Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27375 del 01/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 01/12/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 01/12/2020), n.27375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14360-2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

S.G., rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Russo e

dall’avv. Paolo Spelongano, elettivamente domiciliato in Napoli

Centro Direzionale Isola E/4 int. 403/B, domiciliato in Roma, P.zza

Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 425/48/12 depositata il 3/12/2012;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27.01.2020

dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 425/48/12 depositata il 3/12/12.

La vicenda trae origine dal trasferimento della licenza per l’attività di taxi in (OMISSIS) da S.G. al figlio C.. L’Ufficio sui presupposto che la cessione fosse avvenuta a titolo oneroso e che il contribuente non avesse presentato la dichiarazione relativa alla plusvalenza conseguita, procedeva ad accertamento induttivo della stessa, quantificata in Euro 150.000,00.

Il contribuente opponeva l’avviso di accertamento con ricorso che la CTP accoglieva solo parzialmente, dimezzando la misura della plusvalenza calcolata dall’Ufficio. La CTR accoglieva invece il successivo appello del contribuente, con la sentenza che l’Amministrazione finanziaria ha impugnato in questa sede, deducendo, a fondamento, un unico motivo. Resiste il contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

L’Amministrazione finanziaria ha posto a base del ricorso come unico motivo d’impugnativa violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c.; del TUIRn. 917 del 1986, art. 86, comma 1; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, nonchè della L. n. 21 del 1992, art. 6, commi 1 e 5, artt. 7 e 9, e violazione della L. n. 12 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ritiene la Corte che il ricorso sia infondato laddove l’Amministrazione ricorrente ha ravvisato violazione dell’art. 86 TUIR, comma 1. In particolare ha configurato tale violazione sul presupposto che la cessione della licenza per l’esercizio del servizio di taxi avvenga a titolo oneroso e che, perciò stesso, anche il trasferimento in questione lo fosse stato.

Su tale premessa, ha ritenuto che il resistente avesse conseguito una plusvalenza e che la mancata presentazione della relativa dichiarazione legittimasse l’Ufficio a calcolare in via induttiva la misura della stessa, che riteneva di determinare in Euro 150.000,00.

Ora, la stessa Amministrazione ha ricordato, che, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, per la quantificazione della somma percepita, può avvalersi di qualsiasi elemento probatorio per ovviare all’omissione. Va, tuttavia, ribadito che gli elementi in tal modo acquisti debbono essere esplicitati dall’Amministrazione al fine di renderli valutabili a fini defensionali e soddisfare l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo.

Questa Corte ha infatti affermato che “In tema di imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, richiede l’indicazione, nell’avviso di accertamento, non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Cass. Sez. 5, 24/07/2014, n. 16836). Come pure ha chiarito che “ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, è invalido, per violazione dell’obbligo di motivazione, l’avviso di accertamento relativo all’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza realizzata per effetto del trasferimento di una licenza taxi, che operi un mero rinvio, per la determinazione del valore accertato, ad indagini di mercato svolte attraverso vari operatori dell’informazione specializzati nel settore, nonchè ad indagini poste da autorevoli quotidiani economici, senza alcuna allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati, trattandosi di una generica indicazione”(Sez. 6 – 5, 23/12/2015, n. 25946).

In aderenza a tali principi, che il Collegio intende ribadire ed applicare anche al caso in esame, l’Ufficio avrebbe dovuto specificare quali fossero stati, nel caso in esame, gli elementi probatori di cui si era avvalso per addivenire al quantum della plusvalenza, accertata in via induttiva e indicata nell’avviso accertamento, allegando la documentazione relativa. Ed invece è proprio tali indicazioni ed allegazioni che l’Amministrazione non ha fornito, posto che lo stesso ricorso rende palese come gli elementi posti a base dell’atto impositivo siano del tutto generici e privi del necessario grado di determinatezza ed intellegibilità. Perciò stesso inidonei a far comprendere i fattori che avevano indotto l’Ufficio a quantificare in Euro 150.000,00 la misura della plusvalenza, ritenuta frutto dal trasferimento detta licenza di taxi dal resistente S.G. al figlio Senatore C..

