Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27365 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14973-2012 proposto da:

SURE SKINS DI D.I. SNC, ((OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 33, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE VESCUSO, rappresentata e difesa dall’avvocato ERMANNO DI

NUZZO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

SOUTH AFRICAN WOOL HIDE & SKIN LTD, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato CARMINE

VERTICCHIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARLA GIUSEPPINA ZAMBONIN in virtù di procura a margine del

controricorso;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1284/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Ermanno Di Nuzzo per la ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ALBERTO CELESTE che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 dicembre 1997 la Sure Skins s.n.c. (oggi Sure Skins S.r.l.) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino la South African Wool, Hide & Skin (Exports) società con sede nella Repubblica Sudafricana, deducendo che nel mese di luglio del 1997 aveva da quella acquistato “contro documenti”, cioè previo pagamento a mezzo del Banco di Napoli, n. 4450.5 dozzine di pelli piclate di quarta scelta onde ottenere una nappa per abbigliamento di alta qualità per il prezzo complessivo di USD 793.024.65, quindi per 190 a dozzina. Il pellame, giunto in conceria a fine (OMISSIS), dopo “la prima lavorazione (concia)” aveva evidenzialo “gravissimi ed estesi difetti che sconsigliavano di passare alle fasi successive, al che era seguita una convulsa fase di trattative tra l’acquirente, il venditore e il suo rappresentante in Italia, conclusa il 2 ottobre 1997 con l’impegno della venditrice, poi non onorato, di recarsi in (OMISSIS) per definire la questione; nel frattempo erano arrivati nel porto di (OMISSIS) quattro contenitori di pelli che la conceria pensava di ricevere in sostituzione di quelle contestate, ma delle quali la venditrice aveva reclamato il nuovo pagamento. Il perito dell’acquirente aveva affermato che le pelli in contestazione erano scarti di precedenti scelte e che il loro valore di mercato poteva essere di 40/70 a dozzina. Quindi la società attrice aveva ottenuto dal Presidente del Tribunale adito il sequestro conservativo di altra merce della venditrice presente in Italia, misura eseguita su due contenitori e 80 fusti di pelli in sosta presso il porto di Napoli.

Pertanto, lamentati i gravi pregiudizi conseguenti alle mancate consegne ai compratori di nappa verso i quali si era impegnata, il mancato guadagno, il totale immobilizzo di un cospicuo capitale per un periodo di tempo che non si prevede(va) breve, chiedeva: a) convalidarsi il predetto sequestro; b) dichiararsi la risoluzione del contratto di compravendita delle pelli con la condanna della venditrice alla immediata restituzione del prezzo pagato, con rivalutazione ed interessi dal luglio 1997, data dell’acquisto, all’effettivo pagamento; c) condannare l’intimata al pagamento di tutti i danni, sia per il mancato guadagno, sia per lo sdoganamento ed il trasporto delle pelli in conceria, sia per lo stoccaggio delle pelli in conceria e presso un deposito dove la merce sarebbe stata trasferita per liberare spazi utili, sia per ogni altro titolo e causale; d) condannare la ditta venditrice, al pagamento di eventuali danni che l’istante fosse costretta a pagare per le mancate consegne della nappa venduta.

La convenuta, nel costituirsi, ha argomentato che: nel mese di dicembre 1996 aveva venduto all’istante un primo gruppo di cinque containers di pelli ovine piclate al prezzo complessivo di USD 881.138,5, ispezionate dall’acquirente in Sud Africa nello stesso mese, pelli spedite via mare e, infine, giunte al porto di (OMISSIS) tra i mesi di (OMISSIS); le pelli erano rimaste ivi giacenti, tutta l’estate e precisamente fino alla fine di (OMISSIS) per fatto imputabile alla stessa attrice che senza motivo non le aveva ritirate.

