla Corte territoriale è di avere travisato il petitum sostanziale proprio delle domande di Coimpresa, avendo erroneamente ravvisato un “obbligo” della pubblica amministrazione e una corrispondente situazione giuridica di “diritto soggettivo” di Coimpresa all’attuazione dell'”Accordo” nei termini “concordati” che inerivano, invece, all’esercizio di potestà pubbliche intrinsecamente condizionanti la soddisfazione di aspettative della società propriamente qualificabili in termini di interesse legittimo.

7.- La prospettazione di un “diritto all’adempimento” e, in via consequenziale, la doglianza di ingiusta lesione dei diritti derivanti dall'”Accordo” del settembre 2000 – per la quale il risarcimento del danno invocato da Coimpresa costituirebbe riparazione economica – a causa della successiva adozione del PPR nel settembre del 2006 e del blocco dei lavori nel periodo dal 9 agosto all’8 settembre 2006, si fondano sul presupposto implicito ma erroneo secondo cui la posizione giuridica dell’impresa fosse ormai definitivamente conformata nei termini definiti dall'”Accordo”, sulla quale la R.A.S. non potesse in alcun modo incidere mediante l’esercizio di poteri pubblicistici, a tutela degli interessi generali paesaggistici e inerenti al governo del territorio. Questa impostazione non è condivisibile.

In linea generale, nella giurisprudenza di legittimità è costante il principio secondo cui il potere pubblicistico di pianificazione persiste in capo alla pubblica amministrazione pure in presenza di convenzione di lottizzazione già stipulata, la quale non procura al privato beneficiario alcuno ius aedificandi, dando vita unicamente ad un interesse legittimo di tipo oppositivo (ai fini della conservazione della qualità edificatoria del suolo conseguita in virtù della lottizzazione convenzionata) cui sono connessi poteri di reazione ove, nelle scelte discrezionali di pianificazione del territorio rimesse alla pubblica amministrazione, astrattamente in conflitto, non vengano rispettate le norme di azione, nel qual caso l’amministrazione può essere chiamata a risponderne nella sede giurisdizionale competente (in Cass., sez. I, n. 157 del 2003 si precisa che i suddetti poteri di reazione sono conferiti “al fine di evitare un provvedimento sfavorevole, e quindi si concretano nella pretesa dell’interessato ad opporsi, in sede procedimentale o processuale, a provvedimenti della p.a. che incidono negativamente sulla preesistente sfera giuridica del privato”).

Quanto sinora illustrato assume una connotazione specifica nella fattispecie in esame, nella quale con il PPR (Piano paesaggistico regionale) adottato nel 2006 la R.A.S. ha esercitato poteri pubblicistici a tutela del paesaggio che, con il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 4 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), hanno assunto una portata generale e, comunque, una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica sull’intero territorio, anche in osservanza degli impegni assunti con la convenzione Europea del paesaggio, conclusa a Firenze il 20 ottobre 2000 ed entrata in vigore in Italia nel settembre 2006. L’art. 145, comma 3, del citato decreto del 2004 riconosce il valore conformativo delle previsioni contenute nei piani paesaggistici e la loro prevalenza sugli strumenti urbanistici e sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione territoriale.

8.- Per sostenere una diversa conclusione non è utile invocare la giurisprudenza in tema di giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative alle pretese risarcitorie fondate sulla lesione dell’affidamento del privato nella legittimità di provvedimenti amministrativi ampliativi successivamente annullati (cfr. SU n. 14231 del 2020, n. 17586 del 2015, n. 6594, 6595 e 6596 del 2011) o nella mancata adozione di provvedimenti anche ampliativi nei casi in cui il petitum sostanziale consista nella denuncia della violazione dei canoni della correttezza e buona fede da parte della pubblica amministrazione (cfr. SU n. 8236 del 2020). In tali casi la tutela risarcitoria non è proposta come rimedio della illegittimità (accertata o da accertare) dell’azione amministrativa o come completamento di una inesistente tutela demolitoria di provvedimenti amministrativi illegittimi sotto il profilo della violazione delle norme di azione.

Il trade union di tale (condivisibile) orientamento è dato dal fatto che in quei casi non è denunciata (o non è chiesto di dichiarare) la illegittimità di provvedimenti amministrativi, manifestandosi una acquiescenza del privato all’assetto di interessi dagli stessi provvedimenti determinato (con il consolidamento del provvedimento diminutivo o del provvedimento di annullamento o revoca di quello ampliativo di determinate facoltà). Ad essere contestata è, piuttosto, la verifica della liceità del comportamento della pubblica amministrazione, evocata in giudizio dal privato su un piano paritetico, dunque dinanzi al giudice ordinario, essendo controverso il rispetto delle norme di relazione (buona fede e correttezza, lesione ingiustificata dell’affidamento, proporzionalità, ecc.) che prescindono dal e soverchiano il rispetto formale delle norme di azione postulanti la tutela dell’interesse legittimo.

