Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27362 del 29/12/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15689-2012 proposto da:

GETRA SPA, P.I. (OMISSIS), IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI

AMM.NE E LEGALE RAPP.TE, GETRA POWER SPA P.I. (OMISSIS), IN PERSONA

DELL’AMM.RE DELEGATO E LEGALE RAPP.TE, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

RAPPAZZO, rappresentate e difese dall’avvocato NICOLA ROCCO DI

TORREPADULA;

– ricorrenti –

contro

TECNIMONT SPA, P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

DI AMM.NE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3,

presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIORGIO TARZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1372/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato Rapazzo Giuseppe con delega depositata in udienza

dell’Avv. Nicola Rocco di Torrepaluda difensore delle ricorrenti che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria;

udito l’Avv. Tarzia Giorgio difensore della controricorrente che ha

chiesto l’accoglimento degli scritti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – La società Tecnimont s.p.a. propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava di pagare alla società Getra s.p.a. la somma di Euro 123.845,30 a titolo di corrispettivo per le riparazioni di due trasformatori che la stessa Getra aveva fornito all’opponente; chiese la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, la condanna della Getra al risarcimento dei danni patiti a causa dei vizi delle cose vendute.

La Getra s.p.a. chiese il rigetto dell’opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, la condanna della Tecnimont al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Milano rigettò l’opposizione, confermò il decreto ingiuntivo e respinse le altre domande proposte dalle parti.

2 – Sul gravame proposto dalla Tecnimont s.p.a., la locale Corte di Appello dichiarò la nullità della sentenza di primo grado e, decidendo la causa in unico grado, accolse l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la Getra s.p.a. al risarcimento dei danni in favore della Tecnimont, che liquidò in Euro 428.729,00, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la Getra s.p.a. sulla base di nove motivi.

Resiste con controricorso la Tecnimont s.p.a.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione con la quale l’intimata, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e dei relativi motivi in ragione della loro genericità e non autosufficienza. Il ricorso, invero, contiene un’esposizione dei motivi e dei fatti di causa sufficientemente puntuale e completa, sicchè complessivamente risponde in modo idoneo al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

2. – Superata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, può passarsi all’esame dei motivi.

2.1. – I primi quattro motivi di ricorso (erroneamente numerati come secondo, terzo, quarto e quinto) hanno ad oggetto la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, che la Corte territoriale ha pronunciato per il fatto che la persona dal giudice, quando ebbe a pronunciare la sentenza, era stata sospesa dalle funzioni con Delib. Consiglio Superiore della Magistratura (Sezione disciplinare) in data 8 giugno 2009.

Nello specifico:

a) col primo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 281 bis, 281 quater, 281 quinquies e 276 c.p.c., in relazione all’autonomia del momento della decisione anche nei giudizi affidati al giudice monocratico; si lamenta, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe considerato formata la sentenza di primo grado nella data della sua pubblicazione (6.8.2009), mentre – secondo la ricorrente – avrebbe dovuto considerare la data in cui il giudice aveva trattenuto la causa in decisione (9.12.2004), data – quest’ultima – nella quale il giudice era nel pieno possesso delle sue funzioni;

b) col secondo motivo, si deduce che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il giudice di primo grado era sospeso dalle funzioni, in quanto la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura che ha definito il relativo procedimento – nel dichiarare il magistrato responsabile della incolpazione ascrittagli e nel condannarlo alla sanzione della censura – aveva revocato la misura cautelare della sospensione precedentemente adottata;

c) col terzo motivo, si deduce il contrasto di giudicati tra la sentenza della Corte di Appello di Milano e quella emessa dal Consiglio Superiore della Magistratura in sede disciplinare, in quanto tale ultima sentenza avrebbe ritenuto legittimo e apprezzato positivamente il fatto che il magistrato, durante il periodo di sospensione dalle funzioni, aveva eliminato l’arretrato; dal che – secondo la ricorrente – si ricaverebbe che la sospensione cautelare non avrebbe avuto effetti rispetto all’attività di decisione delle cause già introitate in decisione, ma avrebbe riguardato solo le nuove attività propriamente processuali (udienze, trattazione di nuove cause);

d) col quarto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 353, 354 e 161 c.p.c., per non avere la Corte di Appello, una volta rilevata la nullità della sentenza di primo grado, rimesso la causa al primo giudice.