Quindi le parti concludevano un accordo transattivo in base al quale la convenuta avrebbe emesso una nota di credito di USD 104.713,85, e la Sure Skins avrebbe pagato immediatamente le fatture nn. 8204 e 8212 (quest’ultima estranea alla vicenda) e subito dopo le nn. 8191, 8213, 8221, previa deduzione del predetto importo di USD 104.713,85 dall’ultima delle fatture (la n. 8221). Avvenuto il pagamento, in data 2 ottobre 1997, la società attrice ordinava alla convenuta altri quattro containers di pelli (che poi giungevano in Italia) il cui prezzo complessivo era di USD 851.725, ma per la prima volta con missive del 10 ottobre e del 19 novembre 1997, la Sure Skins aveva lamentato dei vizi apparenti delle pelli di cui ai primi contenitori ritirate il 25.26/9/1997.

Quindi l’attrice aveva eseguito il sequestro conservativo di parte delle pelli di cui al secondo contratto.

detta della resistente quindi non vi era prova nè dell’esistenza degli asseriti danni sulle pelli nè della loro reclamabilità, in quanto i vizi eventualmente esistenti etano imputabili ad essa attrice che colpevolmente ne aveva ritardato il ritiro, senza provvedere ad una tempestiva denuncia.

In via riconvenzionale chiedeva i danni conseguenti alla inadempienza della Sure Skins, che non aveva ritirato il secondo gruppo di 4 containers sia i danni conseguenti al sequestro, del quale chiedeva la revoca, previa liberazione della fideiussione prestata in sostituzione della merce, con la condanna altresì al risarcimento dei danni conseguenti alla indisponibilità della somma di USD 776.424,16 (prezzo dei containers del primo gruppo), ovvero in via subordinata al pagamento della somma di USD 104.713,85.

Chiedeva altresì dichiarare risolto per esclusivo fatto e colpa dell’attrice il contratto di cui alla fattura n. 8276 dal 2/10/1997, con la condanna al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 471/08, rigettava le domande dell’attrice Sure Skins s.n.c.; revocava il sequestro conservativo disposto con decreto del presidente del tribunale del 20 novembre 1997 e modificato con ordinanza del collegio del 20 gennaio) 1998; rigettava le riconvenzionali della società South African Wool, Hide & Skins (Exporters); condannava l’attrice al pagamento in favore della convenuta del costo sostenuto per la garanzia fideiussoria prestata il 22 aprile 1998 e delle spese processuali.

Avverso tale pronuncia, con atto ritualmente notificato, la Sure Skins s.r.l. proponeva appello, lamentando: “Erronea valutazione delle circostanze di fatto dedotte in giudizio… Erronea ed illogica applicazione in sentenza delle norme riferibili al caso di specie… Illegittimità della generica condanna alle spese sostenute per la garanzia fideiussoria prestata dalla Banca Commerciale Italiana… ed al pagamento delle spese del giudizio…”, concludendo per l’accoglimento del gravame, ed affinchè, previa riforma della decisione gravata, fossero accolte tutte le domande così come proposte in primo grado.

Si costituiva la società appellata che insisteva per il rigetto dell’impugnazione ed in via incidentale chiedeva accertare che l’accordo del 13/5/1997 intervenuto tra la Sure Skins e la South African Wool, Hide & Skins (Exports) e provato attraverso i documenti prodotti costituiva una transazione con tutti i conseguenti effetti al fini della reiezione della domanda della Sure Skins; in via di subordine e per il caso in cui si ritenesse che l’accordo in esame non costituisca transazione: A) condannare l’appellante al risarcimento dei danni conseguenti alla indisponibilità delle somme dovute per il pagamento della merce dei primi containers; B) condannare, in subordine rispetto al punto A, l’attrice al pagamento della somma di USD 104.713,85 oltre rivalutazione ed interessi dal 13/4/1997 al saldo; C) condannare la Sure Skins al risarcimento dei danni derivanti dalla risoluzione, per esclusivo suo fatto e colpa, del contratto di vendita n. 226 di cui alla fattura n. (OMISSIS).

La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 1284/2012 del 5 aprile 2012, rigettava l’appello principale ed incidentale confermando le spese del grado.

Quanto all’appello principale, ed in punto di fatto, rilevava che tra novembre e dicembre 1996 le parti in causa, per il tramite dell’Agente (OMISSIS). conclusero un contratto di vendita (pelli di 4 scelta) concordando sia la qualità che il prezzo (tant’è che una responsabile della società acquirente si recò in Sud Africa presso la venditrice per effettuare l’ispezione, come da nota della menzionata società genovese inviata alla Sure Skin).

