Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27364 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14271-2012 proposto da:

D.L.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA F. PAULUCCI DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

FRATTALI CLEMENTI, che lo rappresenta e difende giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

I.S., A.C., elettivamente domiciliati in ROMA

VIALE LIEGI 34, presso lo studio dell’avvocato MICHELE DELLA BELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONELLO D’ALOISIO giusta

procura in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

e contro

D.L.C., C.G., C.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 426/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Federico Pernazza per il ricorrente principale e

l’Avvocato Antonello D’Aloisio per i ricorrenti incidentali;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTI ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale ed incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dell’8 marzo 1990 D.L.V. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti A.C. e I.S., affinchè fosse dichiarata la nullità dell’atto di compravendita del (OMISSIS) in quanto posto in essere per un fine illecito ed in danno dell’attore, e comunque per la mancata titolarità del bene in capo alla venditrice, con la conseguente condanna al rilascio ed al pagamento dell’indennità di occupazione.

Deduceva che l’appartamento oggetto di causa, sito in (OMISSIS), era di proprietà del genitore D.L.G., deceduto in data (OMISSIS), il quale con testamento dell’11 marzo 1968 aveva istituito i figli quali credi universali, onerandoli di un legato in favore del coniuge superstite, R.B., relativamente all’appartamento de quo, oltre ad un appezzamento di terreno.

La R. con atto del 30 agosto 1972 aveva però rinunziato al legato, ma in data 30 settembre 1973 aveva successivamente dichiarato di revocare la rinuncia, assumendo che gli eredi ancora non avevano provveduto ad accettare l’eredità.

Il D.L. quindi con citazione del 18 dicembre 1974 aveva convenuto in giudizio la madre dinanzi allo stesso Tribunale che con sentenza n. 63 del 25 febbraio 1977 aveva dichiarato la nullità dell’atto di revoca e la rinuncia al legato.

“tuttavia medio tempore la genitrice, con l’atto oggetto di impugnazione, pur dando atto della circostanza che l’immobile era stato oggetto di un legato interessato da una rinuncia successivamente revocata, lo aveva alienato all’ A., il quale versava a sua volta in mala fede, essendo stata l’accettazione dell’eredità trascritta in data anteriore alla revoca della rinuncia ed all’atto di compravendita.

Si costituivano i convenuti che eccepivano la litispendenza con altro giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Roma, mentre nel merito deducevano che trattavasi di una compravendita di bene altrui e che, a seguito della morte della R., l’obbligazione di procurare l’acquisto della proprietà del bene si era trasmessa in capo anche all’attore, quale erede della madre.

Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle sorelle del D.L., con sentenza non definitiva n. 1107/2005 veniva dichiarata la nullità della compravendita, con la condanna dell’attore al rimborso in favore dei convenuti del prezzo pagato, delle spese e dei pagamenti fatti per il contratto, oltre alla differenza tra il valore del bene al momento del contratto ed il valore raggiunto alla data dell’evizione, disponendosi a tal fine la rimessione della causa in istruttoria per l’espletamento della CTU.

All’esito delle operazioni peritali, con sentenza definitiva n. 948/07, determinata alla data dell’ottobre 1997 l’epoca dell’evizione, l’importo dovuto in favore dei convenuti da parte degli credi D.L. era fissato nell’ammontare di Euro 53.415,59.

Avverso tale sentenza proponeva appello il D.L. e si costituivano i coniugi I.- A. proponendo a loro volta appello incidentale.

Con sentenza n. 426 del 17 maggio 2011, la Corte d’Appello di L’Aquila dichiarava l’inefficacia della compravendita, condannando gli appellati al rilascio del bene in favore degli eredi di D.L.G., confermando la condanna di D.L.V., D.L.C. e C.G. e C.L., tutti quali eredi di R.B. al risarcimento del danno così come quantificato dal giudice di prime cure, rigettando per il resto l’appello incidentale.

Osservava in primo luogo che il contratto per cui è causa non poteva essere ritenuto affetto da nullità, bensì da inefficacia, trattandosi di un’ipotesi di alienazione a non domino.

Tuttavia non poteva trovare accoglimento l’appello incidentale degli acquirenti i quali invocavano l’acquisto della proprietà in virtù della previsione di cui all’art. 1478 c.c., comma 2, per effetto della successione mortis causa dei figli della venditrice.

Infatti, sebbene la norma invocata sia destinata ad operare laddove il venditore di cosa altrui, divenga, anche per effetto di vicende successorie proprietario del bene, favorendo in tal modo l’automatico acquisto della proprietà in favore degli acquirenti, la stessa non poteva trovare applicazione nel caso in oggetto, atteso che la R. non era mai stata proprietaria dell’appartamento originariamente di proprietà del marito, avendo rinunciato al legato disposto in suo favore, ed essendo inefficace la successiva revoca della rinuncia.

E pur vero che il D.L. e gli altri coeredi, erano succeduti alla madre, sicchè potrebbe sostenersi che gli stessi siano succeduti anche nell’obbligo di procurare l’acquisto del bene in favore dei compratori, ma tale soluzione non era percorribile in quanto avevano provveduto all’accettazione dell’eredità materna con beneficio di inventario.

Ciò impediva la confusione tra il patrimonio degli eredi e quello della de cuius, impedendosi quindi il prodursi della fattispecie di cui all’art. 1478 c.c., comma 2.

Passando poi alla disamina dell’appello principale, e qualificata la domanda attorca come rivendica, la sentenza impugnata deduceva che sussisteva la legittimazione passiva anche della I., la quale sebbene non fosse parte acquirente del contratto impugnato, era comunque nella detenzione del bene.

Pertanto, attesa l’inefficacia della compravendita, andava accolta la domanda di rilascio formulata da parte attrice, laddove non poteva invece trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno per l’indisponibilità del bene, in quanto non era stato allegato alcun elemento a sostegno di tale istanza, nè potendosi fare ricorso ad una liquidazione di tipo equitativo, avendo peraltro lo stesso attore fatto riferimento all’esistenza di un contratto di locazione intercorrente con i convenuti e relativo al bene oggetto di causa.

Il ricorso alla CTU aveva quindi carattere meramente esplorativo e non poteva supplire alle carenze deduttive dalla parte interessata ad ottenere il risarcimento del danno. A ciò andava aggiunto che mancava la prova della mala fede degli acquirenti in ordine alla consapevolezza dell’altruità della cosa al momento della vendita.

In merito poi alle contestazioni dell’appellante principale circa il quantum risarcitorio riconosciuto in favore dei convenuti, rilevava la sentenza che accanto al riconoscimento delle somme corrispondenti all’interesse negativo ex art. 1479 c.c., competeva anche il risarcimento del danno, essendo evidente la consapevolezza della venditrice dell’alienità del bene all’atto della compravendita, e meritando conferma la valutazione effettuata dal giudice di prime cure, sia in merito all’individuazione della data dell’evizione, sia laddove si era affermato che i convenuti erano divenuti consapevoli dell’alienità del bene una volta ricevuta la notifica dell’atto di citazione finalizzato ad ottenere l’accertamento dell’invalidità della revoca della rinunzia al legato.

Tuttavia poichè trattasi di un’obbligazione gravante sulla venditrice, e per essa, sui suoi eredi, avendo questi accettato con beneficio di inventario, la loro condanna doveva essere contenuta nei limiti dell’attivo ereditario.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.L.V. sulla base di cinque motivi.

A.C. e I.S. hanno resistito con controricorso proponendo ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Nell’imminenza dell’udienza il ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso incidentale, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza avente ad oggetto una statuizione che vedeva come parti necessarie tutti e tre i germani D.L. (e loro eredi), non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti i soggetti che hanno preso parte al precedente giudizio di merito, non essendo stato infatti indirizzato anche nei confronti di D.L.C. e di C.G. e C.L..

L’ bensì vero che nella specie si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso incidentale non è stato in precedenza notificato.

Senonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima, facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta l’erronea quantificazione del risarcimento del danno in favore dei convenuti, laddove la Corte distrettuale ha provveduto a determinarlo sulla scorta della differenza tra il valore dell’immobile al momento dell’acquisto ((OMISSIS)) e quello al momento dell’evizione ((OMISSIS)).

Si deduce che si tratta di impostazione aberrante in quanto, ove si verifichi una riduzione di valore del bene, il soggetto che ha subito l’evizione dovrebbe versare una differenza in favore del venditore.

Inoltre i convenuti hanno medio tempore goduto del bene senza affrontare alcun esborso e quindi le somme dovute a tale titolo andavano detratte dall’ammontare del danno.

Ancora l’affermazione circa la buona fede degli acquirenti, che giustificava l’accoglimento della domanda risarcitoria, mal si concilia con il tenore dell’atto di compravendita, nel quale si dava atto che la venditrice aveva in precedenza rinunziato al legato avente ad oggetto l’immobile compravenduto, salvo poi revocare la stessa rinunzia, emergendo altresì che i compratori erano stati informati dal notaio rogante dei rischi dell’acquisto.

Il secondo motivo denunzia l’erronea qualificazione della domanda risarcitoria avanzata dall’attore. Infatti, accanto alla domanda di rilascio accolta, si poneva la domanda di risarcimento danni che si fondava sul pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità del bene, che si appartiene agli eredi di D.L.G.. Una volta accertata l’inefficacia della vendita, l’occupazione da parte dell’acquirente è avvenuta sine titulo, e tale sola circostanza giustificava l’accoglimento della richiesta di danni.

Il terzo motivo lamenta la contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia, laddove la Corte distrettuale ha negato l’accesso alla CTU estimativa dei danni, trascurando che l’attore aveva sempre inteso commisurare il risarcimento al valore locativo dell’appartamento, sicchè non poteva addebitarsi alla richiesta di nomina del consulente una funzione suppletiva rispetto alle carenze deduttive del ricorrente.

Il quarto motivo di ricorso (numerato anche questo in ricorso come n. 3) denunzia l’omessa statuizione su di un punto decisivo della controversia e sempre per quanto attiene alla richiesta di nomina del CTU.

Infatti, con l’atto di appello si era denunziato che la CTU era stata ammessa dal Tribunale, ma che non era stata espletata in primo grado senza alcuna giustificata ragione, instandosi quindi per la sua esecuzione in sede di appello.

Su tale circostanza la Corte di Appello ha del tutto taciuto omettendo di considerare che si trattava di richiesta che era stata ribadita in tutto il corso del giudizio di primo grado, per essere poi reiterata anche in sede di gravame.

Il quinto motivo (numericamente riportato) sub n. 4) denunzia contraddittorietà della sentenza nella parte in cui si sostiene che per attribuire il risarcimento del danno in favore degli eredi D.L. era necessaria la prova della mala fede degli acquirenti, prova che però non sarebbe stata fornita.

A detta del ricorrente, invece, ha trascurato la circostanza che la sentenza definitiva del Tribunale (n. 948/07) aveva affermato che a far data dal momento in cui i convenuti avevano ricevuto la notifica della citazione del D.L. non potevano più essere considerati in buona fede.

Trattasi di affermazione che non è stata in alcun modo censurata in sede di appello da parte dei convenuti sicchè sulla stessa è caduto il giudicato.

3. Con un unico motivo di ricorso incidentale i coniugi I. – A. denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 490 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte distrettuale avrebbe, infatti, tratto erronee conclusioni in ordine agli effetti dell’intervenuta accettazione con beneficio di inventario da parte degli eredi della R..

Ed, invero, la conseguenza di tale modalità di accettazione è quella di escludere che i creditori ereditari ed i legatari possano aggredire i beni personali dell’erede, ma non impedisce però che le obbligazioni facenti capo al de cuius si trasmettano all’erede beneficiato.

La sentenza impugnata ha invece escluso che l’obbligo) di procurare l’acquisto del bene da parte del venditore di cosa altrui, si trasmettesse agli eredi di quest’ultimo, così che essendo egli comunque divenuto proprietario del bene oggetto oli causa, erronea sarebbe la conclusione in merito all’inapplicabilità alla fattispecie della previsione di cui all’art. 1478 c.c., comma 2.

4. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.

Ed, invero, costituisce principio consolidato quello per il quale (cfr. Cassazione civile, sez. 3, 13/05/2009, n. 11094) attesa la tassatività dei motivi di ricorso per cassazione, non è consentito alla parte omettere di precisare (in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4) sotto quale, dei tassativi motivi previsti dall’art. 360 c.p.c. il singolo motivo di ricorso è proposto.

Trattasi di affermazioni che mantengono la loro validità anche dopo l’intervento delle Sezioni Unite n. 17931 del 2013, che pur propendendo per una visione meno formalista, in ogni caso impongono che la parte, sebbene senza l’adozione di formule sacramentali o con l’esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., formuli delle censure che siano riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione.

In tal senso anche la successiva giurisprudenza ha ribadito (cfr. ex multis Cass. n. 19959/2014) che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (conf. Cass. n. 25332/2014, secondo cui le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti).

Nel caso di specie il motivo appare carente dei requisiti di specificità e tassatività prescritti dal codice di rito, risolvendosi in una generica denunzia di erroneità della decisione, senza però chiarire se ciò sia riconducibile a carenze motivazionali, a violazioni di legge sostanziale ovvero processuale, non soddisfacendo in tal modo quanto imposto dal legislatore per accedere ritualmente al giudizio di legittimità.

In ogni caso il motivo si presenta infondato.

Quanto infatti alla dedotta erroneità del criterio di calcolo seguito per liquidare il danno subito dai convenuti per l’evizione, e rappresentato dalla differenza tra il valore del bene al momento dell’acquisto e quello al momento dell’evizione, si rileva che trattasi di criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza di legittimità.

In tal senso si veda Cass. n. 14754/2007, che per un’ipotesi di evizione derivante da riscatto agrario, ha affermato che il venditore è obbligato al risarcimento totale del danno, comprensivo anche del lucro cessante che può consistere nella differenza tra valore del fondo al momento dell’acquisto ed al momento della sentenza passata in giudicato (in senso conforme Cass. n. 2369/1988 ed ancor prima Cass. n. 2134/1963).

Quanto alla pretesa del ricorrente di decurtare dalle somme dovute a titolo di risarcimento danni in favore dei convenuti il corrispettivo per il godimento dell’immobile, vale osservare che tale corrispettivo costituisce in realtà una posta risarcitoria che era stata richiesta dal D.L., nella diversa qualità di erede del padre, e che è stata espressamente rigettata dalla sentenza gravata (rigetto che costituisce oggetto dei successivi motivi di ricorso principale).

Tuttavia, mentre l’obbligazione risarcitoria vantata dai convenuti vede quale debitore il D.L., quale erede della madre, il credito risarcitorio derivante dalla pretesa illegittima occupazione del bene, vedrebbe come creditore sempre il D.L., ma quale erede del padre, e come tale subentrato nella proprietà del bene occupato.

L’avvenuta accettazione con beneficio di inventario rende però autonome le due diverse posizioni, sicchè viene a mancare anche la condizione di reciprocità delle ragioni di debito e di credito che possano giustificare l’invocata compensazione.

Infine quanto alla pretesa mala fede degli acquirenti, che si ricaverebbe dal tenore stesso delle previsioni contrattuali, il motivo evidentemente privo del requisito dell’autosufficienza in quanto si richiama il contenuto dell’atto di rinuncia al legato da parte della R., senza però trascriverne compiutamente il contenuto, mentre per altra parte si fonda su una valutazione del tutto ipotetica, assumendosi che ragionevolmente (senza però che ve ne sia prova) il notaio rogante avrebbe informato l’acquirente del rischio della compravendita.

5. Evidentemente infondato si palesa poi il secondo motivo di ricorso, che per evidenti ragioni logiche può essere esaminato congiuntamente al terzo motivo.

Ed, infatti, pur denunziandosi in sostanza un’erronea interpretazione della domanda risarcitoria proposta (interpretazione censurabile unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale, così da ultimo Cass. n. 1545/2016), i motivi non risultano avere colto l’effettivo contenuto della decisione.

Ed, infatti, la sentenza gravata, pur avendo correttamente riscontrato che la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti dei convenuti si fondava sulla pretesa occupazione sine titulo del bene da parte degli stessi, ha però disatteso la stessa assumendo, da un lato, che non fosse stata offerta alcuna prova della sua concreta esistenza, non potendosi supplire a tali carenze con una valutazione di tipo equitativo, e dall’altro, osservando che la stessa difesa dell’attore nei propri scritti difensivi (atto di citazione in primo grado ed atto di appello) aveva fatto cenno all’esistenza di un rapporto di locazione con i convenuti, ed ad una richiesta di canoni arretrati (ritenendo pertanto che ove fosse risultata sussistente tale ragione di credito, risulterebbe esclusa la possibilità di invocare un risarcimento per un’occupazione sine titulo). Il secondo motivo non risulta idoneo ad inficiare le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, mancando peraltro qualsivoglia critica alla ratio fondata sulla incertezza del diritto al risarcimento del danno in conseguenza della esistenza di un contratto di locazione (circostanza dedotta dallo stesso attore).

L’inidoneità delle censure del ricorrente a confutare l’affermazione del giudice di merito circa la mancata prova dell’an del danno richiesto, rende evidente anche l’infondatezza del terzo motivo con il quale si insiste per la nomina del CTU al fine di quantificare l’ammontare del danno sulla base del criterio del valore locativo del bene, posto che trattasi di indagine destinata ad operare ai fini del quantum, che appare però logicamente pregiudicata dalla assenza di prova dell’ari della pretesa.

6. Le considerazioni che precedono danno altresì contezza dell’infondatezza del quarto motivo di ricorso, che apparentemente sembrerebbe denunziare un’omessa disamina da parte del giudice di appello della richiesta, che si assume costantemente reiterata nel corso dei gradi di merito, di disporre una CTU estimativa dei danni.

A tal fine, ed in risposta alla censura di omessa valutazione della richiesta, deve osservarsi che in realtà la Corte distrettuale si è compiutamente espressa circa la necessità o meno di dare seguito alla richiesta di nomina del consulente tecnico, osservando per l’appunto che non poteva essere accolta, in quanto, in assenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio da parte dell’attore, la consulenza avrebbe assunto una funzione evidentemente suppletiva rispetto alle carenze deduttive e probatorie della parte.

In ogni caso, dovendosi, per quanto esposto, confermare la correttezza della decisione nella parte in cui ha escluso che fosse stata fornita la prova dell’an, appare evidente l’affermata superfluità dell’espletamento della consulenza in esame.

7. Infine deve essere disatteso anche il quinto motivo (riportato come n. 4 in ricorso), posto che, fondandosi il rigetto della richiesta risarcitoria in esame sulla duplice affermazione dell’assenza di prova dell’an e sulla mancanza di prova della mala fede dell’acquirente, una volta disattesi i motivi rivolti a contestare la correttezza dell’affermazione in ordine alla esistenza della prova del danno, il motivo con il quale si contesta anche la dedotta insussistenza della mala fede diviene inammissibile, per evidente carenza di interesse, posto che, quand’anche risultasse fondato, in ogni caso il suo accoglimento non consentirebbe di pervenire all’accoglimento della domanda risarcitoria.