Al contrario, nella fattispecie in esame, la società attrice ha denunciato la illegittimità dell’azione amministrativa, con riguardo sia al provvedimento di blocco dei lavori tra il 9 agosto e l’8 settembre 2006 sia ai contestati effetti preclusivi (riconducibili al PPR entrato in vigore il 9 settembre 2006) della realizzazione del programma edificatorio di cui all'”Accordo” del 15 settembre 2000. In tal modo, Coimpresa ha impropriamente devoluto agli arbitri questioni concernenti la tutela di interessi legittimi, sulle quali essi non potevano giudicare in quanto esorbitanti dalle proprie attribuzioni: sia in relazione al provvedimento di blocco dei lavori, la cui illegittimità investiva il giudice amministrativo (che quella illegittimità aveva dichiarato) del potere esclusivo di provvedere in via consequenziale alla tutela rimediale del risarcimento del danno, sia in relazione al PPR del settembre 2006, già impugnato dinanzi al giudice amministrativo e giudicato legittimo dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1366 del 2011, che ha ritenuto applicabile il regime di cui all’art. 49 delle Norme Tecniche di Attuazione preclusivo della realizzazione del programma lottizzatorio di cui al più volte citato “Accordo” fino all’emanazione da parte del Comune di Cagliari di un piano regolatore conforme al PPR.

Questo esito è contestato da Coimpresa che, anche con il ricorso per cassazione, reputa applicabile il diverso (e più favorevole) regime di cui all’art. 15 NTA, ma si tratta evidentemente di questione consequenziale a (se non coincidente con) quelle proposte dinanzi ai giudici amministrativi, alla cui giurisdizione restano attratte, venendo in rilievo pur sempre la tutela (anche solo risarcitoria) degli interessi legittimi spettanti alla medesima società.

9.- In definitiva, come rilevato dalla RAS, si pone la seguente alternativa: se si ritiene, secondo la tesi di Coimpresa seguita dagli arbitri e dalla Corte territoriale, che la clausola compromissoria intendesse devolvere “qualsiasi controversia nascente dall’esecuzione ed interpretazione del presente accordo (…) ad un collegio arbitrale che giudicherà secondo diritto”, conformemente con il suo inequivoco tenore letterale, ivi comprese quelle aventi ad oggetto la contestazione della legittimità o degli effetti di provvedimenti amministrativi incidenti sull’attuazione dell'”Accordo” e l’eventuale tutela risarcitoria in via consequenziale, allora essa sarebbe – come in effetti è – invalida, per contrasto con il disposto di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2; se invece si intendesse la suddetta clausola compromissoria come riferita alle sole controversie concernenti rapporti giuridici di diritto privato sorti dall'”Accordo”, con esclusione quindi delle controversie aventi ad oggetto l’eventuale risarcimento del danno consequenziale a provvedimenti illegittimi o comunque contestati, la clausola sarebbe valida, ma la domanda proposta da Coimpresa sarebbe estranea alla convenzione di arbitrato, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 4.

10.- In conclusione, è enunciato il principio secondo cui, al fine di valutare se sia suscettibile di essere compromessa in arbitri una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in tema di esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, cod. proc. amm. e già della L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5 e art. 15, comma 2, nella specie concernente l’attuazione di un Accordo di programma stipulato con la partecipazione di pubbliche amministrazioni e privati, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 203, p. a) e della L. n. 142 del 1990, art. 27 (trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 34), per la realizzazione di un complesso programma lottizzatorio includente un parco archeologico e insediamenti residenziali, si deve valutare la natura delle situazioni giuridiche azionate, le quali sono compromettibili in arbitri solo se abbiano consistenza di diritto soggettivo, ai sensi dell’art. 12 cod. proc. amm. (già della L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2), non invece se abbiano consistenza di interesse legittimo, come nel caso in esame in cui il privato intende esercitare poteri di reazione, anche ai fini risarcitori, avverso le scelte discrezionali operate dall’amministrazione che rendono inattuabile l'”Accordo” nei termini programmati (nella specie, per effetto dell’approvazione di un Piano paesaggistico regionale, ritenuto legittimo dal giudice amministrativo, e della applicabilità di una disposizione delle NTA contestata dall’impresa) e avverso un provvedimento di sospensione dei lavori, riferito ad un certo periodo temporale, annullato dal giudice amministrativo.

11.- E’ dunque accolto il primo motivo del ricorso incidentale e assorbito il ricorso principale che imputa alla Corte territoriale violazioni di norme di diritto postulanti la validità della convenzione arbitrale; ne consegue la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata e la dichiarazione di nullità di entrambi i lodi arbitrali.

12.- La complessità delle questioni controverse giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e, assorbiti il secondo motivo del medesimo ricorso e il ricorso principale, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara la nullità dei lodi arbitrali impugnati; compensa le spese dell’intero giudizio.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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