Osservava che le società, nel maggio 1997, concordarono un prezzo inferiore a quello originariamente pattuito, cosi raggiungendo un accordo per una effettiva riduzione globale del prezzo delle pelli.

Quindi trattandosi di vendita contro documenti, spettava alla società acquirente ritirare le pelli alla data del pagamento dei documenti rappresentativi delle stesse.

Pertanto, se è vero che la merce venne pagata dalla compratrice tra il maggio e l’agosto del 1997, il ritiro sarebbe dovuto avvenire subito dopo il pagamento e non nel settembre (e precisamente il 26.9.1997, epoca cui risale la denunzia dei vizi).

Dunque, il termine per la denunzia era iniziato a decorrere dalla data della disponibilità della merce, ossia dalla data in cui le pelli potevano essere effettivamente ritirate.

Quindi, la contestazione dei vizi non è stata tempestiva, perchè effettuata oltre il termine prescritto dall’effettuato pagamento ovvero dalla disponibilità dei documenti rappresentativi.

Secondo la Corte distrettuale le pelli, giunte al deposito di Napoli, sono entrate immediatamente nell’esclusiva disponibilità della Sure Skins, per cui se la stessa non ha ritirato la merce, non poteva imputare alcuna omissione o responsabilità alla venditrice, non potendo darsi seguito alle richieste istruttorie avanzate dall’appellante nell’atto di gravame.

Quanto ai denunciati vizi, riteneva che gli stessi erano apparenti, ossia visibili ad una semplice estrazione delle pelli dal loro contenitore, come correttamente sancito dal Tribunale, tenuto conto anche delle risultanze della CTU.

Per l’effetto la domanda di risoluzione formulata dall’attrice doveva essere respinta, avendo il giudice di prime cure fatto una corretta applicazione della disciplina della compravendita internazionale, in base alla quale, dal momento della consegna al compratore dei documenti rappresentativi delle merci, le merci entrano nella esclusiva disponibilità dell’acquirente.

In ogni caso dei vizi non era stato fornito alcun oggettivo elemento di prova.

Del pari meritava conferma la condanna dell’attrice ex art. 96 c.p.c. al pagamento delle spese sostenute per la conservazione della garanzia fideiussoria.

Rilevava altresì che le istanze istruttorie dell’appellante (vertenti sulle modalità di consegna delle pelli e della conseguente difficoltà d’ispezione nei magazzini) erano inammissibili perchè articolate per la prima volta in appello.

Facendo richiamo ai principi generali dettati in terna di appello e, quindi, dei suoi effetti devolutivi, reputava di non poter esaminare la questione circa l’applicabilità al caso di specie della Convenzione di Vienna del 1980 in tema di vendita di cose mobili (questione proposta dalla Sure Skins per la prima volta in appello e soltanto in sede di precisazione delle conclusioni).

In merito all’appello incidentale, riteneva che la scrittura del maggio 1997 non era una transazione, ma una semplice rinegoziazione del prezzo.

Quanto alla richiesta risarcitoria conseguente alla risoluzione del contratto di compravendita concluso tra le medesime parti nell’ottobre 1997, relativo alle pelli oggetto del sequestro, riteneva l’appello incidentale privo di pregio giuridico, in quanto è stato prospettato dalla medesima società un asserito deprezzamento della merce, ma senza supportare tale richiesta con adeguati ed oggettivi elementi di prova documentali, nè potendo le carenze di prova essere superate mediante l’espletamento della Cf U.

Quanto alla contestazione circa il costo sostenuto dalla convenuta per la garanzia fideiussoria, riteneva la decisione del Tribunale immune di vizi logici-normativi, in quanto determinata secondo gli oggettivi parametri scaturenti dalle risultanze documentali

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto la Sure Skins S.r.l. sulla base di quattro motivi.

La società appellata ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta l’erronea individuazione del diritto sostanziale applicabile alla fattispecie.

Assume la ricorrente che alla vicenda debbano trovare applicazione le previsioni di cui alla Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionali, ratificata in Italia con la L. 11 dicembre 1985, n. 763, laddove al contrario il giudice di merito ha ritenuto applicabili le norme nazionali in tema di compravendita.