Tutte le censure sono infondate.

Con riferimento al primo motivo, va ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi – il momento della pronuncia della sentenza, nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all’ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente valido, va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi dell’iter formativo dell’atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia (Sez. U, Sentenza n. 11655 del 12/05/2008, Rv. 603021; Sez. 3, Sentenza n. 23191 del 27/10/2006, Rv. 592799).

La disposizione dell’art. 132 c.p.c. – prescrittiva del “contenuto della sentenza” – stabilisce poi che il giudice (anche quello monocratico) è tenuto ad indicare, in calce al dispositivo, la “data della deliberazione”.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha considerato la decisione di primo grado adottata nella data (5.8.2009) apposta dal giudice prima della sua sottoscrizione (sul punto, va rilevato che erroneamente parte ricorrente assume che la Corte di Milano avrebbe considerato la data della pubblicazione della sentenza, corrispondente al 6.8.2009); e poichè, alla data del 5.8.2009, la persona del magistrato giudicante era stata sospesa dalle funzioni – con provvedimento del C.S.M. dell’8.6.2009 – correttamente la Corte di Milano ha ritenuto quel magistrato che non potesse adottare alcuna decisione, con conseguente nullità della sentenza di primo grado.

Con riferimento al secondo motivo, va osservato come sia del tutto irrilevante il fatto che la sentenza disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha definito il relativo procedimento (dichiarando il magistrato responsabile della incolpazione ascrittagli e irrogandogli la relativa sanzione), abbia contestualmente revocato la misura cautelare della sospensione precedentemente adottata. La sentenza che ha disposto la revoca della misura cautelare, infatti, è stata pronunciata in data 21.7.2010, dopo che la sentenza di primo grado relativa alla presente controversia era stata adottata; e la revoca della misura cautelare – secondo i principi generali – non ha effetto retroattivo, ma vale solo per il futuro, ha cioè efficacia solo ex nunc.

Infondato è anche il terzo motivo, laddove si assume che la sentenza disciplinare avrebbe legittimato l’eliminazione dell’arretrato da parte del magistrato durante il periodo di sospensione dalle funzioni.

Osserva il Collegio che la ragion d’essere dello strumento della sospensione cautelare del magistrato dalle sue funzioni – da individuare nella tutela del prestigio, dell’imparzialità e dell’immagine esterna e interna dell’attività giurisdizionale – sarebbe, sotto il profilo funzionale, del tutto vanificata ove al magistrato “sospeso” fosse consentita, anche solo parzialmente in relazione alla decisione delle cause già introitate, l’adozione dei relativi provvedimenti decisori. Pertanto, non può dubitarsi che, durante il periodo di sospensione dalle funzioni, il magistrato non possa adottare alcun provvedimento giuridicamente valido.

Nè contrariamente a quanto assume la ricorrente, la sentenza del Consiglio Superiore della Magistratura ha sostenuto il contrario. Essa, infatti, si è limitata a valutare la condotta del magistrato, durante il periodo di sospensione, solo al fine di valutarne la personalità e la buona volontà, in funzione della determinazione della sanzione.

Risulta infondato, infine, anche il quarto motivo, col quale si lamenta che la Corte territoriale – una volta rilevata la nullità della sentenza di primo grado – non abbia rimesso la causa al primo giudice; a dire della ricorrente, la nullità della sentenza adottata dal giudice sospeso dalle funzioni sarebbe inquadrabile in quella di cui all’art. 161 c.p.c., comma 2, sì da determinare il dovere del giudice di appello – una volta dichiarata la nullità – di rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c..

La tesi non può essere condivisa.

