Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27359 del 29/12/2016

Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18621-2012 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa dall’avvocato

PIETRO DAMIGELLA;

– ricorrente –

contro

L.G.C.;

– intimata-

avverso la sentenza n. 793/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

emessa il 19/04/2012 e depositata l’11-5-12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 13/4/2007 il Tribunale di Catania, accogliendo la domanda di L.G.C., affermava la condominialità del locale vasche, sito al piano terra della scala (OMISSIS) dell’edificio sito in (OMISSIS), escludendo che si fosse in presenza di condominio parziale, trattandosi di unico edificio, avente accesso da due scale (la A e la B), negando, quindi, la proprietà esclusiva in capo ai convenuti S.S. e F.G.S.. Con la conseguenza che l’attrice aveva il diritto di servirsi del locale, secondo la sua destinazione, senza pregiudicare il pari uso degli altri condomini. Inoltre, il Tribunale aveva condannato parte convenuta a risarcire il danno procurato alla controparte per non avere potuto utilizzare l’appartamento, privo di adeguato servizio idrico, nella misura di Euro 12.950.

Proposto appello, i convenuti, e appello incidentale, l’attrice, la Corte di Catania, con sentenza del 19/4/2012, confermò la sentenza di primo grado.

S.S. e F.G.S. ricorrono per cassazione chiedendo annullarsi la sentenza d’appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione dell’art. 1117 cod. civ.: la presunzione di comunione legalmente stabilità ricorre allorquando risulti da elementi obiettivi e concreti e non meramente congetturali, che il bene è destinato all’uso ed al godimento comune; diversamente si deve ritenere ove, come nel caso di specie, esso è asservito al godimento di una parte dell’edificio, stante che in questo caso la destinazione particolare prevale sulla presunzione.

Con il secondo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 1102 cod. civ., in quanto non era emerso dalle indagini peritali che il locale fosse in grado di soddisfare l’uso da parte di tutti i condomini.

Con il terzo motivo viene dedotto vizio motivazionale sul punto della sentenza che dichiara la condominialità del locale vasche.

Riprendendo concetti prima espressi i ricorrenti spiegano che la destinazione ad entrambe le scale dell’edificio era da escludere sulla base della situazione fattuale. Nonostante la sua lacunosità la CTU non aveva potuto non evidenziare che dal locale si dipartivano cinque tubazioni, tutte dirette ai soli condomini della scala (OMISSIS), nel mentre all’interno del locale non si riscontravano impianti tecnologici di sorta tali che si potesse affermare che la L. avesse mai goduto del locale in parola per l’uso della raccolta e pompaggio idrico.

Con il quarto motivo, ancora una volta si censura la motivazione con la quale la Corte territoriale aveva negato che il locale per le sue caratteristiche strutturali e funzionali dovesse considerarsi asservito solo ad una parte dell’edificio, nonostante le incongruenze della CTU. Nonchè quella con la quale aveva affermato la natura di piena condominialità per l’intero edificio: trattavasi di una conclusione ipotetica ed astratta, nel mentre era certo che quando l’edificio era stato edificato, oltre cento anni prima, non si riscontrava penuria nella distribuzione idrica, di talchè non era necessario far luogo alla raccolta nelle vasche e che il locale era stato poi utilizzato solo dai condomini aventi accesso dalla scala (OMISSIS), essendosi costruita solo successivamente la scala (OMISSIS).

Con il quinto motivo viene censurata la motivazione della Corte di merito, la quale aveva ritenuto che “l’appellante non (aveva evidenziato) gli elementi di fatto e di diritto sottovalutati dal Tribunale ma idonei a sostenere le proprie contrarie argomentazioni”. Trattavasi, secondo i ricorrenti, di affermazione che non trovava riscontro negli atti difensivi della parte, con i quali si era, sin da subito evidenziato l’uso particolare del locale e le epoche diverse di costruzione delle due parti dell’edificio, testimoniate dai particolari architettonici e dagli atti pubblici.

Con il sesto motivo viene denunziata la violazione dell’art. 2043 cod. civ., mancando la prova dell’atto doloso o colposo causativo del danno ingiusto.

Con il settimo motivo si contesta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.: la Corte catanese aveva confermato il risarcimento del danno per il mancato “ripristino dell’esistente erogazione dell’acqua potabile”, ma la relativa domanda non era stata mai proposta. “Altro è richiedere di avere ripristinato un precedente diritto, per il quale è necessario dimostrare l’esistenza e l’esercizio del diritto, altro è richiedere il diritto di usare una cosa che in precedenza non era stata mai usata”.

Con l’ottavo motivo vien dedotto vizio motivazionale in ordine all’esistenza di un danno risarcibile ed alla sua quantificazione. Chiariscono le ricorrenti che non era rimasto accertato che senza accesso all’impianto di raccolta e sollevamento, la fornitura idrica attraverso la fruizione diretta dalla condotta pubblica non era adeguata a soddisfare le esigenze abitative. Di poi, il CTU aveva quantificato il canone locativo ricavabile, ponendo a raffronto l’appartamento con altro analogo dello stesso complesso, preso in rassegna in altra controversia, senza dimostrare la piena assimilabilità dei due appartamenti. Senza contare, inoltre, che difettava del tutto la prova che non era stato possibile locare l’appartamento per la mancanza di acqua.

