Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27358 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/11/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 30/11/2020), n.27358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2230/2018 R.G. proposto da:

F.M.M., in qualità di procuratore generale di GU.

MA. NO., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Discepolo,

con domicilio eletto in Roma, via Conca d’Oro, n. 184/190:

– ricorrente –

contro

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante

p,.e. G.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea

Galvani, con domicilio eletto in Roma, via Salaria, n. 95;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Ancona depositata il 9

novembre 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30 settembre

2020 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che F.M.M., in qualità di procuratore generale di Gu.Ma.No., ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso l’ordinanza del 9 novembre 2017, con cui la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’opposizione proposta dalla Gu. avverso la stima della indennità dovuta dalla Autostrade per l’Italia S.p.a. per l’espropriazione parziale di un’area della superficie di 5.205 mq. con annesso fabbricato sita in (OMISSIS), e riportata in Catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), occupata per la realizzazione del V lotto della terza corsia dell’autostrada (OMISSIS) ed espropriata con decreto del (OMISSIS);

che l’Autostrade per l’Italia ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 40 e 44, censurando l’ordinanza impugnata per aver aderito acriticamente alle conclusioni della relazione depositata dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, senza prendere in esame le critiche formulate dal consulente di parte di esso ricorrente;

che, ad avviso della ricorrente, nel valutare il deprezzamento del fabbricato, il c.t.u. aveva preso in considerazione soltanto due pregiudizi, costituiti dal minore soleggiamento e dalla modifica delle condizioni ambientali, ai quali aveva attribuito modesta portata, senza tener conto dell’aumento della pericolosità e della rumorosità determinato dalla riduzione della distanza dalla sede autostradale, che aveva reso l’edificio inabitabile, precludendone anche la destinazione ad agriturismo;

che, nel fare proprie le conclusioni del c.t.u., il quale aveva proposto di ovviare al predetto pregiudizio mediante la demolizione del fabbricato e la ricostruzione a distanza maggiore, l’ordinanza impugnata ha tuttavia trascurato i limiti imposti dalla disciplina urbanistica e ha omesso di procedere alla stima dei relativi costi, anch’essi da rimborsare all’espropriata;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ribadendo che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della maggiore esposizione dell’immobile al pericolo, derivante dalla vicinanza della sede autostradale, nonchè dell’aumento delle immissioni di rumore, eccedenti la normale tollerabilità, alla cui rilevazione il c.t.u. aveva omesso di procedere, ed alle quali il c.t. di parte aveva proposto di porre rimedio mediante l’installazione di pannelli fonoassorbenti, anch’essi peraltro idonei a limitare fortemente l’utilizzazione del fabbricato a fini residenziali;

che i predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono inammissibili;

che, come ripetutamente affermato da questa Corte, allorquando la relazione depositata dal c.t.u. abbia costituito oggetto di critiche puntuali e dettagliate ad opera dei consulenti di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa alle stesse, non potendo limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni rassegnate dal c.t.u., ma dovendo giustificare con una più specifica motivazione la propria scelta di aderire alla predetta relazione, incorrendo altrimenti nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a meno che il c.t.u. non si sia fatto a sua volta carico di esaminare e confutare i rilievi dei tecnici di parte (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 11/06/2018, n. 15147; 9/10/2017, n. 23594; 21/11/2016, n. 23637);

che il predetto obbligo motivazionale deve ritenersi adeguatamente adempiuto dall’ordinanza impugnata, la quale, a fronte delle argomentate critiche mosse dal consulente di parte dell’attrice alla relazione depositata dal c.t.u., non si è limitata a richiamare le conclusioni di quest’ultimo, ma ha preso specificamente in esame i predetti rilievi, già peraltro vagliati dal consulente d’ufficio, ritenendo pienamente condivisibili le risposte dallo stesso fornite, sia in ordine alla configurabilità del pregiudizio derivante dalle immissioni che in ordine alle residue possibilità di sfruttamento del fabbricato insistente sul fondo espropriato;

che nel censurare il predetto apprezzamento, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il ricorrente ripropone sostanzialmente le medesime critiche rivolte dal consulente di parte alla relazione del c.t.u., senza essere in grado d’individuare circostanze di fatto trascurate dall’ordinanza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e carenza di motivazione, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);

che con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5, rilevando che, nel procedere alla liquidazione delle spese processuali, la Corte territoriale non ha tenuto conto del valore della controversia, inferiore ad Euro 50.000,00, avendo determinato i compensi in misura superiore al massimo previsto per lo scaglione tariffario corrispondente all’importo stimato dal c.t.u.;

che il motivo è infondato;

che il D.M. n. 55 del 2014, tariffa forense approvata, art. 6, comma 1, quarto periodo, secondo cui, nei giudizi civili per pagamento di somme di denaro, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve effettuarsi avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, si riferisce all’accoglimento, anche parziale, della domanda medesima, laddove nell’ipotesi di rigetto della stessa il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall’attore (cfr. Cass., Sez. VI, 12/06/2019, n. 15857; Cass., Sez. I, 14/05/ 2007, n. 10997; 11/03/2006, n. 5381);

che nella specie lo stesso ricorrente riconosce di non aver provveduto, nelle conclusioni del ricorso introduttivo, ad una precisa quantificazione dell’importo a suo avviso dovuto a titolo d’indennità, non desumibile dalla mera indicazione dell’incidenza percentuale del pregiudizio arrecato al fabbricato sul valore dello stesso stimato in sede amministrativa, anch’esso destinato a costituire oggetto di accertamento ai fini della determinazione dell’entità del deprezzamento;

che non merita dunque censura l’operato della Corte territoriale, la quale, avendo rigettato integralmente la domanda, in virtù della ritenuta congruità dell’indennizzo liquidato in sede amministrativa, ha proceduto alla determinazione dei compensi in base all’importo previsto dalla tariffa per le cause di valore indeterminabile;

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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