Com’è noto, l’art. 161 c.p.c., mentre al comma 1 enuncia il principio generale di conversione delle nullità in mezzi di impugnazione, prevede al comma 2 una eccezione a tale principio per il caso in cui la sentenza manchi di sottoscrizione del giudice.

Attorno a questa ipotesi, la dottrina ha costruito la figura della “inesistenza” del provvedimento del giudice – contrapposta alla sua nullità” – connotata dal fatto che il provvedimento è privo degli elementi minimi necessari per qualificarlo come esercizio del potere giurisdizionale.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha recepito tale figura dogmatica, affermando che l’inesistenza dell’atto processuale ricorre, oltre che nel caso espressamente previsto della mancanza di sottoscrizione del giudice, quando l’atto manchi degli elementi costitutivi indispensabili alla sua appartenenza ad uno dei tipi previsti dallo ordinamento e – come tale – sia assolutamente inidoneo a produrre alcun effetto sostanziale o processuale (Sez. 1, Sentenza n. 3078 del 28/05/1979, Rv. 399435; (Sez. 2, Sentenza n. 586 del 13/01/2005, Rv. 579182). Rientrano così nel concetto di inesistenza, la sentenza emessa a non iudice, in quanto tale non ricollegabile all’attività sovrana dello Stato; la sentenza priva di quel minino di elementi tipizzanti (come la sentenza che non è stata depositata in cancelleria e pubblicata); e la sentenza dal contenuto del tutto abnorme, che sia irriconoscibile come atto processuale tipico.

Solo in questi casi è possibile, oltre che impugnare la sentenza con gli ordinari mezzi di impugnazione, proporre in ogni tempo un’azione di accertamento negativo (actio nullitatis); e solo per questi casi l’art. 354 c.p.c. prevede che, ove il giudice di appello accerti la nullità-inesistenza della sentenza, è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado (e parimenti è tenuta a fare la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3).

Al di fuori di queste ipotesi, la sentenza è affetta da mera nullità, come tale sottoposta alla regola generale – sancita dal medesimo art. 161 c.p.c., comma 1 – della conversione dei vizi di nullità della sentenza in motivi di impugnazione; ed è esclusa per il giudice di appello la possibilità di rimettere la causa al primo giudice, dovendo egli invece – una volta dichiarata la nullità – decidere la causa nel merito in unico grado (così, Sez. U, Sentenza n. 26938 del 02/12/2013, Rv. 629205, in tema di sentenza pronunciata da un giudice monocratico diverso da quello dinanzi al quale sono state precisate le conclusioni; Sez. 2, Sentenza n. 4410 del 23/02/2011, Rv. 616720, in tema di giudice di pace che eserciti le funzioni giurisdizionali dopo la scadenza del mandato e nelle more della sua riconferma).

Nella specie, la circostanza che il magistrato giudicante fosse temporaneamente sospeso dalle sue funzioni in sede disciplinare non costituisce un’ipotesi di inesistenza della sentenza pronunciata durante il periodo di sospensione, ma una mera nullità per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., per carenza della potestas iudicandi.

Tale nullità – ai sensi dell’art. 158 c.p.c. – è insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo; si converte, nei confronti delle parti, in motivi di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1; e non dà luogo a rimessione della causa al primo giudice.

Alla stregua di quanto sopra, va enunciato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto:

“La sentenza emessa da un giudice sospeso dalle sue funzioni in sede disciplinare, a seguito di deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, è affetta da nullità per carenza della potestas iudicandi; tale nullità, attenendo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., è insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, è sottoposta al principio generale di conversione delle nullità in mezzi di impugnazione di cui all’art. 161 c.p.c., comma 1 e non dà luogo a rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c. “.

2.2. – Col quinto motivo (erroneamente numerato come sesto), si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza di un contratto di subfornitura.