Infatti, quale presupposto dell’atto, la ricorrente pone l’assioma secondo cui è “pacifico che il trasferimento a terzi della licenza per servizio taxi generi una cospicua plusvalenza avuto riguardo al valore che tale abilitazione riversata specie nei grandi centri” ed inoltre precisa che, nella valutazione della entità della plusvalenza, l’Ufficio avrebbe tenuto conto “di informazioni assunte presso il Comune di (OMISSIS)”.

Ora, nel primo periodo richiamato manca ogni riferimento alla particolare e non certo irrilevante specificità, benchè nota all’Ufficio, del caso in esame, stante il rapporto padre-figlio tra il cedente e il subentrante, in una cornice, non contestata, di fisiologico ricambio generazionale interno ad uno stesso nucleo familiare.

L’Ufficio, in altri termini, ha desunto la sua presunzione di onerosità da un fatto (il trasferimento di una licenza per l’attività di tassista, solitamente onerosa) solo parzialmente identico, ma sostanzialmente diverso da quello in esame (il trasferimento della licenza da padre in figlio, solitamente gratuita). Ha cioè ritenuto, senza motivarlo, di non dover dar peso alla particolare circostanza che connotava la fattispecie, benchè ne fosse a conoscenza.

La presumibile gratuità in caso di trasferimento, della licenza per l’esercizio dell’attività di tassista, tra padre in figlio è stata, del resto, già affermata da questa Corte (Cass., 20/09/2014, n. 20533). Tale pronuncia evidenzia la rilevanza della circostanza ed esige una specifica attenzione da parte dell’Ufficio impositore, tenuto a provare l’onerosità della cessione, insolita in quel particolare caso, e l’effettivita di una plusvalenza.

Il riferimento, poi, a Ile imprecisate e non documentate informazioni assunte presso il Comune di Napoli, risulta oggettivamente mancante di ogni contenuto esplicativo di quali elementi istruttori fossero stati acquisiti: in ipotesi, la valutazione/raffronto di casi analoghi, la ricognizione di coeve risultanze di mercato, la redditività dell’attività alla vigilia della cessione, le indicazioni fornite da operatori del settore, il richiamo a parametri tratti da autorevoli organi di stampa.

Il laconico riferimento, nella sua genericità e in totale mancanza di allegazione, è, quindi, inidoneo a fornire qualsivoglia contributo argomentativo, tal che appare fondata la valutazione sul punto adottata dalla CTR, nell’accogliere l’appello del contribuente.

Il giudice regionale, infatti, ha affermato che “l’accertamento della presunta plusvalenza derivante dalla cessione della licenza non risulta fondata su valori di riferimento con precisa individuazione delle fonti e con allegazione all’accertamento stesso”. Ha cioè ritenuto che nel caso di trasferimento da padre in figlio, la plusvalenza fosse solo eventuale giacche l’onerosità del trasferimento, nella fattispecie, non era riconducibile dalli id quod plerumque accidit in ragione degli stretti rapporti tra cedente e cessionario. Ed ha ritenuto non provato, per mancata allegazione, che si fosse effettivamente realizzata la plusvalenza indicata nell’avviso di accertamento, concorrente alla formazione del reddito ex art. 86 TUIR, comma 1.

Nessuna violazione dell’art. 86 TUIR, comma 1, è quindi ravvisabile nella decisione impugnata, dal momento che la CTR ha, motivatamente, ritenuto non provato che dalla vicenda fosse scaturita una plusvalenza e la decisione impugnata risulta conforme al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, coerentemente alla richiamata giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso per le ragioni indicate in motivazione va rigettato. Segue la condanna alle spese liquidate in dispositivo.

Non ricorrono le condizioni per il versamento del c.d. doppio contributo da parte dell’Amministrazione soccombente, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che “Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo” (Sez. 6 – L, 29/01/2016, n. 1778).

La decisione testè richiamata riflette il “principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte e tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere ai tempo stesso debitore e creditore di sè stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge” (SS.UU., 8/5/2014, n. 9938).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Amministrazione ricorrente ai pagamento delle spese che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese generali nella misura di Euro 200,00 ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

 

 

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