Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27366 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. II, 24/10/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 24/10/2019), n.27366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12466/2016 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARVISIO,

2, presso lo studio legale FARSETTI – AMOROSO, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIOVANNI VERDE, GIOVANNI PINO;

– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –

contro

M.D.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

BRIGUGLIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ACHILLE PARISI;

– controricorrente –

M.D.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

GIACOBBE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 711/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 15/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per la parziale inammissibilità e

per il resto e comunque per il rigetto del ricorso principale e per

l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato VERDE Giovanni, difensore della ricorrente

principale che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte ed in

atti;

udito l’Avvocato BRIGUGLIO Antonio, difensore del resistente che ha

chiesto l’accoglimento delle conclusioni esposte ed in atti;

udito l’Avvocato GIACOBBE Giovanni difensore della controricorrente

con controricorso incidentale condizionato, che ha chiesto

l’accoglimento di quanto esposto ed ha insistito per

l’inammissibilità o rigetto del ricorso principale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda processuale, per quel che è qui di utilità, può sintetizzarsi come segue.

1.1. Il Tribunale di Messina, accogliendo la domanda di M.G., dichiarò simulati taluni atti di compravendita di azioni sociali stipulati fra la madre (alienante) e i fratelli F. e M., così come quello concernente un compendio immobiliare, di cui acquirente figurava il solo F.. Inoltre, ritenne integrare una donazione indiretta in favore di F. la rinunzia della di lui madre a far valere i diritti ereditari derivanti dalla successione del marito, M.S.. Veniva, invece, disattesa la chiesta declaratoria di simulazione relativa al trasferimento degli altri beni elencati nell’atto di citazione.

1.1. La Corte d’appello di Messina, con la pronuncia qui al vaglio, decidendo sull’appello principale di M.d.C.F. e su quello incidentale della germana G., sempre per quel che qui rileva:

a) escludeva che la rinuncia a far valere i propri diritti ereditari da parte della madre dei M. costituisse donazione indiretta in favore del figlio F.;

b) disattendeva il motivo con il quale M.G. aveva chiesto che fosse dichiarato simulato il contratto d’affitto agrario stipulato tra la defunta madre (affittante) e il figlio F. (affittuario);

c) disattendeva il motivo con il quale M.G. aveva chiesto dichiararsi simulati i contratti attraverso i quali i fratelli F. e M. avevano ottenuto la disponibilità di taluni beni mobili di valore della de cuius.

2. M.G. ricorre avverso la decisione d’appello sulla base di cinque motivi. Controricorrono, con atti separati, M.d.C.F. e M., la quale ultima propone, altresì, ricorso incidentale condizionato, al quale resiste con controricorso la ricorrente principale. Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorso deduce violazione degli artt. 759,537 e 554, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Questi, in sintesi, gli argomenti fondanti della censura. La Corte locale aveva errato nel non avere assegnato natura di donazione indiretta alla rinunzia della madre delle parti in causa a far valere i propri diritti successori derivanti dalla morte del marito, in quanto non era esatto affermare che una tale scelta non aveva implementato l’arricchimento del figlio F., il quale, per decisione testamentaria del padre, era stato istituito unico erede, diseredando gli altri legittimari. Difatti, con la rinuncia in parola la madre aveva negato alla ricorrente la possibilità di “chiedere la riduzione delle disposizioni lesive dei diritti della madre nel giudizio da lei intentato per rivendicare la sua posizione (non disponibile) dell’eredità paterna”, così finendosi per “affermare il principio secondo il quale il legittimario, rinunciando al suo diritto alla quota di legittima, può beneficiare l’unico erede testamentario, sacrificando, sì, i suoi diritti, ma al solo scopo di pregiudicare alcuni tra coloro che hanno diritto ad una quota parte del suo patrimonio”.

1.1. La doglianza è infondata per il convergere di una pluralità di ragioni.

L’eventuale arricchimento di F. è conseguenza ipotetica, del tutto indiretta e non dipendente dalla scelta, peraltro personalissima, della madre a non far valere i propri diritti successori. Non ricorre l’ipotesi della donazione indiretta, quale che sia la ricostruzione dell’istituto alla quale si voglia aderire (il fenomeno, in genere spiegato come la risultante della combinazione di due negozi – il negozio – mezzo ed il negozio – fine, accessorio e integrativo-, trova plurime varianti in giurisprudenza e dottrina, giungendosi a reputare, non solo che non sia necessario il concorso di due negozi, ma che, addirittura possa ottenersi l’effetto della liberalità anche combinando un mero atto con un negozio – tale opinione, peraltro minoritaria, risulta posta in dubbio oramai dalle S.U. – sent. n. 18725, 27/7/2017 -), mancando la univocità dello scopo liberale e, prima che la correlazione fra gli atti, in radice, la combinazione fra due strumenti (v’è la rinuncia, ma non si coglie dove debba risiedere l’altro strumento orientato al fine).