8. Infine, e passando alla disamina del motivo di ricorso incidentale, deve del pari affermarsene l’infondatezza.

La tesi dei ricorrenti incidentali mira a conseguire il risultato dell’applicazione alla fattispecie della previsione di cui all’art. 1478 c.c., comma 2, che, per l’ipotesi di vendita di cosa altrui, prevede che il compratore divenga proprietario della cosa alienata, qualora il venditore ne acquisti la proprietà.

Si deduce che il ricorrente (nonchè le sorelle ed i loro aventi causa) avrebbero altresì accettato con beneficio di inventario l’eredità della madre, che nella vicenda ricopre il ruolo di venditore di cosa altrui (avendo alienato all’ A. un bene del quale non era proprietaria), e per l’effetto sarebbero subentrati anche nell’obbligazione di procurare l’acquisto della proprietà della cosa alienata ai sensi del menzionato art. 1478 c.c., senza che l’eventuale accettazione con beneficio di inventario possa risultare ostativa alla trasmissione di tale obbligazione.

Inoltre, poichè per effetto della successione paterna, il D.L. e gli altri eredi del padre, sono divenuti proprietari anche dell’immobile per cui è causa, dovrebbe trovare applicazione la predetta previsione normativa, con il conseguente acquisto automatico della proprietà in capo al compratore.

Il motivo in esame denunzia quindi la pretesa violazione dell’art. 490 c.c., in quanto gli effetti della accettazione beneficiata consistono) essenzialmente nella limitazione della responsabilità patrimoniale e personale dell’erede nei limiti del valore dell’asse ereditario, ma non escludono la trasmissione in capo all’erede beneficiato delle obbligazioni contratte dal de cuius.

Il motivo non può trovare accoglimento.

In primo luogo non risulta adeguatamente contrastata la ratio decidendi della sentenza gravata secondo cui nella fattispecie osterebbe all’applicazione della norma di cui all’art. 1478 c.c., comma 2 la circostanza che, diversamente da quanto previsto dalla legge, la R. non è mai stata proprietaria del bene alienato, sicchè la sua morte non potrebbe produrre l’effetto invocato dai ricorrenti incidentali.

Ma in realtà non può ascriversi alla sentenza impugnata l’erronea affermazione circa l’intrasmissibilità delle obbligazioni gravanti sulla R. in capo ai suoi eredi (del che se ne ha riprova nella parte in cui la sentenza ha confermato la condanna dei germani D.L., quali eredi della venditrice, al risarcimento del danno conseguente all’evizione patita dal compratore, sebbene nei limiti di capienza dell’attivo ereditario), trattandosi evidentemente di un danno scaturente dall’inadempimento all’obbligo gravante sul venditore di procurare l’acquisto del bene, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1478 c.c., comma 1.

In effetti, la sentenza gravata si è limitata ad escludere la possibilità di dare applicazione al comma 2 di cui all’art. 1478 c.c., per effetto dell’intervenuta accettazione con beneficio di inventario, e tale conclusione deve essere confermata alla luce delle seguenti considerazioni.

invero pacifico, e di tanto ne dà contezza anche la decisione della Corte distrettuale, che l’acquisto del bene altrui idoneo a consentire il prodursi degli effetti di cui all’art. 1478 c.c., comma 2, possa avvenire anche mortis causa (in tal senso Cass. n. 4801/1978, nonchè da ultimo Cass. n. 24144/2015, secondo cui la fattispecie acquisitiva prevista dall’art. 1478 c.c., comma 2, si verifica anche se la coincidenza delle posizioni di venditore e proprietario della cosa venduta sopravviene “mortis causa”, la norma non distinguendo tale ipotesi da quella della coincidenza sopravvenuta per atto “inter vivos”, nè avendo l’obbligo di fare ex art. 1478 c.c., comma 1, natura personale incompatibile con la trasmissibilità “iure successionis”).