Deporrebbero a favore dell’applicazione della detta Convenzione la circostanza che si tratta di un contratto di compravendita internazionale, effettuata da un soggetto avente sede all’estero nei confronti di un soggetto italiano, sicchè la Convenzione, come disciplina di diritto materiale uniforme è destinata a trovare immediata applicazione, anche senza una specifica richiesta delle parti, attesa la specialità delle previsioni della Convenzione.

Peraltro la stessa ricorrente aveva sollecitato il giudice di appello a far ricorso alla Convenzione di Vienna, ma erroneamente la richiesta è stata disattesa assumendosi che la questione era stata proposta per la prima volta solo in appello ed in sede di precisazione delle conclusioni (laddove a contrario al questione era stata dedotta già nella memoria dell’appellante in replica alla comparsa di risposta dell’appellata).

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme specifiche regolanti il contratto di compravendita internazionale, in luogo delle norme di diritto civile interno.

Ed, infatti, una volta imposta l’applicazione delle previsioni di cui alla citata Convenzione di Vienna, quest’ultima offre un’autonoma disciplina per quanto attiene alla individuazione delle ipotesi di inadempimento del venditore cd i requisiti per valutare la gravità dello stesso, adottando la nozione di non conformità al contratto. Alla luce di tali previsioni sarebbe evidente che le pelli consegnate non soddisfano i requisiti necessari per la puntuale attuazione degli obblighi contrattuali, essendo del tutto inidonee all’uso richiesto dall’acquirente, uso che peraltro era noto al venditore.

Ancora la disciplina della Convenzione differisce da quella nazionale per quanto attiene alle modalità di denunzia dei vizi, atteso che l’art. 39 prevede che debba avvenire, non già nel ristretto termine di Otto giorni, di cui al codice civile, ma entro un tempo ragionevole, che deve essere determinato caso per caso, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie concreta, che nel caso in esame inducevano a ritenere che la denunzia effettuata dalla ricorrente fosse comunque avvenuta in un termine congruo.

Inoltre gli artt. 40 e 44 prevedono che laddove il venditore sia a conoscenza del difetto di conformità della merce ovvero se la tardività della denunzia abbia una ragionevole giustificazione, sia possibile far valere il difetto di conformità anche in mancanza di un’adeguata rinuncia.

Con il terzo motivo, ed in via subordinata, si deduce la violazione delle norme regolanti il contratto, anche in relazione alla disciplina nazionale.

In primo luogo in quanto il vizio riscontrato andrebbe qualificato come occulto, ed in secondo luogo in quanto si tratterebbe di un’ipotesi di mancanza delle qualità essenziali.

In ogni caso la denunzia era stata effettuata immediatamente e tempestivamente, così come emergeva dalle risultanze della prova testimoniale, anche in considerazione delle difficoltà di riscontrare il vizio della merce interessata da un contratto avente ad oggetto cosa da trasportare.

Peraltro la denunzia si palesava come superflua dovendosi reputare che i vizi fossero stati riconosciuti da parte della venditrice.

Il quarto motivo di ricorso denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione nella parte in cui ha ravvisato l’intempestività della denunzia dei vizi.

A tal riguardo non era stato considerato che le pelli ispezionate in Sud Africa non erano le medesime poi pervenute in Italia, che non poteva reputarsi che la riduzione del prezzo fosse conseguenza di una consapevolezza della mediocre qualità delle pelli, e che non era dimostrato che l’acquirente avesse la disponibilità della merce, al fine di verificare l’esistenza dei vizi alla data della consegna dei documenti.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale (che contrariamente a quanto dedotto in udienza dal difensore della ricorrente principale, risulta essere stato notificato presso il domiciliatario indicato dalla stessa società ricorrente, avv. Giuseppe Vescuso in data 16 luglio 2012) la South African Wool, Elide & Skin deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 345 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione della decisione gravata nella parte in cui, pur dichiarando risolto il contratto di compravendita dell'(OMISSIS) (le cui merci erano state interessate dal sequestro), non aveva accordato anche il risarcimento del danno.

A tal fine evidenzia che erano stati prodotti i documenti che permettevano di verificare che le pelli oggetto del sequestro erano state successivamente rivendute ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello concordato con la società attrice e che a tal fine erano stati articolati nelle memorie di cui all’art. 184 c.p.c. anche dei capitoli di prova testimoniale, i quali, non essendo stati ammessi dal Tribunale, erano stati reiterati in grado di appello, posto che il mancato accoglimento della domanda risarcitoria de qua aveva costituito oggetto di appello incidentale.

L’affermazione con la quale la Corte d’Appello aveva confermato il rigetto della domanda de qua, per l’assenza di prova, oltre a violare l’art. 112 c.p.c., omettendo di dare seguito alla richiesta di prova testimoniale, trascurava di considerare il tenore dei capitoli di prova che corroboravano il contenuto delle prove documentali già in atti. La decisione inoltre viola le previsioni di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., laddove omette di dare adeguato rilievo alle fatture versate in atti, senza fornire qualsivoglia valutazione delle risultanze probatorie.

Il secondo motivo di ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 96 c.p.p., comma 2, nonchè il difetto di motivazione della sentenza nella parte in cui, pur accogliendo la domanda di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata della società attrice, danni determinati in misura pari alle somme spese per l’accensione della garanzia fideiussoria necessaria per assicurare la liberazione dal sequestro delle merci oggetto del secondo contratto di compravendita, aveva condiviso la stima del Tribunale che si fondava su documenti risalenti alla data della stipula della fideiussione.

Con l’atto di appello incidentale si era però precisato che la fideiussione aveva conservato efficacia per numerosi anni, ma la Corte distrettuale, in violazione dell’art. 115 c.p.c., ha condiviso la valutazione del giudice di prime cure, senza individuare quale fosse la fonte documentale del proprio convincimento.

3. I primi due motivi del ricorso principale devono essere congiuntamente esaminati, in quanto mirano nel loro insieme a contestare la correttezza della decisione gravata per avere fatto applicazione di una disciplina diversa da quella che invece si imponeva, assumendosi, in particolare con il secondo motivo, che il ricorso alla disciplina codicistica, aveva determinato delle conseguenze assolutamente in contrasto con quelle che dovevano trarsi invece dall’applicazione delle norme di diritto materiale uniforme di cui alla Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, recepita in Italia con la Legge 11 dicembre 1985, n. 765.

Emerge, invero, dalla stessa lettura della pronuncia di appello che la questione relativa alla corretta individuazione della disciplina normativa applicabile è stata sollevata anche in sede di merito, ma che la questione è stata ritenuta preclusa, in ragione della natura devolutivi del giudizio di appello, posto che la problematica era stata dedotta solo in sede di precisazione delle conclusioni.

Siffatta argomentazione, che contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, deve reputarsi, quanto meno implicitamente, interessata in chiave critica dalla proposizione dei motivi di ricorso in esame, non appare condivisibile, dovendosi correttamente ritenere che la puntuale individuazione della legge applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio sfugga a qualsiasi preclusione, trattandosi di un dovere officioso del giudice sottratto a qualsivoglia dovendosi altrettanto correttamente ritenere che la deduzione della parte con la quale si evidenzi l’erronea individuazione della norma applicabile sia in realtà non una eccezione, quanto piuttosto una sollecitazione al giudice ad avvalersi del dovere di fare applicazione della norma effettivamente destinata a regolare il caso di specie, in attuazione del principio iura novit curia.

In tal senso, questa Corte con precipuo riferimento all’applicazione della legge straniera al rapporto dedotto in giudizio (situazione alla quale può essere assimilata quella in esame, in cui si invoca l’applicazione, per effetto delle norme di diritto internazionale privato, di norme materiali uniformi) ha affermato che (cfr. Cass. n. 11751/2014) il giudice italiano è tenuto, in ipotesi di carattere plurilegislativo dell’ordinamento dello Stato straniero, a ricercare d’ufficio le norme dell’ordinamento straniero applicabili e le stesse clausole di quell’ordinamento idonee ad individuare il sottosistema territoriale o personale a cui si riferisce la fattispecie, dovendosi reputare che (cfr. Cass. n. 10459/2007) di fronte alla conoscenza della norma straniera il giudice italiano si pone nella stessa posizione che assume nei confronti della normativa italiana, trovando applicazione l’art. 113 c.p.c., che attribuisce in via esclusiva al giudice il potere di individuare le norme applicabili alla fattispecie, ricorrendo a qualsiasi canale di informazione ed utilizzando anche le sue conoscenze personali o la collaborazione delle parti (conf. ex multis Cass. n. 14777/2009).