Inoltre, l’ipotetico rivendicato vantaggio non è ricollegabile alla rinuncia, se non attraverso plurime e non prevedibili serie causali (la madre avrebbe dovuto vedersi riconosciuta la posizione di legittimaria, a questa sarebbe dovuta conseguire un effettivo arricchimento, la genitrice avrebbe dovuto lasciare in eredità quanto acquisito), con la conseguenza che non si rinviene un apprezzabile nesso di causalità.

2. Con il secondo motivo il ricorso denunzia violazione dell’art. 2721 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Secondo la ricorrente la sentenza della Corte locale aveva rigettato il motivo dell’appello incidentale, con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado per aver negato la natura simulata del contratto d’affitto di cui si è detto, con motivazione apodittica, senza tener conto di una serie di circostanze che avrebbero dovuto far concludere per la simulazione (il figlio esercitava la professione di avvocato e il contratto aveva il solo scopo di precludere il bene alla ricorrente).

2.1. Il motivo risulta fondato.

Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).

La Corte di Messina (pagg. 10 e 11) disattende il primo motivo dell’appello incidentale della M., con il quale la stessa aveva criticato la sentenza di primo grado per non avere riconosciuto la natura simulata del contratto d’affitto di un fondo esteso venti ettari per il pezzo di dodici milioni di lire, perchè “l’appellante incidentale non ha dato sufficientemente prova dell’esiguità del prezzo e del reale valore del bene”. La ricorrente lamenta, come si è accennato, che il Giudice di secondo grado non aveva preso in considerazione una serie di emergenze sintomatiche della natura simulata dell’atto (il negozio appariva ingiustificato, beneficiario ne era il figlio, esercente la professione di avvocato, il complessivo contesto era finalizzato a favorire il figlio maschio).

Applicando il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite deve escludersi che l’espressione lessicale di cui sopra possa ricondursi al genus di motivazione, cioè di giustificazione, non solo intellegibile, ma anche ripercorribile, della decisione. Essa costituisce apparenza, vero e proprio simulacro, dei motivi del decidere, sia perchè non rende percepibile il fondamento della decisione, sia perchè risulta priva dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, con pertinenza argomentativa. Invero, ridotta inammissibilmente la questione alla prova della esiguità del prezzo e del valore reale del bene, la Corte locale non mostra di aver preso in alcuna considerazione gli elementi indiziari evidenziati dall’appellante incidentale.

Peraltro, la prova della congruità del prezzo in relazione al valore del fondo costituiva tema sul quale il Giudice ben avrebbe potuto avvalersi dell’apporto di un consulente tecnico.

Consegue a quanto immediatamente sopra esposto la cassazione della sentenza sul punto.

3. Con il terzo motivo la M. lamenta violazione degli artt. 769,177,178,544 e 537 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Era stato proposto appello incidentale per non avere il Tribunale riconosciuto natura simulata agli atti indicati ai punti 1, 2, 9, 11, b) e c) della citazione. Il Tribunale aveva sorretto la propria decisione con la considerazione che l’attrice nel giudizio riguardante l’eredità paterna aveva imputato ad altra origine le somme utilizzate da M.F. e M.. La Corte d’appello, rimarcando il valore confessorio, di una tale affermazione processuale e, inoltre, escludendo che potesse configurarsi donazione indiretta nel caso in cui il donante paghi solo in parte il prezzo del bene, aveva disatteso la doglianza.

La ricorrente assume l’erroneità di una tale decisione, in quanto, a dispetto della contorta motivazione, con la quale la sentenza fa riferimento ad un atto confessorio/ammissorio, non era vero che tutti gli acquisti erano stati effettuati con denaro di entrambi i genitori, essendo rimaste escluse le sopraelevazioni; inoltre, si sarebbe dovuto considerare che i genitori vivevano in regime di comunione legali dei beni e la provista era stata fornita per intero da entrambi e che, pertanto, ai sensi degli artt. 177 e 179, c.c., “l’acquisto del bene, indirettamente donato al figlio, era ed è necessariamente imputabile alla comunione tra i coniugi”.