Deve però ritenersi che gli effetti dell’accettazione beneficiata ostino all’applicabilità della previsione de qua, non tanto in ragione della intrasmissibilità dell’obbligazione di procurare l’acquisto, quanto in considerazione del fatto che la responsabilità dell’erede beneficiato opera non solo intra vires (e cioè nei limiti del valore dei beni costituenti il patrimonio ereditario), ma cum viribus, e cioè con i soli beni ereditari.

In tal senso Cass. n. 5067/1993 ha precisato che la disposizione dell’art. 490 c.c., comma 2, n. 2) limita la responsabilità dell’erede accettante con il beneficio d’inventario per il pagamento dei debiti ereditari e dei legati “intra vires” e “cum viribus hereditatis”, con la conseguenza che, in caso di inadempimento, il beneficiario del modo testamentario non può agire sui beni propri dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario ma deve subire il concorso dei creditori ereditari e dei legatari.

A tal fine è stato opportunamente valorizzato il disposto di cui all’art. 497 c.c., ove si prevede che “l’erede non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo” e che egli “dopo la liquidazione del conto, non può essere costretto al pagamento con i propri beni se non fino alla concorrenza delle somme di cui è debitore”.

Ciò significa, infatti, che il beneficio d’inventario limita, normalmente, la responsabilità dell’erede non solo al valore, ma anche ai beni a lui pervenuti, assoggettando essi e non quelli personali all’esecuzione forzata (in senso conforme da ultimo Cass. n. 7090/2015).

L’accettazione beneficiata non opera, dunque, come fattore conformativo del diritto di credito azionato – che rimane tale nella sua natura, portata e consistenza (cfr. anche Cass., 14 marzo 2003, n. 3791) – bensì assume rilievo ai fini della sua soddisfazione, che, di regola, non potrà che soggiacere a determinati limiti, i quali si costituiscono non solo in riferimento al valore dei beni ereditari, ma anche alla qualità dei beni con cui l’adempimento, genericamente inteso (spontaneo o coattivo), del credito si realizza, ossia con i beni dell’eredità e non già con quelli personali dell’erede.

In tal senso la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5641/1993) ha altresì chiarito che la peculiare responsabilità “intra vires” e “cum viribus” dell’erede beneficiario per i debiti ereditari costituisce una qualità del relativo rapporto che assume rilievo già in fase antecedente l’esecuzione forzata, precludendo ogni misura anche cautelare sui beni personali dell’erede.

Orbene, poste tali caratteristiche della responsabilità dell’erede beneficiato, e ritenuto che sostanzialmente la previsione di cui all’art. 1478 c.c., comma 2 sia una peculiare modalità di adempimento dell’obbligazione di procurare l’acquisto della cosa da parte del venditore di cosa altrui, stante l’autonomia tra patrimonio ereditario e patrimonio personale dell’erede (del quale fa ormai parte anche, in ragione della successione paterna, la titolarità pro quota dell’immobile oggetto di causa), la pretesa applicazione della norma invocata da parte dei ricorrenti incidentali equivarrebbe ad assicurare il soddisfacimento dell’obbligazione gravante sui D.L., quali eredi della madre, con dei beni estranei al patrimonio ereditario, in palese deroga al principio della limitazione di responsabilità “cum viribus”.

Ne deriva pertanto che, non essendo stata adempiuta l’obbligazione gravante sulla venditrice di procurare l’acquisto) del bene, i suoi eredi, sebbene con il limite del valore dei beni ereditari, sono chiamati a rispondere delle conseguenze dell’inadempimento, così come quantificate dalla sentenza de qua, restando comunque esclusa la possibilità per il compratore di poter invocare l’acquisto automatico ex art. 1478 c.c., comma 2, essendo impedito, come detto, dalla peculiare limitazione di responsabilità scaturente dall’accettazione con beneficio di inventario.

9. Attesa la reciproca soccombenza si ritiene che sussistano le ragioni per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

10. Nulla per le spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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