Ne discende altresì che (così Cass. n. 21712/2015) sia ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge anche laddove si deduca la scorretta applicazione della legge straniera applicabile al rapporto controverso.

3.1 E’ indubbio che nel caso in esame si controverta di un contratto di vendita internazionale, essendo pacifica la diversa ubicazione statale delle sedi d’affari delle parti contraenti, sicchè si palesa con evidenza la potenziale applicabilità delle previsioni di cui alla L. 11 dicembre 1985, n. 765 di ratifica ed esecuzione della convezione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionale di merci, adottata a Vienna l’11 aprile 1980.

L’art. 1 della Convenzione in particolare dispone che la stessa si applica ai contratti di vendita delle merci fra parti aventi la loro sede di affari in Stati diversi:

a) quando questi Stati sono Stati contraenti;

b) quando le norme di diritto internazionale privato rimandano all’applicazione della legge di uno Stato contraente.

Peraltro in assenza di una manifestazione di volontà delle parti coeva alla conclusione del contratto idonea ad escludere l’applicazione della Convenzione ex art. 6 della stessa, e non potendosi attribuire tale valenza alla condotta tenuta dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, nel quale pacificamente non si è mai posta la questione concernente l’individuazione della legge applicabile, mancando una consapevolezza circa gli effetti derogatori del comportamento, è indubbio che la soluzione della vicenda non possa prescindere dalle previsioni di tale convenzione.

Tuttavia, come segnalato da parte controricorrente, risulta nella fattispecie carente il requisito di cui all’art. 1, lett. A) riportato, atteso che la Repubblica del Sud Africa non risulta tra gli stati contraenti o aderenti, sicchè la concreta possibilità di invocare la disposizioni invocate dalla ricorrente, è subordinata alla verifica delle condizioni di cui alla lett. b), riscontrando cioè se, in base appunto alle norme di diritto internazionale privato, sia invocatile la legge sostanziale italiana, le cui previsioni, per effetto della norma citata, sono automaticamente sostituite dalle norme di diritto materiale uniforme di cui alla convenzione di Vienna.

3.2 Ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, l’art. 57, dettato per le obbligazioni contrattuali, si prevede che le stesse siano in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la L. 18 dicembre 1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili.

Ai sensi della Convenzione di Roma, e precisamente dell’art. 3, il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti, ma laddove manchi, come nel caso in esame tale scelta, ai sensi dell’art. 4, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto, presumendosi che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale.

Alla luce di tali premesse, e ribadito che non è in alcun modo in contestazione la giurisdizione del giudice italiano, ai soli fini dell’individuazione della legge applicabile, ritiene il Collegio di dovere alla tesi secondo cui, in caso in caso di compravendita, la prestazione caratteristica, sulla scorta della quale individuare il paese con il quale il contratto presenti il collegamento più stretto, debba essere identificata con quella del venditore (in tal senso si veda, sebbene in prevalenza al diverso fine di individuare la giurisdizione sula controversia, ma con considerazioni che appaiono comunque rilevanti al diverso fine, qui in esame, dell’individuazione della legge applicabile Cass. n. 3802/2016 che stabilisce che la prestazione caratteristica è quella del venditore, anche nel caso in cui si tratti di merci da trasportare; Cass. S.U. n. 10223/2006, secondo cui nei contratti di distribuzione commerciale, la prestazione caratteristica va identificata, per il suo carattere specifico, nella fornitura della merce; conf. Cass. S.U. n. 7860/2011, Cass. S.U. n. 21191/2009).

Ne consegue che, se da un lato deve escludersi la possibilità che la fattispecie sia regolata dalla Convenzione di Vienna, attesa la inapplicabilità in base alle norme di diritto internazionale privato, della legge italiana, d’altro canto, proprio facendo riferimento alle dette norme, la cui applicazione è necessariamente posta in discussione per effetto della formulazione dei motivi di ricorso, e della denunzia sostanziale di una erronea applicazione della legge nazionale, proprio in virtù del principio iura novit curia, destinato ad operare anche in relazione alla legge straniera eventualmente destinata a regolare la fattispecie sottoposta al giudice, deve pervenirsi comunque alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto decisa sulla scorta della legislazione sostanziale italiana, anzichè, come invece imposto dal combinato disposto delle norme sopra riportate, dalla legge nazionale sudafricana.