4. Con il successivo collegato quarto motivo si contesta la violazione degli artt. 116,2730,2733, c.c., 228 e 229 c.c., o, gradatamente, degli artt. 2727,2729, c.c., art. 115, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

M.G. nega di aver riconosciuto “che gli acquisti di (OMISSIS) e del fondo agricolo sito in località (OMISSIS) erano stati fatti con danaro del padre”, poichè, ben diversamente da quanto affermato in sentenza, nella comparsa di costituzione con nuovi difensori del 14/10/1997 si era inequivocamente dichiarato che entrambi i genitori avevano acquistato i beni in parola e se la Corte d’appello avesse letto l’atto richiamato non avrebbe potuto concludere nel senso avversato.

Di poi, si soggiunge, ad abundantiam, che non essendo l’atto munito di procura in calce o a margine (il rilascio era avvenuto separatamente per procura notarile) non poteva attribuirsi alla parte personalmente l’asserto; non potevasi assegnare valore alla dichiarazione contenuta in un atto giudiziario afferente a un processo oramai estinto; al più si poteva trattare di meri argomenti di prova.

5. Il terzo e il quarto motivo, tra loro collegati, appaiono fondati per quanto appresso.

Tenuto conto del significato letterale delle espressioni usate nell’atto costitutivo richiamato (e allegato) dalla ricorrente deve escludersi la ricaduta confessorio/ammissorio proclamata dalla sentenza quanto alle sopraelevazioni e al fondo sito a (OMISSIS), non evocati nell’anzidetto atto processuale. Dal che deve dedursene la errata applicazione delle regole sulle presunzioni e l’inconferenza del richiamo alla confessione.

Quanto all’ipotizzabilità della donazione indiretta anche nel caso in cui il donante abbia messo a disposizione solo una parte del prezzo, la sentenza n. 2149, 31/1/2014, richiamata dalla decisione messinese, risulta argomentatamene superata da successive sentenze di legittimità e, in epoca assai recente dalla sentenza n. 10759, 17/4/2019, la quale ha condivisamente precisato che si ha donazione indiretta di un bene (nella specie, un immobile) anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l’oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante (Rv. n. 653407).

6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce “violazione dell’art. 360, comma 1 nn. 5 e/o 4”, assumendo che la sentenza di secondo grado aveva omesso di decidere sulla censura incidentale, con la quale la M. era insorta contro il rigetto della “domanda relativa ai beni mobili siti nell’immobile di Via (OMISSIS) a i gioielli della de cuius”.

6.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.

Questa Corte, a Sezioni Unite (sent. n. 17931, 24/7/2013), ha chiarito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti error in procedendo, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante denunziata violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

Nel caso in esame la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, lamentando una omessa pronuncia. La enunciazione incongruamente evoca l’omesso esame di un fatto a fronte della ben diversa doglianza di omessa decisione, oltre a imputare, ancor più incongruamente, a una violazione delle regole attributive del potere di ricorrere in cassazione la violazione di una norma non indicata. Anche a voler reputare sottintesa, sibbene non enunciata, la denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c., manca proprio quell’univoco riferimento alla nullità della decisione derivante denunziata violazione, di cui sopra si è detto.

7. Con il ricorso incidentale, subordinato all’accoglimento, anche parziale, di quello principale, M.M. deduce “omessa motivazione su fatto controverso: art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5; violazione e falsa applicazione di legge: artt. 533 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Secondo l’assunto la Corte d’appello non aveva preso in esame “la eccezione preliminare d’inammissibilità dell’azione di simulazione proposta dall’arch. M.G.”.

7.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Al contrario dell’assunto, la Corte d’appello ha pronunciato sul punto (pagg. 5/6). Peraltro, del tutto contraddittoriamente la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’art. 533 e segg., il che presuppone che la questione sia stata, appunto, esaminata e decisa.

In disparte, è appena il caso di soggiungere, che l’interpretazione della Corte locale è corretta, non occorrendo forme sacramentali al fine di rendere palese che l’azione diretta all’accertamento della natura simulatoria è funzionale al ripristino di una lesione della quota di riserva (Cass. nn. 14473/011; 20830/016; 1357/017).

8. In conclusione la sentenza deve essere cassata con rinvio in relazione ai motivi accolti, rimettendosi al giudice del rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso principale; rigetta il primo e dichiara inammissibile il quinto motivo del ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa e rinvia, in relazione ai motivi accolti, alla Corte d’appello di Messina, altra sezione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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