3. Le prime cinque censure, osmotiche fra loro, possono essere scrutinate contemporaneamente.

In definitiva, i ricorrenti, al fine di dimostrare la destinazione del vano in esame solo ad una parte dell’edificio, contestano le risultanze della CTU e la doppia conforme motivazione di merito che le ha assimilate, adducendo, inoltre, violazione degli artt. 1117 e 1102 cod. civ..

Va, in primo luogo, sgombrato il campo dalle asserite violazioni di legge. I Giudici del merito, infatti, hanno correttamente fatto ricognizione dei principi regolanti la materia. Trattavasi di un organismo edilizio unitario, costituito da un unico blocco edificato sopra uniche fondamenta e chiuso all’apice da una unica copertura, nel mentre, l’accesso agli appartamenti ad opera di due scale non dava di certo luogo al fenomeno del condominio parziale. Dagli accertamenti svolti non consta che il vano qui in contesa fosse asservito per destinazione ad una sola parte dell’edificio.

Del pari senza pregio deve ritenersi la prospettata violazione dell’art. 1102 cod. civ.: il CTU aveva verificato che il vano di cui si discute era in grado di ospitare gli impianti tecnologici per la raccolta ed il sollevamento dell’acqua anche della resistente, oltre a quello dei ricorrenti. In ogni caso, peraltro, non vi sarebbe stata ragione di privilegiare l’uso di quest’ultimi a discapito della seconda.

Detto ciò, appare evidente che le doglianze sono, nella sostanza, tutte dirette a contestare il costrutto motivazionale, e, ad un tempo, le risultanze della CTU.

Non può farsi a meno di evidenziare che, come spesso accade, con il ricorso si propone l’approvazione di una linea interpretativa dei fatti di causa alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice, così sperdendosi del tutto il senso del sindacato di legittimità.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, a(l’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Da qui appare evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’ambito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007,Rv. 594690). Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Quanto poi all’apporto di sapere proveniente dalla CTU va ribadito che se, per un verso, il giudice del merito, ove dia mostra di aver conosciuto e apprezzato le conclusioni del consulente, non è tenuto a fornire alcuna ulteriore motivazione, è altrettanto evidente che il ricorrente non può limitarsi a dissentire dalle predette conclusioni in sede di legittimità, ricadendo su di lui l’onere di puntualmente controdedurre, riportando i singoli passaggi della relazione e le specifiche ragioni poste a suo tempo in contrapposizione. In altri termini, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. La parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., Sez. 1, n. 11482 del 03/06/2016,Rv. 639844; Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050; Sez. 1, n. 3224 del 12/02/2014, Rv. 630385).

Nel caso di specie, la Corte catanese ha correttamente raccolto le emergenze istruttorie, ed in ispecie quelle provenienti dalla CTU: essendo rimasta accertata la unicità dell’organismo edilizio e, quindi, la configurabilità di un condominio parziale, la pari natura comune del vano sottostante la scala (OMISSIS), l’assenza di univoca destinazione di esso ad una parte dell’edificio, la presenza di tracce delle tubazioni che nel passato collegavano l’impianto idrico della resistente a tale vano, la sufficienza del medesimo per lo sfruttamento comune al fine tecnologico di cui detto, non resta che concludere per la natura congetturale delle predette doglianze, peraltro smentite dagli esiti istruttori.

Non hanno, del pari, fondamento le l’accertamento e la liquidazione del danno.

La prova del danno ingiusto è stata impossibilità di locare una unità abitativa priva di regolare erogazione di acqua potabile, a causa della accertata bassa pressione, in difetto d’impianto di raccolta e rilancio. Nè, come puntualmente osservato dalla Corte di merito, gli odierni ricorrenti erano stati in grado di provare il contrario (cioè lo sfruttamento economico in assenza di regolare erogazione idrica).

Non sussiste affatto la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., denunziata con il settimo motivo. La Corte di merito, avendo disatteso in toto l’appello, si è ovviamente limitata a rigettare l’impugnazione, con la conseguenza che la statuizione confermata è quella di primo grado, la quale, in perfetta aderenza al petitum, ha dichiarato la natura condominiale del vano in discorso.

Infine, la contestazione del criterio di computo del risarcimento (ricavo locativo figurativo), mossa con l’ultima parte dell’ottavo motivo, oltre che nuova (non consta dalla sentenza d’appello, in punto di narrato rimasta non contestata, che sia stata posta una tale questione con l’impugnazione) è priva di fondamento, in quanto diretta a censurare apoditticamente le congruenti valutazioni del CTU.

L’epilogo impone condanna dei ricorrente al pagamento delle spese legali in favore della, spese che si liquidano, tenuto conto della natura e valore della causa, siccome in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese legali in favore della resistente, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.700, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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