Non ignora il Collegio come in passato si sia affermato che la parte che chiedeva l’applicazione della legge straniera fosse anche onerata di indicarla, producendo la documentazione relativa, di modo che in assenza di tale allegazione, il giudice era tenuto ad applicare le leggi italiane, ma trattasi di soluzione maturata in relazione alla disciplina anteriore alla novella di cui alla legge n. 218 del 1995, ed in particolare all’introduzione dell’art. 14 il quale ha sostanzialmente accomunato la legge straniera a quella nazionale, quanto all’onere di conoscenza in capo al giudice, individuando anche gli strumenti dei quali questi possa avvalersi per la concreta ricognizione della disciplina estera applicabile (in tal senso si veda Cass. n. 8212/2013, che pone appunto la distinzione cronologica tra giudizi iniziati anteriormente alla entrata in vigore della L. 31 maggio 1995, n. 218, per i quali non si applica, in virtù dell’art. 72, il principio stabilito dall’art. 14 della citata Legge, e quelli invece insorti in epoca successiva; coni. Cass. n. 16630/2010).

Laddove invece la fattispecie sia interamente regolata dal citato art. 14, è compito del giudice accertare il contenuto della normativa straniera applicabile al caso, col ricorso a qualsiasi mezzo, anche informale, valorizzando il ruolo attivo delle parti come strumento utile per la relativa acquisizione (Cass. n. 14777/2009; Cass. n. 13087/2009 che precisa che l’onere della parte è soddisfatto con l’allegazione degli elementi di fatto che individuano i criteri di collegamento per l’applicabilità di una determinata legge straniera).

Poichè dunque, in base alla L. 31 maggio 1995 n. 218, art. 14, rispetto alla conoscenza della legge straniera richiamata da una norma di diritto internazionale privato il giudice italiano è nella stessa posizione che assume nei confronti della normativa italiana ed ha il potere di accertare tale legge d’ufficio e di assicurarne l’applicazione (Cass. n. 2791/2001), ed avendo la ricorrente con la formulazione dei primi due motivi allegato gli elementi di fatto dai quali ricavare quali fossero i criteri di collegamento (a loro volta norme di diritto la cui applicazione è doverosa da parte del giudice) che portavano alla individuazione della legge nazionale del Sud Africa quale legge regolatrice del rapporto contrattuale oggetto di causa, si palesa in ogni caso la necessità di pervenire alla cassazione della gravata pronunzia, in quanto frutto dell’applicazione della legge sostanziale italiana che invece non poteva essere invocata.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, dovendo il giudice del rinvio provvedere ad una nuova valutazione e decisione dei fatti di causa attenendosi in particolare alla disciplina di cui alla legge sostanziale della Repubblica del Sud Africa, avvalendosi a tal fine di quanto previsto dalla L. n. 218 del 1995, art. 14.

L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale determina poi, come prospettato dalla stessa ricorrente, l’assorbimento degli altri due motivi di ricorso principale, formulati evidentemente in maniera subordinata al mancato accoglimento dei motivi attinenti alla corretta individuazione della legge applicabile al rapporto.

Del pari assorbiti devono reputarsi i motivi di ricorso incidentale, posto che la valutazione circa la risolubilità per inadempimento della compratrice anche del secondo contatto di compravendita presuppone evidentemente già decisa, ed in senso sfavorevole a quest’ultima, la valutazione circa la non risolubilità per inadempimento della venditrice del primo contratto.

Analogamente, pregiudicata dalla decisione circa la sorte del primo contratto è la questione concernente la responsabilità processuale aggravata della ricorrente ed il pregiudizio scaturente dall’avere dovuto fare fronte ai costi per la fideiussione bancaria necessaria per assicurare la liberazione delle merci in sequestro.

Il giudice del rinvio che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, e previo assorbimento degli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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