Il motivo non è fondato.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il contratto di subfornitura è una forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale nella quale la dipendenza economica del subfornitore si palesa oltre che sul piano del rapporto commerciale e di mercato anche su quello delle direttive tecniche di esecuzione, assunte nel loro più ampio significato, sicchè il requisito della “conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente”, di cui alla L. 18 giugno 1998, n. 192, art. 1 si riferisce a tutte le fattispecie ivi descritte, compresa la “lavorazione su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente”, dato che anche in tal caso la commessa di subfornitura comporta l’inserimento del subfornitore in un determinato livello del processo produttivo proprio del committente (Sez. 3, Sentenza n. 18186 del 25/08/2014, Rv. 632906).

Orbene, non è dubbio che l’accertamento della sussistenza, nel caso concreto, di una cooperazione imprenditoriale non paritetica tra il committente e il subfornitore costituisce un accertamento di fatto, che non è sindacabile in cassazione, se non per vizi della motivazione.

Nella specie, la Corte di Appello ha puntualmente motivato in ordine alle caratteristiche del rapporto contrattuale instauratosi tra le parti, evidenziando – anche sulla scorta dell’esperita C.T.U. – come la progettazione e la costruzione dei trasformatori fosse contrattualmente posta a carico della Getra (non rilevando la indicazione, da parte della committente, delle caratteristiche tecniche che i trasformatori dovevano possedere), con conseguente esclusione della ricorrenza di un contratto di subfornitura. La motivazione sul punto è esente da vizi logici e giuridici; dal che l’infondatezza della censura.

2.3. – I motivi sesto, settimo e ottavo (erroneamente numerati come settimo, ottavo e novo) vanno trattati unitariamente in ragione della loro stretta connessione.

Col sesto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1176 e 2697 c.c., in relazione alla ripartizione dell’onere della prova; si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto la responsabilità della società Getra nella costruzione dei trasformatori per vizi di costruzione.

Col settimo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato i risultati della C.T.U.

Con l’ottavo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare le conclusioni della C.T.U.

Tutte censure sono inammissibili.

Trattasi di doglianze che vertono sulla ricostruzione del fatto compiuta sulla base delle prove acquisite e delle risultanze della C.T.U.; e la valutazione delle prove come delle risultanze della consulenza tecnica non sono sindacabili in sede di legittimità, se non per vizi della motivazione.

Nella specie, la Corte territoriale ha congruamente motivato in ordine alla responsabilità della Getra, con particolare riferimento al fatto che i trasformatori forniti non soddisfacevano le caratteristiche richieste dal committente (pp. 6-7 della sentenza impugnata). La motivazione sul punto è esente da vizi logici e giuridici, cosicchè la valutazione compiuta dal giudice di merito rimane insindacabile in sede di legittimità.

Nè sussiste, nella specie, la pretesa violazione delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova, in quanto il giudice di appello non ha deciso ricorrendo – in assenza di prove – alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., ma ha deciso sulla base di un positivo accertamento del fatto, posto in essere sulla base delle prove e delle risultanze istruttorie acquisite.

Sul punto, va ricordato che il giudice di appello deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand’anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poichè in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, Sentenza n. 15300 del 12/07/2011, Rv. 618574).

2.4. – Infine, col nono motivo (erroneamente numerato come decimo), si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 329 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese dei due gradi del giudizio; si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della mancata impugnazione della statuizione della sentenza di primo grado che aveva condannato la Tecnimont al pagamento delle spese processuali, statuizione che sarebbe perciò passata in giudicato; in ogni caso, si lamenta che la Corte di Appello, alla luce della soccombenza solo parziale della Getra, non abbia compensato – in tutto o in parte – le spese processuali.

Anche questo motivo è infondato.

La ricorrente non tiene conto della nullità della sentenza di primo grado (dichiarata dal giudice di appello); alla stregua di essa, non esiste alcuna statuizione del primo giudice (neppure in ordine alle spese) che possa essere passata in cosa giudicata.

Nè sussiste violazione dell’art. 92 c.p.c. per non avere la Corte di Appello compensato, neppure in parte, le spese del giudizio.

Va in proposito ricordato che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013, Rv. 627183).

3. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.200,00 (settemiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA